Terzo
ciclo
Anno
liturgico A (2007-2008)
Tempo
Ordinario
17a Domenica
(27 luglio
2008)
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1Re
3,5-12; Sal 118; Rm 8,28-30;
Mt 13,44-52
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La proclamazione
del vangelo contiene le ultime tre parabole del Regno, a completare il quadro
delineato nelle due domeniche precedenti. Consideriamo oggi in particolare
quelle del tesoro nascosto in un campo e della perla preziosa. La colletta ci
apre direttamente l'intelligenza: "O Padre, fonte di sapienza, che ci hai
rivelato in Cristo il tesoro nascosto e la perla preziosa ...". Il tesoro
e la perla sono il Cristo stesso. Le parabole rispondono alla domanda: potrà
mai l'uomo aprirsi per davvero alla rivelazione del Regno di Dio se è
necessario attraversare molte tribolazioni per accedervi? Potrà l'uomo portare
il giogo del Regno dei cieli? Non c'è contraddizione tra il suo istinto alla
felicità e l’asprezza dell'esigenza evangelica?
Non che il regno
dei cieli siano paragonati a un tesoro o a un mercante. Il paragone si gioca
sulla situazione che si è invitati a vivere, come a dire: il regno dei cieli è
simile a ciò che succede quando si scopre un tesoro o quando un mercante trova
una perla di gran valore. Il punto nevralgico per la comprensione è dato
appunto dalla gioia della scoperta. Tutta l'azione successiva scaturisce dalla
gioia prorompente della scoperta. Senza quella gioia non è possibile concepire
nessuna azione significativa a livello dell'orientamento della propria vita,
sebbene le parabole alludano anche ad altre dinamiche, più nascoste ma non meno
vere.
Alla dinamica di
ricerca, anzitutto. Non si scopre a caso. Ci deve essere, di fondo, una
passione per ciò che è prezioso, una inquietudine che non ti lascia vaneggiare
o istupidire. Non sono sufficienti, al cuore dell'uomo, le cose che arriva a
possedere; ha bisogno di cogliere quello che dentro le cose vive e attira,
quello che solo può colmare il suo desiderio.
Alla dinamica di
compravendita. Ciò che è prezioso non sta insieme a ciò che è vile, ciò che è
profondo a ciò che è superficiale, ciò che ha sostanza con ciò che ha solo
apparenza. Perlomeno, insieme non possono stare tanto tempo e difatti viene il
momento in cui ci si deve disfare di una cosa per comprare l'altra. È inevitabile.
Alla dinamica di
rischio. Più grosso è l'affare, più alto il rischio. E quando il tesoro o la
perla trovata sono incomparabilmente più preziosi di tutto quello che ci si
sarebbe potuti immaginare di trovare, allora ci si disfa di tutto. Il tutto di
cui ci si disfa è direttamente proporzionale alla preziosità del tesoro
trovato. La molla che permette, anzi che spinge al rischio della compravendita
è appunto la gioia, percepita così profonda e piena da cacciare ogni timore.
In queste
parabole l'accento non è posto sul fatto che l'uomo è chiamato a lasciare tutto
per il Regno dei cieli, ma che lascia tutto perché trasportato dalla gioia di
una scoperta che gli riempie il cuore. D’altra parte, il Regno non si
contrappone a nulla di per sé. Non è la perla più bella delle altre. È, più
semplicemente ma più potentemente, la perla di ‘gran valore’; è il tesoro tra i
beni e non un bene più prezioso degli altri beni. Saper cogliere questo è
frutto di ‘sapienza’ e la colletta fa pregare: “concedi a noi il discernimento
dello Spirito, perché sappiamo apprezzare fra le cose del mondo il valore
inestimabile del tuo regno, pronti ad ogni rinunzia per l’acquisto del tuo
dono”.
È il tema della
prima lettura, dove il re Salomone chiede la sapienza del giudicare, con la
conseguenza di avere insieme anche quello che non ha chiesto: regno, vittoria e
stabilità. Chiedere sapienza per il cuore per ben discernere significa
predisporsi a vivere la vita per il verso giusto, per il verso santo, per il
verso beato. E la sapienza va impetrata dall'alto perché il tesoro e la perla
di gran valore sono come nascosti; realmente si possono trovare, ma solo dentro
una rivelazione che fa aprire gli occhi.
Ora, per quale
via si accede alla sapienza del discernimento? Lo indica il canto al vangelo: “Ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e
della terra, perché ai piccoli hai rivelato i misteri del Regno” (cfr. Mt
11,25). Se colleghiamo questo versetto alla suggestione del serpente nel
giardino: “Dio sa che quando voi ne
mangiaste, si aprirebbero i vostri occhi e diventereste come Dio, conoscendo il
bene e il male” (Gen 3,5) insieme all’ingiunzione di Dio ai progenitori: “Il Signore Dio disse allora: Ecco l' uomo è
diventato come uno di noi, per la conoscenza del bene e del male. Ora, egli non
stenda più la mano e non prenda anche dell' albero della vita, ne mangi e viva
sempre!” (Gen 3,22), scopriamo che la sapienza che non porta alla vita non
è degna dell’uomo. Conoscere il bene e il male significa conoscere le vie della
vita. Ma chi può illudersi di conoscerle? Se l’uomo non si fa piccolo, non si
dispone cioè alla confidenza nel suo Dio, come potrà godere dei segreti della
vita per cui è fatto? Il dramma dell’uomo sta appunto nel volere la vita senza
fidarsi del suo Dio che gliel’ha preparata. Chi non vede in Gesù la promessa di
vita che si compie per l’uomo da parte di Dio, non sarà disposto ad accoglierlo
e non vedrà il tesoro che costituisce per la sua umanità.
La stessa
allusione, sebbene in termini assai più misteriosi, si cela nel versetto di
ingresso ‘ai derelitti Dio fa abitare una casa’ (Sal 67, 6). Se
nell’interpretazione ebraica i ‘derelitti’ sono coloro che aspettano di essere
raccolti dal Messia, nell’interpretazione patristica sono ‘gli uomini di un
solo intento’, gli uomini che vivono senza divisioni perché abitanti della casa
di Dio, la chiesa. Loro sono i piccoli, quelli che hanno preferito i sentimenti
di Dio ai propri, quelli per i quali la gioia della comunione con Dio e con i
fratelli risulta essere di gran lunga preferibile a ogni altro desiderio perché
si sono aperti ai segreti di Dio. La sapienza ha a che fare con quella gioia di
condivisione dei sentimenti di Dio per l’uomo.
Un’ultima
annotazione. La scena delle parabole è presentata come avvenisse in un momento
determinato. Invece interessa tutto il corso della vita. Sempre troviamo
'averi' che occorrerà vendere per godere appieno del nostro tesoro dove far
riposare il cuore in tutta pace. E sarà sempre la stessa dinamica in gioco: una
nuova gioia ci farà accettare il rischio, fino a che tutto di noi risplenderà
della luce di quel tesoro e via via scopriamo come il cuore si possa
costantemente rinnovare e aprire alla rivelazione del suo Signore, mai sazio di
Lui come mai sazio di vita e di amore.