Terzo ciclo

Anno liturgico A (2007-2008)

Tempo Ordinario

 

11a Domenica

(15 giugno 2008)

 

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Es 19,2-6; Sal 99; Rm 5,6-11;  Mt 9,36-10,8

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Gesù, vedendo le folle, ne sentì compassione”. In questa 'compassione' prendono senso e valore tutti i gesti e le parole di Gesù per noi. È estremamente importante per il nostro cuore riuscire a percepire almeno gli echi della sua compassione. Già nell'Antico Testamento il Signore si era espresso allo stesso modo: “Il Signore disse: Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sorveglianti; conosco infatti le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo dalla mano dell’Egitto e per farlo uscire da questo paese verso un paese bello e spazioso” (Es 3,7-8). E Origene in una sua omelia su Ezechiele (VI,6) sottolinea arditamente: "Egli è disceso sulla terra mosso a pietà del genere umano, ha sofferto i nostri dolori prima ancora di patire la croce e degnarsi di assumere la nostra carne; se egli non avesse patito, non sarebbe venuto a trovarsi nella condizione della nostra vita di uomini. Prima ha patito, poi è disceso e si è mostrato. Qual è questa passione che per noi ha sofferto? È la passione dell'amore". E se Gesù prova compassione è perché sa che può dire: "Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime. Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero" (Mt 11,28-30). E ancora perché sa che, se il cuore dell'uomo cerca ristoro e non lo trova, è perché si illude di cercarlo fuori di Lui. Così, quando Gesù, mosso dalla sua compassione, invita i discepoli a pregare perché il Padre mandi operai nella sua messe, fa pregare non tanto perché mandi tanti operai, ma perché ne mandi di quelli che si muoveranno spinti dalla stessa sua compassione. Compassione, nella quale si riconosce l'amore del Padre. E gli operai che lavorassero in questa messe immensa senza essere il riflesso di questo amore e di questa compassione, non favorirebbero il ristoro del cuore degli uomini. Ma come diventare il riflesso dell'amore e della compassione di Dio per gli uomini senza la preghiera? Per questo Gesù fa pregare.

Gesù andava attorno per tutte le città e i villaggi, insegnando nelle loro sinagoghe, predicando il vangelo del regno e curando ogni malattia e infermità” recita il v. 35 che precede l'inizio del nostro brano. Quando chiama i discepoli, li fornisce delle stesse sue prerogative: 'diede loro il potere di scacciare gli spiriti immondi e di guarire ogni sorta di malattie e d'infermità'. Nessuno può proclamare la verità della vita a titolo proprio, come nessuno può procurare ristoro al cuore degli uomini a titolo proprio. La verità e il ristoro che essa procura procedono dall'alto, esprimono la compassione di Dio che raggiunge il cuore degli uomini, in Cristo. E se il discepolo non lascia intravedere chiaramente tale rimando, non è un 'chiamato', un 'inviato', lavora per la sua gloria e non potrà sanare nessuno.

Tanto che Gesù, nel suo inviare i discepoli, di ieri come di oggi, comanda i miracoli: "guarite gli infermi, risuscitate i morti, sanate i lebbrosi, cacciate i demoni". Quale uomo di buon senso può sottoscrivere seriamente queste ingiunzioni? Quando l’annuncio del vangelo pesca nella compassione di Gesù, allora il regno di Dio è percepito vicino. E da che cosa si vede? Dal potere che viene conferito ai discepoli di guarire gli infermi e cacciare i demoni. Sono i demoni, per la volontà di far condividere agli uomini la loro scelta di separazione da Dio, di grandezza ricercata sulla piccolezza degli altri, di gloria ottenuta sulla vergogna altrui, che turbano la vita, l’ammorbano, la opprimono e la mortificano. Cacciare i demoni significa tornare a far risplendere l’umanità nella sua vocazione di dignità e di comunione con Dio, con il creato, con i fratelli; significa ridare speranza ai cuori che incominciano a vedere splendere in mezzo a loro la presenza del loro Dio, Salvatore; significa tornare a far giungere ai cuori la compassione di Dio. È questo il potere del vangelo. Al di là del dono particolare, fatto a qualche discepolo, qualche volta, di fare miracoli, credo che il valore di queste 'guarigioni' che Gesù promette nell'annuncio del vangelo del regno stia tutto nel senso di procurare quel 'ristoro' che rende un cuore pieno di vita, colmo di gratitudine, solidale e ricco in umanità, puro da vedere Dio e da desiderare il bene di tutti perché Dio sia conosciuto ed il suo amore riconosciuto.