Secondo
ciclo
Anno
liturgico C (2006-2007)
Tempo
di Pasqua
Domenica delle
Palme
(1 aprile
2007)
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Lc 19,28-40// Is 50,4-7; sal
21; Fil 2,6-11; Lc 22,14-23,56
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La liturgia di
oggi dà inizio alle celebrazioni della Settimana Santa. Accompagneremo Gesù nel
suo cammino di passione, allorché il sentimento che occupa la scena è sgomento,
dolore, confusione, imparando a stare solidali con Colui che votò la sua vita a
stare solidale con i peccatori, dalla parte di Dio. Un sentimento di esultanza,
di euforia quasi, introduce agli avvenimenti pasquali: Gesù entra trionfalmente
in Gerusalemme acclamato da ali festanti di discepoli. Assai presto, molto
presto quell’euforia cederà il passo alla paura, alla vergogna, alla
confusione, al tradimento e all’accusa. E quando tutto sarà compiuto, quando
tutto sembrerà ormai definitivamente cancellato nel silenzio della morte che
tutto sigilla nell’oblio, risuonerà ancora un grido di gioia la domenica di
Pasqua, ma questa volta senza nessuna euforia, come strappato a forza,
trasfigurante nella sua assoluta imprevedibilità. Sarà il grido, non che vince
la morte, ma che l’attraversa, che l’assume, che la libera dai suoi confini
mondani aprendola allo splendore del mistero di Dio.
Nel racconto di
Luca Gesù aveva puntato diritto a Gerusalemme nel corso del suo ministero. E’
ormai alle sue porte, sta per entrarvi perché sa che è giunta la sua ora e non
si sottrae più all’acclamazione festosa dei discepoli. Loro forse pensano altra
cosa rispetto a quello che ha in mente Gesù, ma sottolineano comunque la sua realtà
di Messia liberatore, di Inviato di Dio per il suo popolo, la Benedizione che
rappresenta per loro tutti da parte di Dio. Ma appena terminata la processione,
quando ha inizio la liturgia eucaristica, il tono muta profondamente: emergono
allora i pensieri di Gesù, quelli che i discepoli non potevano leggere, si
intravedono i pensieri di Dio sul suo Figlio venuto a rivelare l’amore del
Padre per gli uomini. Subito la colletta fa pregare: “Dio onnipotente ed
eterno, che hai dato come modello agli uomini il Cristo tuo Figlio, nostro
Salvatore, fatto uomo e umiliato fino alla morte di croce …”. Non c’è più
nemmeno l’ombra dell’esultanza di prima. Viene letto il terzo canto del Servo
del Signore del profeta Isaia: “Ho presentato il dorso ai flagellatori, la guancia
a coloro che mi strappavano la barba; non ho sottratto la faccia agli insulti e
agli sputi…”. Si canta il salmo 21: “… hanno forato le mie mani e i miei piedi,
posso contare tutte le mie ossa. Si dividono le mie vesti, sul mio vestito
gettano la sorte”. Se sentissimo proclamare per la prima volta queste parole
scritte molti secoli prima di Gesù e pensassimo agli eventi della sua
passione-crocifissione resteremmo folgorati! Tutto è descritto nei minimi
dettagli! Incredibile. E s. Paolo canta la figura di Gesù nella sua passione
d’amore per gli uomini: “…spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e
divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso
facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce …”. E viene poi annunciato
solennemente il racconto evangelico della passione di Gesù.
Su questo Gesù
la chiesa invita a fissare gli sguardi, in tutta la sua consistenza umana e
storica, in tutta la potenza della sua rivelazione di quanto Dio ama gli
uomini, di quanto gli uomini sono preziosi per Lui, di quanto venga
rivoluzionata la vita se vissuta dentro e a partire dal Suo amore. Come
stupendamente ci ricorda la lettera agli Ebrei: “tenendo fisso lo sguardo su
Gesù, autore e perfezionatore della fede. Egli in cambio della gioia che gli
era posta innanzi, si sottopose alla croce, disprezzando l’ignominia, e si è assiso alla destra del trono di Dio.
Pensate attentamente a colui che ha sopportato contro di sé una così grande
ostilità dei peccatori, perché non vi stanchiate perdendovi d’animo” (Eb
12,2-3).
Quando la
colletta ci propone Gesù come modello intende sì porci davanti agli occhi il
Gesù fatto uomo e umiliato, e fino a che punto umiliato!, ma non per suggerirci
un modello di umanità sofferente. Gesù resta modello perché se vogliamo
realizzare la nostra vocazione all’umanità, se vogliamo vivere la nostra
umanità in tutta l’estensione della sua potenzialità, non possiamo non rifarci
a Lui che di questa umanità ha svelato tutta la bellezza nel suo stare fedele
in comunione con Dio, dalla parte degli uomini ed in comunione con gli uomini,
dalla parte di Dio. E la sua bellezza traspare proprio nel momento in cui,
sfigurato dal dolore e calpestato, non rinnega l’alleanza di Dio ed apre, per
lui e per tutti, la promessa di una vita inattaccabile dalla morte. Ed è la sua
bellezza a generare speranza, quella di cui il mondo oggi, come sempre, ha
tremendamente ed urgentemente bisogno.