Terzo
ciclo
Anno
liturgico A (2007-2008)
Tempo
di Avvento
1a Domenica
(2 dicembre
2007)
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Is
2,1-5; Sal 121; Rm 13,11-14;
Mt 24,37-44
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Con l’Avvento
inizia un nuovo ciclo liturgico. Proprio alla sua apertura, la liturgia
suggerisce subito una visione spirituale del tempo, non più concepito
semplicemente come una successione lineare di istanti, ma essenzialmente come
un riverbero dell’eterno dove il tempo ha senso solo nel suo riferimento ad un
mistero che vi si dispiega. Il periodo dell’Avvento ha come scopo diretto la
preparazione alla festa della nascita di Gesù, ma guarda a quel mistero con un
movimento che parte dal futuro ritornando indietro. La prima domenica mostra la
visione del Cristo che verrà alla fine dei tempi; la seconda e la terza
domenica mettono in scena la testimonianza di Giovanni Battista riguardo a Gesù
all’inizio della sua predicazione, per arrivare, nella quarta domenica, a
riconoscere in quel Bambino nato a Betlemme proprio colui di cui i profeti
parlavano e che sarà, come Figlio dell’uomo, il giudice supremo.
La nota
caratteristica della liturgia dell’avvento è l’invito alla vigilanza. Ciò
significa che il mistero della venuta di Gesù non si presenta con evidenza. È
un mistero di cui dobbiamo imparare a riconoscere i contorni, le linee di
sviluppo, il senso. Si tratta di una venuta di Gesù nella parola: è la parola
che presiede alla creazione e che costituisce il senso segreto delle cose, come
anche è la parola che manifesta il volere di bene di Dio per l’uomo
comunicandogli la sua santità; di una venuta nella carne: la parola, per mezzo
della quale le cose furono create e fu conosciuto il volere di bene di Dio,
diventa essa stessa visibile e prende forma e volto umani, a sottolineare la
prossimità di Dio con l’uomo e dell’uomo con Dio; di una venuta nella gloria
quando, ormai dispiegato tutto il mistero dell’amore di Dio per l’uomo, tutti
lo riconosceranno e ne godranno lo splendore.
Il mistero si
regge insieme e tutti e tre gli aspetti si richiamano. Ma la percezione che di
quel mistero noi abbiamo, nel tempo, è appena percettibile. Siamo invitati a
diventare più percettivi, più sensibili al suo splendore. Prendiamo la prima
lettura, tratta dal profeta Isaia. Il profeta parla della fine, parla del monte
Sion e di Gerusalemme, parla del dono della pace; il tutto da afferrare nella
luce di Dio. La visione profetica annuncia per il futuro quello che costituisce
il sogno per il cuore dell’uomo. E se l’annuncia già ora, vuol dire che l’uomo
può incominciare a percepirne il mistero e ad orientare la sua vita in tal
senso. Il salmo così appunto interpreta e invita a muovere i propri passi verso
la casa del Signore, che diventa l’orientamento del cammino della vita e motivo
di responsabilità nell’agire.
È la lettura di
san Paolo a indicarci la natura di quella ‘luce’ che ci fa intravedere il
mistero in atto: “Rivestitevi invece del
Signore Gesù Cristo e non seguite la carne nei suoi desideri”. Come anche
altrove dice: “Abbiate in voi gli stessi
sentimenti che furono in Cristo Gesù” (Fil 2,5). Sono quelle ‘le armi della
luce’ da indossare, per attraversare la storia e realizzare la nostra vocazione
all’umanità come prossimità di Dio all’uomo e dell’uomo a Dio.
Il brano di
vangelo, invece, invita alla vigilanza contando sul fattore sorpresa, con un
ragionamento del tipo: se riconoscere la venuta di Gesù è essenziale al nostro
vivere, dato che non verrete preavvertiti, allora state vigili. Il non essere
preavvertiti allude non tanto alla possibile fine del tempo, ma al fatto che
non siamo padroni del tempo; l’essere vigili, al fatto che ogni tempo della
nostra vita si può aprire al mistero di Dio che viene, perché lui non è
impedito da nulla. Allora, perché non cercare di tenere aperto ogni tempo a che
la venuta del Signore si riveli al nostro cuore? In effetti, l’immagine del
ladro che viene inaspettato va unita all’altra, che leggiamo nell’Apocalisse: “Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno
ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli
con me” (Ap 3,20). Quel ‘ladro’ è poi il Signore che sta alla porta e
bussa, vale a dire che sempre cerca l’accesso al nostro cuore finché gli apra
la porta e possa condividere la sua gioia. Dietro l’urgenza del tempo sta il
desiderio di Dio di essere in compagnia degli uomini e dietro il desiderio di
Dio, quando lo percepiamo, c’è il riconoscimento che i sogni del nostro cuore
parlano di quel desiderio.
Pregare con il
canto al vangelo: “Mostraci, Signore, la tua misericordia”, significa cogliere
l’eco di quel desiderio di Dio che intende come germogliare dentro il nostro
cuore. Fare esperienza della sua misericordia significa accorgersi e
accompagnare la fioritura di quel germoglio. Germoglio che, come fiorisce
dall’umanità della Vergine perché tutti ne possiamo contemplare la bellezza,
così anche fiorisce dal cuore di ciascuno perché la nostra umanità ritrovi lo
splendore della sua bellezza.