Terzo ciclo

Anno liturgico A (2007-2008)

Tempo Ordinario

 

19a Domenica

(10 agosto 2008)

 

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1Re 19,9-13;  sal 84;  Rm 9,1-5;  Mt 14,22-33

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Le parole della Scrittura vanno colte nella stessa intensità drammatica con cui sono state vissute. Il brano evangelico di oggi è narrato in Matteo, Marco e Giovanni, ognuno apportandovi dettagli estremamente rivelatori. Gesù aveva appena operato il miracolo della moltiplicazione dei pani, che aveva scatenato l’immaginario messianico della gente. Gesù però accetterà di essere proclamato re solamente durante la passione, davanti a Ponzio Pilato e sulla croce. Deve quindi rifiutare il delirio della gente e si premura di salvaguardare i discepoli. Congeda la folla e si ritira sul monte, a pregare. Non è usuale una annotazione del genere nel vangelo di Matteo, mentre Luca accenna più volte alla preghiera di Gesù e sempre in circostanze particolarmente significative (al battesimo, Lc 3,21; alla chiamata degli apostoli, Lc 6,12; alla trasfigurazione, Lc 9,28). Il fatto che Gesù si predisponga con la preghiera a determinate azioni sottolinea il valore di rivelazione di quelle azioni. Tanto più che altri particolari qui indicano l’intensità e la finalità. Si trova solo, sul monte, in attesa di ricongiungersi con i discepoli, ma camminando sul mare, come a rivelare qualcosa del suo mistero a loro e a noi. Ad esempio, Matteo non dice che i discepoli faticavano ai remi per il vento contrario; parla della barca agitata dalle onde, della barca in cui Pietro e i discepoli fanno la loro confessione di fede, della barca che, una volta accolto a bordo Gesù, non ha più il vento contrario. Tutti particolari che danno all’episodio una forte valenza simbolica: la barca è la Chiesa, che con la presenza del suo Signore non teme alcuna traversata, alcun vento contrario.

Non solo, ma l’intervento di Pietro e dei discepoli è collocato dentro una linea di sviluppo della loro fede in Gesù che si fa via via più coinvolgente e totale. L’evangelista aveva notato come i discepoli, al miracolo della tempesta sedata, siano rimasti colmi di stupore; qui, riconoscono Gesù come Figlio di Dio; poi riconosceranno Gesù il loro Signore. Pietro, in particolare, attira l’attenzione dell’evangelista Matteo. Pietro è affascinato dalla figura di Gesù, vuole seguirlo, ma stenta ad accettare la rivelazione di Dio. Cammina anche lui sulle acque, ma ha paura e affonda. Nell’ultima cena non vuole essere lavato, al Gethsemani estrae la spada, segue Gesù nella sua cattura, ma per paura lo rinnega. Tuttavia, sempre ritorna a Gesù, vuole seguire Gesù, piange il suo tradimento e finalmente il Maestro lo rassicura sulla sua fedeltà a Lui, ormai conquistato alla fede in Lui e al suo amore fino a dare la vita per Lui.

La preghiera di Gesù sul monte ha a che fare appunto con la rivelazione del disegno di Dio, con la rivelazione della sua persona e dell’amore salvatore di Dio, rivelazione che ha bisogno di tempi e spazi per conquistare i cuori, cosa che il Signore sa benissimo e che con fantasia persegue pazientemente. Così, quando Gesù viene incontro ai discepoli camminando sulle acque – Marco annota che Gesù fa come finta di passare oltre – il gesto è collocato dentro una successione di rivelazioni che costellano tutto il percorso della Scrittura al fine di conquistare al suo mistero i discepoli.

Qui ci soccorre il parallelo della prima lettura, il racconto della rivelazione di Dio al profeta Elia sull’Oreb, in un contesto altamente drammatico. Come per Mosè, così per Elia, il Signore è il ‘Dio che passa’, e per Elia il Dio che passa dentro ‘il fruscìo di un silenzio leggero’, come letteralmente si dovrebbe tradurre il passo. Anche Mosè e Elia si trovano sul monte, in preghiera. La preghiera ha sempre a che vedere con la rivelazione del volto di Dio e la rivelazione del volto di Dio ha sempre a che vedere con la missione ai propri fratelli, in quanto, se Dio si rivela, si rivela solo come amante e salvatore degli uomini. In effetti, la voce che viene rivolta al profeta: “Che fai qui, Elia?” precede e segue la manifestazione di Dio. Nulla è detto di quanto avviene tra il profeta e il suo Signore nel momento misterioso della manifestazione. Quello che sappiamo è che Dio rimanda il profeta sui suoi passi, tra i suoi fratelli, a continuare l’opera di cui lui, forse presuntuosamente, si era immaginato essere l’unico testimone credibile.

La denominazione del ‘Dio che passa’, come Gesù fa mostra di assumere, rivela il fatto che Dio può essere conosciuto solo stando dietro, solo seguendolo, solo camminando dietro a Lui, solo osservando la sua parola. Ed è quello che fa la Chiesa nel mondo: seguire Cristo, che rivela al mondo lo splendore dell’amore di Dio. E sarà solo seguendo Gesù che l’amore agli uomini comporterà lo splendore della presenza di Dio in questo mondo.

Noi tutti siamo invitati a identificarci con Pietro, con le sue generosità e debolezze. Ci si può appoggiare sul Cristo più e meglio che su qualsiasi realtà fluida di questo mondo. È nella fiducia di quel ‘se sei tu, comanda che io venga da te sulle acque’ che si intraprende il cammino spirituale di una vita. Ma c'è da vincere la paura che agita, paralizza, chiude, affonda. E allora non si parla più semplicemente, come se si trattasse di una provocazione, di una sfida, di una competizione; si comincia a gridare: è il tono della preghiera quando è sincera. Non c'è più ombra di sfida, di pretesa, di vanità. È il momento della verità ed invece di affondare, sentiamo una mano tesa che ci sottrae ai gorghi. Quante stupide pretese ci condannano a restare nei gorghi! Ed è allora che capiremo qualcosa di più di quel Signore che abbiamo accolto venirci incontro e sentiremo il suo nome che si rivela al nostro cuore : “il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all'ira, ricco di grazia e di fedeltà ...” (Es 34,6).