Terzo
ciclo
Anno
liturgico A (2007-2008)
Tempo
Ordinario
16a Domenica
(20 luglio
2008)
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Sap
12,13-19; sal 85; Rm 8,26-27;
Mt 13, 24-43
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Vengono oggi
proclamate altre tre parabole del Regno: quella della zizzania, del lievito e
del granellino di senapa. Notiamo subito un particolare. Gesù, quando racconta
le parabole, spesso conclude con l’avvertimento: chi ha orecchi intenda! Ma
qui, l’avvertimento non è dato alla fine del racconto della parabola, ma dopo
la spiegazione stessa della parabola che avrebbe dovuto chiarirne adeguatamente
i significati nascosti. Due cose da notare: 1) con Gesù vengono ‘rivelate’ cose
nascoste fin dalla fondazione del mondo, vale a dire: tutto il mondo si regge
sul mistero di Dio e del suo amore per l’uomo e all’uomo viene data finalmente
la possibilità, con Gesù, l’Inviato del Padre, di aprirsi a quel mistero e
trovare riposo nel suo cuore; 2) il passaggio dal nascosto al chiaro è
continuo, non è mai dato una volta per tutte e segue l’evoluzione del rapporto
di intimità con Gesù, il Figlio di Dio, ‘potenza e sapienza’ di Dio.
La parabola
della zizzania potrebbe rispondere alla domanda: perché Dio non toglie di mezzo
i malvagi? Perché Dio lascia spazio al male? La domanda può essere formulata a
partire dal brano della Sapienza e dal salmo 85. Nel brano della Sapienza è
detto: “Con tale modo di agire hai
insegnato al tuo popolo che il giusto deve amare gli uomini”, dove a ‘tale
modo di agire’ si intende l’indulgenza e la mitezza con cui Dio, dotato di
forza onnipotente, agisce verso gli uomini e li giudica. Quel ‘deve amare gli
uomini’ sarebbe, letteralmente, ‘è necessario che il giusto sia amante degli
uomini’. Dove la Scrittura segnala un ‘deve’, un ‘è necessario’, vuol dire che
allude a una radice e a un compimento divini, a un esito divino della vita
umana. Anche per Gesù si dice: è necessario che il Figlio dell’Uomo patisca…
Così il salmo
85, quando riprende, come a commento del brano della Sapienza, la lode di Dio
compassionevole, pieno di amore, fedele e misericordioso, lo fa in un contesto
preciso, che è il seguente: “Mio Dio, mi
assalgono gli arroganti, una schiera di violenti attenta alla mia vita, non
pongono te davanti ai loro occhi”. E continua: “Ma tu, Signore, Dio di pietà, compassionevole, lento all’ira e pieno di
amore, Dio fedele, volgiti a me e abbi misericordia: dona al tuo servo la tua
forza”. L’invocazione a Dio misericordioso nasce dal fatto che il giusto
subisce l’azione dei malvagi e l’invocazione si traduce nella richiesta della
‘forza’, tipica di Dio, che è quella della ‘indulgenza, mitezza, pazienza…’.
La parabola
indica la storia di Dio nel mondo. Il Signore vuol fare degli uomini i figli
del Regno, ma insieme, di nascosto, è all'opera anche il Maligno che invece
vuole renderli suoi figli. L'esito della contesa tra l'uno e l'altro è
scontato: prevarrà il Regno di Dio. Il problema nasce dal fatto che, se il
Regno di Dio è reale per noi e dentro di noi, non è ancora però manifesto, per
cui l'uomo si sperimenta come un campo di tensioni contrapposte, che la venuta
di Gesù rende ancora più evidenti. Possiamo allora commentare la parabola con
rapidi flash:
- 'un nemico ha
fatto questo', cioè il male non proviene dall'intimo dell'uomo. L'uomo non è
fatto per il male, sebbene il male stia sempre con lui.
- 'mentre tutti
dormivano', il male si diffonde per la mancanza di vigilanza, per non vegliare
alle porte del cuore, sebbene sia inevitabile che il cuore si addormenti e sia
toccato dal male. È questa 'inevitabilità' del male che rende inutile ogni
lamentela, che rende inutile il condannarsi: meglio lottare e basta. Ogni forma
di lamentela è una vittoria del maligno perché fa partecipi della stessa sua
condanna.
- contrasto tra
la pazienza del padrone e lo zelo dei servi. La pazienza del padrone è data
dalla sicurezza della vittoria, mentre il falso zelo dei servi denuncia la
ristrettezza delle vedute umane, l'impazienza dell'uomo che cede al potere
della violenza, anche se camuffata da nobili ideali. Il rischio dell'uomo è
appunto tra un'assunzione indebita di responsabilità (posizione rigorista) e un
abbandono di responsabilità (posizione lassista), ambedue procedenti da una
ipertrofia dell'io che tutto fagocita, anche se stessi, rendendoci nemici a noi
stessi e incapaci di adorare il vero Dio.
È esattamente il
contesto della parabola della zizzania. Dio non toglie di mezzo i malvagi
perché sono oggetto della sua ‘pazienza’, perché i giusti possano rivelare ai
malvagi la ‘forza’ di Dio che non rinuncia al suo amore perché l’uomo lo
disattende e i giusti saranno tanto più giusti quanto più faranno risplendere
questa potenza di amore paziente di Dio.
Ora, la ragione
di tale ‘pazienza’ dei giusti è basata sulle altre due parabole, quella del
granellino di senapa e del lievito, parabole che rispondono alla domanda:
perché l’inizio del Regno è così insignificante? Dove si rivela l’evidenza del
Regno?
La parabola del
seme non insiste tanto sulla sua piccolezza, ma sulla potenza che possiede
nonostante la sua piccolezza. Il paragone del seme vale anche per la fede:
‘aveste fede come un granellino di senape…’. Non da intendere: basta che abbiate
almeno un pochino di fede. Piuttosto: aveste fede autentica, grande come un
minutissimo seme di senape… Il paragone è basato sulla potenza che il seme
racchiude. E quando questa potenza si dispiega cresce a dismisura e diventa un
albero e tutti gli uccelli del cielo (intesi dalla tradizione: i popoli pagani,
i pensieri malvagi, tutti i pensieri dell’uomo) vengono a nidificare sui suoi
rami, cioè sono attratti e lì trovano riposo. Tale potenza appartiene al seme,
non a noi: questo è il motivo profondo della fiducia del cuore rispetto al peso
della vita, al peso dei malvagi nella vita.
La parabola del
lievito mostra come l’evidenza del Regno non riguardi una cosa o l’altra. Del
‘regno’ non si può dire: eccolo qui, eccolo là. Riguarda l’insieme del mondo,
della vita, dei rapporti, dell’agire e del sentire, dell’essere e del fare.
Girolamo spiega come il lievito sia la conoscenza e la comprensione delle
Scritture, la conoscenza del mistero del Figlio di Dio fatto uomo per noi, la
gioia della scoperta del Figlio di Dio come tesoro e perla preziosa tanto da
investire tutte le proprie energie in quel cammino di scoperta e da cedere ogni
altro bene in vista di ottenere e di condividere con tutti quel tesoro. Saranno
le parabole proclamate domenica prossima. Sempre secondo s. Girolamo, la
potenza del lievito è quella di portare tutto all’unità: all’unità delle
potenze dell’anima, all’unità di spirito/anima/corpo, all’unità della famiglia
umana. È la tensione divina che attraversa la nostra storia, che per questo è
sempre storia sacra.