Terzo ciclo

Anno liturgico A (2007-2008)

Tempo Ordinario

 

26a Domenica

(28 settembre 2008)

 

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Ez 18, 25-28;  Sal 24;  Fil 2,1-11;  Mt 21,28-32

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Gesù è appena entrato trionfalmente in Gerusalemme, ha scacciato i venditori dal tempio, ha guarito ciechi e storpi e in seguito alla discussione sull’origine della sua autorità (“Con quale autorità fai questo? Chi ti ha dato questa autorità?”) racconta la parabola dei due figli, tipica del vangelo di Matteo. Chi compie la volontà del padre? Chi acconsente ma poi non fa o chi alla fine fa anche senza aver acconsentito prima? Non è un invito all’obbedienza in generale, ma una riflessione profetica sulla storia che va dritta al cuore degli ascoltatori. Era morto da poco Giovanni Battista e Gesù ne aveva raccolto l’eredità. Aveva predicato un battesimo di penitenza e chi gli aveva creduto? I pubblicani e i peccatori, coloro che di fronte alla sua predicazione si erano ricreduti quanto alla loro vita, avevano sentito l’invito di Dio che a loro si appressava e avevano visto all’opera in lui l’azione di Dio. I capi e i farisei si sentono invece dire da Gesù: “Voi, al contrario, avete visto queste cose, ma poi non vi siete nemmeno pentiti così da credergli”. Da notare che in questo caso, il verbo ‘pentire’ è espresso con un termine che significa ‘ricredersi’, ‘cambiare parere’, ‘rivedere le cose nella loro verità’. È come se Gesù dicesse: avviene con me come per il Battista. Voi vedete le cose meravigliose che compio, ma non volete vedere l’agire di Dio che compie la sua opera di salvezza. Voi l’aspettate da un’altra parte e resterete sulla vostra fame.

Ritorna l’eco della domanda del profeta Ezechiele: “Non è retto il modo di agire del Signore?... Non è retta la mia condotta o piuttosto non è retta la vostra?”. Il passaggio dal male al bene è sempre possibile, come d’altronde è possibile l’inverso, dal bene al male. Chi fa il bene vivrà di quel bene e non morirà per i mali compiuti prima. Siccome però non è evidente per l’uomo riconoscere il bene, ecco la preghiera del salmo: “Fammi conoscere, Signore, le tue vie”, a cui tiene dietro la certezza: “insegna ai poveri la sua via”. Se le vie del Signore sono le vie della vita, allora significa che per avere la vita uno si debba presentare povero. “Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli” (Mt 5,3). Povertà, che la lettera ai Filippesi descrive come condivisione dei sentimenti di Gesù: “rendete piena la mia gioia con un medesimo sentire e con la stessa carità, rimanendo unanimi e concordi. Non fate nulla per rivalità o vanagloria, ma ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso. Ciascuno non cerchi l’interesse proprio, ma anche quello degli altri. Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù ...”.

Dire ‘avere gli stessi sentimenti di Cristo Gesù’ e dire ‘la volontà del Padre’ è dire la stessa cosa. Se l’apostolo ci invita ad avere gli stessi sentimenti di Gesù è perché solo in quel modo possiamo riconoscerci nella volontà del Padre, possiamo acconsentire a quella volontà e goderne lo splendore di amore che ci viene riversato e che ci spinge a riversarlo su tutti. Gesù costituisce quel punto di incandescenza nella storia dove la volontà del Padre muove l’umanità e questa risplende per l’amore che l’investe e di cui si capacita.

Le parabole delle domeniche successive dicono fino a che punto l’umanità di Gesù vive la volontà di salvezza per gli uomini da parte del Padre, allorquando il dramma si consuma. L’accento però non è posto sulla sofferenza che dovrà subire, ma sullo splendore di amore di cui si fa testimone. Avviene per i discepoli come per Gesù: se il Figlio, secondo le parole di Paolo ai Filippesi, ‘svuotò se stesso assumendo una condizione di servo’, lo può fare perché gode di un amore. Quello ‘svuotamento’ è la condizione perché l’amore si compia e trascini tutti nello stesso movimento. Ci si può svuotare dei propri peccati come delle proprie sicurezze; ciò che conta è svuotarsi perché quell’amore torni a splendere, perché Dio possa essere adorato come il Salvatore, ricco di misericordia per noi. Quello che i capi del popolo e i farisei, interlocutori di Gesù, non avevano potuto capire. E lo svuotarsi attira la grazia perché assimila al movimento che Gesù ha vissuto e che Dio vive in se stesso. L’obbedienza ha a che fare con la percezione di questo mistero di amore che porta vita, la vita che viene da Dio e che attraversa la storia perché tutti ne possano gustare lo splendore. Ed è per questo che la colletta prega: “ ... il tuo Spirito ci renda docili alla tua parola e ci doni gli stessi sentimenti che sono in Cristo Gesù”.