Terzo
ciclo
Anno
liturgico A (2007-2008)
Tempo
Ordinario
25a Domenica
(21 settembre
2008)
_________________________________________________
Is
55,6-9; Sal 144; Fil 1,20-27;
Mt 20,1-16
_________________________________________________
La liturgia di
oggi illustra un paradosso che vive il nostro cuore: è proprio vero che i
pensieri di Dio non sono i nostri pensieri (basta osservare i nostri pensieri
segreti nelle afflizioni quotidiane), eppure il nostro cuore è modellato sui pensieri
di Dio. Come a dire: se non accogliamo i pensieri di Dio il nostro cuore non
trova felicità. La domanda allora che sorge è la seguente: cosa non permette ai
nostri cuori di fidarci di Dio?
Quello che il
salmo 144 proclama: “Giusto è il Signore
in tutte le sue vie e buono in tutte le sue opere” rivela il frutto di un
cammino consumato alla scoperta del nostro Dio; non indica la condizione di
partenza. Non per nulla la verità della bontà di Dio è tema di rivelazione: la
si può scoprire solo accettando di relazionarsi al proprio Dio, secondo quella
radicalità di rapporto che una relazione d’amore comporta. E come in tutte le
relazioni d’amore, il mondo interiore viene rivoluzionato. Senza accettare
questa ‘rivoluzione’ non si vive l’amore e non si troverà il senso del vivere.
La parabola di
Gesù è costruita proprio per sorprendere gli operai della prima ora nei loro
pensieri segreti. Se il fattore avesse cominciato a pagare gli operai dai
primi, non sarebbero stati svelati quei pensieri. Si sarebbero conosciuti solo
quelli degli ultimi. Ma la parabola insiste proprio sui primi; il che significa
che in quei ‘primi’ siamo compresi tutti noi, per un verso o per l’altro. Dal
punto di vista ecclesiale, si può interpretare la parabola come un avvertimento
agli israeliti (gli operai della prima ora) rispetto ai pagani (gli operai
dell’ultima ora), ai giudeo-cristiani rispetto agli ellenisti, ai pastori
rispetto ai fedeli, ecc. La parabola però ha un’estensione molto più larga e
allude agli atteggiamenti dei cuori nei confronti di Dio. Tutti vengono pagati
nella stessa misura: è proprio questo che urta la nostra sensibilità. Notiamo
subito che il padrone della parabola non manca di giustizia perché ai primi dà
esattamente quello che avevano pattuito. Semplicemente, non si attiene solo a
quella giustizia e dà anche agli altri la stessa paga. Dove sta allora la
malizia dei pensieri dei primi?
Il padrone si
definisce ‘buono’ e allude alla definizione di buono che solo a Dio compete,
come era stato detto in precedenza: «Egli
rispose: “Perché mi interroghi su ciò che è buono? Uno solo è buono”» (Mt
19, 17). Come intendere la bontà di Dio? La lettura del profeta Isaia ce ne
fornisce la chiave. Il cap. 55 chiude la seconda parte del libro di Isaia e
contiene la promessa del nuovo esodo da Babilonia agli esiliati. Quando il
profeta proclama: “Perché i miei pensieri
non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie - oracolo del
Signore”, si riferisce alla larghezza del perdono che Dio accorda: “Cercate il Signore, mentre si fa trovare,
invocatelo, mentre è vicino. L’empio abbandoni la sua via e l’uomo iniquo i
suoi pensieri; ritorni al Signore che avrà misericordia di lui e al nostro Dio
che largamente perdona”. Per cogliere la portata di queste parole bisogna
leggere in quel ‘Dio perdona largamente’ tutto ciò che si riferisce alla sua
provvidenza nei nostri confronti: le vite degli uomini sono diseguali, la sua
provvidenza è misteriosa, la conoscenza di lui è misteriosa, le nostre sorti
sono diverse, le gioie e le sofferenze sono amministrate nella nostra vita in
modo così diverso gli uni dagli altri. Perché tutto questo? Porci questa
domanda significa rapportarci agli altri e non a Dio. Non è certamente una
domanda maliziosa, ma rivela la difficoltà di cogliere la bontà di Dio e per
ciò stesso rivela la natura del nostro rapportarci a Dio in rivendicazione. Ma
la rivendicazione esprime gelosia, come dice il padrone della parabola ai primi
operai. Il segno della purità di cuore è proprio la mancanza di gelosia, vale a
dire la gioia della felicità altrui. La punta segreta di questa gioia non sta
però nella generosità di cuore che esprime solidarietà verso i fratelli
nonostante la nostra mancanza (cosa del resto pressoché impossibile!), bensì la
confidenza nel proprio Dio di cui si spera il godimento della promessa fatta a
noi. Così, nonostante le diseguaglianze delle nostre vite, nulla ci manca se
Dio è con noi.
E proprio questo
è ciò che si acquisisce con il cammino spirituale. In effetti, il problema per
noi è indicato dall’antifona alla comunione: “Siano diritte le mie vie nell’osservanza dei tuoi comandamenti”.
Non è sufficiente osservare i comandamenti (il lavorare nella vigna); occorre
che siano retti i cuori nel farlo (lavorare nella promessa del compenso da
parte del padrone e grati di poterlo fare). La ‘giustizia’ è condizione
necessaria ma non sufficiente. L’invito a scoprire e gustare la bontà di Dio
salva i cuori dai confini angusti e li libera da ogni forma di rivendicazione
in modo da partecipare ai sentimenti di Dio che vuole tutti suoi amici.