Terzo
ciclo
Anno
liturgico A (2007-2008)
Tempo
di Avvento
3a Domenica
(16 dicembre
2007)
_________________________________________________
Is
35,1-10; Sal 146; Gc 5,7-10; Mt 11,2-11
_________________________________________________
La liturgia di
oggi fa da contrappunto alla domanda di Giovanni Battista e alla risposta di
Gesù. Il Battista, alla fine della vita, si è accorto che Gesù non corrisponde
all'immagine del Messia che si era fatto e tuttavia non cessa di riferirsi a
lui. Gesù risponde al Battista usando il linguaggio delle Scritture, che il
Battista conosceva: "Andate e
riferite a Giovanni ciò che voi udite e vedete: i ciechi ricuperano la vista,
gli storpi camminano, i lebbrosi sono guariti... E beato colui che non si
scandalizza di me". L'espressione di Gesù è un assemblaggio di vari
passi del profeta
Isaia: se ciò
che dice il profeta si avvera, allora Dio davvero si mostra - questo è il senso
delle parole di Gesù; allora puoi avere fiducia in me. E se conclude con la
beatitudine "beato chi non si scandalizza di me", è per sottolineare
che se Lui viene accolto, viene per davvero il Regno di Dio, Dio è per davvero
con noi, la Sua presenza per davvero risplende.
Le opere a cui
accenna Gesù sono opere di Dio: quale uomo può vantarsi di far vedere i ciechi,
sanare i lebbrosi, risuscitare i morti? E Dio non ha atteso la conversione
degli uomini per compiere quelle opere; anzi, la conversione deriverà proprio
dal vedere che Gesù compie quelle opere e quindi che Dio è con noi. Ma pur
vedendo, quanti crederanno? Quanti rimetteranno in discussione l'accoglienza di
Gesù come Inviato di Dio in ragione proprio del fatto che la sua apparizione
risulterà troppo diversa da ciò che si immaginavano!
L'immagine di
Dio che accarezziamo spesso risponde al desiderio di
vendetta: i
cattivi devono sparire, i buoni devono prevalere. Evidentemente, in nome di una
'giustizia' divina, ma pensata in termini troppo mondani.
Gesù scombina
quell'immagine. Di lui si dirà che sta con i peccatori, che mangia e beve, che
finisce per essere annoverato tra i malfattori, che soccombe e muore: come
ritenerlo 'il Dio con noi' se quel Dio non stabilisce la giustizia come noi
immaginiamo? Paolo dice che gli ebrei cercano la giustizia (la religiosità) e i
pagani la sapienza, mentre Dio, in Gesù, mostra debolezza e follia. Gesù può
allontanare da Dio: è questo lo scandalo. Se per gli antichi era facile mettere
in discussione Gesù nella sua verità umana, per noi moderni è facile metterlo
in discussione per la sua verità divina. Ciò significa che la portata dello
scandalo non è esaurita.
La liturgia di
oggi, consapevole della vicinanza del mistero del Natale che ci prepariamo a
celebrare e della perenne portata di scandalo di quell'evento, indica la porta
di accesso per il mistero di Dio in Gesù.
Invita alla
gioia, alla letizia, che suona scandalosa per la carne. Se l'uomo fosse davvero
giusto, potrebbe gioire. Ma può l'uomo trovare nella sua giustizia la fonte
della letizia? Così, se l'uomo potesse vantarsi di una scienza sicura e
potente, potrebbe gioire. Ma può derivare all'uomo la letizia dalla potenza
della scienza? Tutti ci rendiamo conto dell'illusione di una letizia che avesse
tali radici.
Ora, proprio la
possibilità di una letizia che non ha bisogno di trovare nella propria
giustizia e nella propria scienza la radice della sua desiderabilità rivela al
cuore dell'uomo la presenza finalmente del Dio con noi, del Dio che
accondiscende alla nostra umanità perché risplenda della sua luce sanante. Gesù
rivela questo al Battista e quando ne tesse l'elogio non fa che mettere in
risalto la grandezza della sua umanità, tutta protesa al mistero di Dio, ma che
a paragone della ricchezza di verità che viene da Dio risulta essere
assolutamente incompiuta. Ma l'ammissione di tale incompiutezza è espressione
della vera grandezza del Battista, che riconosce nel Figlio dell'uomo la
'grazia della verità' che viene da Dio.
Il movimento
interiore del Battista esprime la traiettoria dello stesso movimento che
caratterizza il nostro cuore. Anche noi siamo nella sua condizione e, come lui,
per vivere fino in fondo la nostra vocazione all'umanità, abbiamo bisogno di
affidarci all'Inviato di Dio e di imparare a modellare le nostre attese sul
compimento effettivo delle opere di Dio che in Gesù si manifestano. Il segnale
dell'accoglienza di quell'Inviato è dato proprio da quel principio di letizia
che possiede il cuore senza aver alcun altro titolo per goderla se non che
quella è il dono dell'incontro con il Salvatore che si è fatto nostro vero
prossimo.
Quando Giacomo,
nella sua lettera, invita alla pazienza, vuole invitarci ad attendere la
manifestazione del Salvatore al nostro cuore finché essa diventi radice di
letizia. Solo allora non scambieremo più le nostre opere con la pretesa di
giustizia o la nostra scienza con la rivendicazione di potere e sapremo
rapportarci a tutti nella condivisione di quella letizia che fa conoscere a
tutti l'amore salvatore di Dio.
Sarà il senso
della gioia del Natale scoperta come radice di speranza per il mondo che trova
nella presenza del 'Dio con noi' la ragione profonda della sua storia.