Terzo
ciclo
Anno
liturgico A (2007-2008)
Tempo
di Natale
Maria ss. Madre di
Dio
(1 gennaio
2008)
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Num
6,22-27; Sal 66; Gal 4,4-7;
Lc 2,16-21
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Il primo
gennaio, capodanno, coincide con l’ottava del Natale. La Chiesa festeggia, da
una parte, la gloria della madre nella sua divina maternità venerando la
Vergine con il titolo di ‘madre del Cristo e di tutta la chiesa’, come recita
la preghiera dopo la comunione espressamente voluta da papa Paolo VI e,
dall’altra, la verità dell’incarnazione del Figlio di Dio facendo memoria del
rito della circoncisione e dell’imposizione del nome al bambino nell’ottavo
giorno. Consacrando poi la giornata all’intercessione per la pace, la chiesa
annunzia al mondo che in Cristo è fatta pace tra cielo e terra e che la pace
tra gli uomini ne è come il riverbero, lo splendore di benedizione.
Nessuno meglio
della Vergine Maria ha potuto vedere l'estensione e la profondità della
benedizione che Dio promette di elargire: "Ti benedica il Signore e ti protegga. Il Signore faccia brillare il suo
volto su di te e ti sia propizio. Il Signore rivolga su di te il suo volto e ti
conceda pace" (Num 6, 24-26). Se la formula di benedizione riportata
nel libro dei Numeri concerne Israele, il salmo 66 la estende a tutta l’umanità
perché ormai Colui, che del Padre è lo splendore, è nato per noi. In Lui si
concentra la pienezza di benedizione, in Lui che è nato nella pienezza dei
tempi, come dice l’apostolo. Ciò significa che la Sua benedizione copre tutti i
tempi e contemporaneamente ogni genere di tempo, tutto il tempo della vita in
tutte le situazioni possibili. Quando il canto al vangelo proclama: “Dio ha parlato ai nostri padri per mezzo dei
profeti; oggi, invece, parla a noi per mezzo del Figlio” allude non
semplicemente al fatto che Colui che era stato annunciato dai profeti è venuto,
ma che in Lui si compiono tutte le possibilità dei tempi.
La colletta,
quando prega: “Padre buono, che in Maria, vergine e madre, benedetta fra tutte
le donne, hai stabilito la dimora del tuo Verbo fatto uomo tra noi…”, riprende
la dichiarazione di Giovanni: “E il Verbo
si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” (Gv 1,14). Ma anche la
promessa di Gesù ai discepoli: “Se uno mi
ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e
prenderemo dimora presso di lui” (Gv 14,23). La benedizione di Dio per
l’uomo consiste proprio nel suo dimorare fra noi, in noi. L’aspetto
straordinario, sconvolgente, dell’amore di Dio per l’uomo, che però spesso
nemmeno siamo più capaci di percepire, è dato dal fatto che possiamo essere
accolti in quella stessa intimità di vita e di relazione che esiste tra il
Padre e il Figlio e che ci è fatto dono di quella stessa intimità. Sembra
strano, ma soltanto da dentro quella intimità possiamo sperare di compiere la
volontà del Padre nella nostra vita e sentirci avvolti dalla sua benedizione.
Se prima non si gusta la volontà di benevolenza di Dio nei nostri confronti,
che si esprime nella benedizione che è il Cristo per noi, come poter arrivare
alla gioia dell’osservanza dei comandamenti e ad essere operatori di pace? Se
non capiamo come Cristo non antepose nulla all’amore per noi, come possiamo noi
non anteporre nulla all’amore per Cristo e ritrovarci amati dal Padre, che nel
suo Figlio ha posto tutta la sua compiacenza? Il mistero della benedizione di
Dio sull’uomo sta tutto qui e tutta la vita della Vergine, come il suo parto
prodigioso, è lì a dimostrarlo.
Gli angeli,
apparendo ai pastori, annunciano “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in
terra agli uomini di buona volontà” (tradotto anche: ‘agli uomini che egli
ama’). Il significato più veritiero di questa lode sta nell’affermare che, se
gli uomini vogliono vedere il volto sorridente di Dio nei loro confronti,
vogliono essere accolti dallo splendore del suo sguardo benevolo e compiaciuto,
come descrive il libro dei Numeri, devono compiacersi di quel Figlio, in quel
Figlio, sul quale si concentra tutta la benevolenza assoluta di Dio. E non in
quel Figlio eterno, ma in quel Figlio fatto uomo, che ha preso carne, che
conosce il nostro patire, che condivide le nostre aspirazioni, i nostri
sentimenti. Quel Figlio è il Volto sorridente del Padre, quel Figlio è la
benedizione invocata sull’umanità, quel Figlio è il nome pronunciato e posto
sull’umanità perché l’uomo e Dio riconoscano la mutua appartenenza. È quello
che la vergine Maria proclama nella sua divina maternità, come le icone del
Natale sottolineano. La Vergine non è rappresentata china sul proprio bambino,
ma rivolta ai pastori e al mondo a proclamare che quel ‘figlio’ è la
benedizione per loro.
Benedizione, che
possiamo ripetere a ciascuno e su ciascuno intendendo:
- che tu possa
sentirti dentro confini di benevolenza, possa sentire alleata la vita e Padre
tuo il tuo Dio
- che il volto
del Signore si riveli al tuo cuore e faccia brillare il tuo volto del suo
splendore
- possa fare
esperienza del Suo perdono, del Suo farsi grazia a te e sentirti fortificato,
imprendibile, per il legame di intimità che ti nasconde nella Sua pace. E così
apparterrai al Suo amore, non desiderando altro se non di attrarre a questo
amore tutto e tutti finché ci si possa riposare insieme nella Sua benedizione.
La realtà
dell’incarnazione comporta anche la variabile tempo. Ogni cosa ha il suo tempo,
ogni cosa ha bisogno del suo tempo.
Anche la Vergine Maria ha avuto bisogno di tempo per ‘assuefarsi’
all’agire di Dio. Il brano evangelico la descrive come colei che “serbava tutte
queste cose meditandole nel suo cuore”. Evidentemente perché anche per lei la
realtà non svelava il suo mistero di colpo. I due verbi, serbava e meditando
significano più direttamente: teneva se stessa e queste cose insieme in cuore,
facendole rimbalzare l'una sull'altra in modo da ottenerne una visione
d'insieme. Sono termini che illustrano il metodo di lettura delle Scritture:
una parola si illumina con un'altra parola ed il senso che ne scaturisce si
riverbera nel cuore aprendo la parola al cuore ed il cuore alla parola. E non
se ne tralascia nessuna: tutte queste cose del testo sono sia le parole udite
(dall'angelo, dai profeti, dai pastori) sia gli eventi successi; non si cerca
solo quella 'adatta' a me, ma ci si 'adatta' a loro tutte, insieme. Non si
preferisce un tempo (il tempo della gioia, del godimento), ma si tengono
insieme tutti i tempi (anche il tempo del dubbio, dell’afflizione). Allora,
poco a poco, anche al nostro cuore si svelerà quella ‘benedizione’ che Dio ha
posto sull’umanità e la vita torna a risplendere della presenza del nostro Dio.