Terzo ciclo
Anno liturgico A (2007-2008)
Solennità e Feste
Ss. Trinità
(18 maggio 2008)
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Es
34,4-9; Sal
3,52-56; 2Cor 13,11-13; Gv 3,16-18
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La finale della seconda lettera ai
Corinzi riporta la formula più chiaramente trinitaria di tutto il Nuovo
Testamento, che la liturgia usa come saluto iniziale della celebrazione
eucaristica: “La grazia del Signore Gesù
Cristo, l’amore di Dio [Padre] e la comunione dello Spirito Santo siano con
tutti voi”. In questa formula è singolare che Gesù, che pur rappresenta per
noi l’espressione stessa dell’amore (“li
amò sino alla fine”, Gv 13,1), non sia definito
in rapporto all’amore, termine che invece è riservato al Padre. E noi potremmo
pensare: se Gesù tanto ci ha amato, quanto ci amerà il Padre, che è l’Amore
stesso? È esattamente il punto di rivelazione della festa di oggi.
Per coglierlo ci riferiamo alla
rivelazione di Dio a Mosè sul Sinai, oggetto della prima lettura, sulla quale
concentriamo la nostra attenzione. La narrazione è ripresa dal cap. 34 dell’Esodo,
che forma però un tutt’uno con i capitoli precedenti 32 e 33. Il popolo si è
traviato: ha voluto un ‘dio’ su misura e si è costruito il vitello d’oro. Mosè,
scendendo dalla montagna, spezza le tavole della legge che il Signore aveva
tagliato e scritto, punisce gli idolatri, sposta la tenda del convegno fuori
dell’accampamento e il popolo fa lutto, accompagnando la supplica di Mosè al
Signore perché perdoni il grave peccato. In questo contesto Dio ordina a Mosè
di far riprendere al popolo il cammino verso la terra promessa, ma negando la
sua presenza diretta. Mosè non acconsente e lotta per il suo popolo con Dio e
gli avanza tre richieste: ‘indicami la
tua via così che io ti conosca’ (33,13); ‘mostrami la tua Gloria’ (33,18); ‘che il Signore cammini in mezzo a noi’ (34,9). A tutte e tre le
richieste Dio cede, mostrando però che la sua realtà può essere goduta solo
entro certi limiti: Dio si mostra, ma non fa vedere il suo volto (33,20); la
proclamazione del ‘Nome’ implica che l’uomo possa conoscere ciò che Dio fa e
farà a suo favore (34,6); Dio stabilisce un’alleanza, ma le tavole della legge
e le parole ivi scritte non sono più opera diretta sua, ma di Mosè (34,28).
Se queste pagine sublimi si leggono
nell’ottica della rivelazione del Figlio, allora la loro densità si esprimerà
in tutta la loro portata. Gesù di sé ha detto: ‘io sono la via, la verità e la vita…’ (Gv 14,6). Ma è via per il Padre, è verità di rivelazione
del Padre, è datore di vita che viene dal Padre. Il desiderio di Mosè per sé e
per il suo popolo si compie. Quel desiderio esprimeva non semplicemente la
conoscenza di Dio, ma la conoscenza del favore di Dio per il suo popolo, il
quale lo poteva sperimentare nel fatto che Dio l’accompagnava per arrivare alla
terra promessa. La conoscenza di Dio ha sempre a che fare con il cammino della
nostra vita diretto alla meta agognata. È rispetto a quella ‘conoscenza’ che
l’uomo desidera vedere la gloria di Dio, cioè lo splendore del suo amore per
noi. Splendore, che si compie nel fatto che non solo Dio viene ad abitare in
mezzo a noi, ma che abita in noi: “E il
Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi vedemmo la sua
gloria, gloria come di unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità … Dio
nessuno l' ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre,
lui lo ha rivelato (Gv 1,14.18); “Se uno mi ama,
osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e
prenderemo dimora presso di lui” (Gv 14,23).
Il nome che Dio proclama: “Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira
e ricco di grazia e fedeltà” (Es 34,6) si
riassume nell’esperienza che ‘il Signore è per noi’, esperienza che Gesù fa
splendere in tutta la sua bellezza. Chi ci apre a quella esperienza è proprio
lo Spirito Santo il quale ci mette in comunione proprio con l’amore del Padre,
di cui il Figlio è la grazia di verità per noi. Lo Spirito ritorna a scrivere
direttamente sul nostro cuore le parole di Dio di modo che noi non le
professiamo semplicemente ricordando che sono parole di Dio, ma vivendole
direttamente come mozione di Dio in noi.
Non dobbiamo tuttavia dimenticare che
il contesto della rivelazione di Dio sul Sinai come sul Calvario, se esprime
l’immensità dell’amore di benevolenza di Dio per i suoi figli, per noi diventa
esperibile solo ‘facendo lutto’, solo riconoscendo la nostra insensata
idolatria e consegnandoci di nuovo interamente nelle mani del Dio Vivente.
Tutta la Scrittura ricorda come quell’esperienza sia la più sublime e la più
tormentosa, la più agognata e la più temuta. Non è così facile spiegarne il
perché nonostante non ci manchino le ragioni di comprensione, che però il cuore
stenta ad accogliere. Eppure, anche per noi risulta vera la proclamazione
evangelica: “Dalla sua pienezza noi tutti
abbiamo ricevuto e grazia su grazia. Perché la legge fu data per mezzo di Mosè,
la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo” (Gv 1,16-17). Se l’uomo cerca la verità, la verità di cui ha
sete il suo cuore è una verità di grazia e contemporaneamente una grazia di
verità. La festa di oggi invita ciascuno a vivere la propria vita
nell’atteggiamento di chi si dispone ad accogliere nel suo cuore la grazia di verità che il Signore Gesù
testimonia rivelando l’amore del Padre.