Secondo ciclo

Anno liturgico C (2006-2007)

Tempo di Quaresima

 

Mercoledì delle Ceneri

(21 febbraio 2007)

 

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 Gioele 2, 12-18; Sal 50; 2 Cor 5, 20 - 6, 2; Mt 6, 1-6.16-18

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Inizia la Quaresima, ecco il rito delle ceneri: "Ricordati che sei polvere e in polvere ritornerai". Certamente ognuno di noi tende a sentirsi e a comportarsi come immortale e non è male che in qualche occasione ci si ricordi che la realtà non segue i nostri sogni. Ma il senso del rito celebrato in chiesa ha tutta un'altra portata. Ritorniamo al racconto della creazione di Adamo, quando Dio prese della polvere della terra, la plasmò e con il suo soffio la rese essere vivente. Nel salmo 50 si dice che Dio gradisce un cuore contrito. Il termine contrito, dal latino 'conterere', allude proprio a questo rendere polvere il cuore. Quando ci sentiamo afflitti, quando subiamo un'offesa, un'ingiustizia, quando subiamo una prova, senza ribellarci o adirarci, è come se il nostro cuore venisse pestato fino ad essere ridotto in polvere. E' reso polvere quando non ha più diritti da avanzare, da rivendicare. Allora, come polvere della terra, Dio lo può plasmare di nuovo ed il nostro cuore rinasce come essere nuovo, capace di sentimenti nuovi, più umani e divini allo stesso tempo. E' il senso appunto della penitenza quaresimale: riconsegnare il nostro cuore a Dio perchè possa essere di nuovo modellato da Lui. Come ci avverte il profeta Gioele: sarà possibile convertirsi al Signore senza spogliarsi delle vanità e illusioni del vivere quotidiano? Cercheremmo il Signore se potessimo soddisfarci con le nostre vanità e con i nostri soprusi? Ricordarci allora della nostra finitudine significa intravedere la possibile dignità della vita che scaturisce dall’incontro con il Dio vivente. In effetti, se impariamo a percepire il senso del mistero che viviamo, il cuore scoprirà nuove energie per viverlo fino in fondo e troverà finalmente quella gioia che cerca, nonostante non manchino i tormenti.

La prima parola della liturgia di quaresima suona: "Tu ami tutte le tue creature, Signore, e nulla disprezzi di ciò che hai creato; tu dimentichi i peccati di quanti si convertono e li perdoni, perché tu sei il Signore nostro Dio " (antifona d'ingresso). In questa professione di fede e di amore si innesta l'invito alla penitenza, tipica del tempo quaresimale. Salta agli occhi il contrasto tra l'austerità del cammino penitenziale quaresimale e la levità a cui la Chiesa esorta sulla base delle parole di Gesù ai suoi discepoli: "quando digiunate, non assumete aria malinconica ... tu invece profumati la testa e lavati il volto ...". E' il contrasto tra penitenza secondo gli uomini e conversione secondo Dio. Quale la ragione? La conversione è il ritorno ad un'intimità, ad un percepire sempre più intensamente la presenza di quel Dio che ci ha amati e che ci chiama al Suo amore; è un imparare a vedere le cose a partire da questa intimità con Dio. Scompare la 'scena' sia esteriore che interiore. C'è scena dove non c'è intimità, dove non si riesce mai ad entrare nella camera segreta, a stare in compagnia di Dio senza servirci di tale presunta compagnia per altri scopi. La penitenza ha lo scopo appunto di toglierci da questa scena, di toglierci questa scena. E se non produce intimità vuol dire che non raggiunge lo scopo.

Il brano evangelico descrive l’atteggiamento penitenziale in tre ambiti: elemosina, preghiera e digiuno. La dimensione negativa è stigmatizzata nell'ipocrisia, mentre la dimensione positiva risulta sottolineata dalla capacità di relazionarsi al prossimo (l'elemosina, oltre che una sorta di restituzione, è un atto fraterno, una condivisione, un riconoscimento del prossimo come nostro fratello) e a Dio (la preghiera è abolizione del 'teatro', cioè del fare le cose per essere visti sia dagli altri che da se stessi; il digiuno serve come sostegno alla preghiera, all'agire interiore pulito e retto, contrassegnato dalla gioia del cuore che va incontro al proprio Dio e di conseguenza è libero di incontrare i suoi fratelli). L'ipocrisia è la deviazione dello scopo di un'azione (la faccio per me piuttosto che per Dio) con l'aggravante del bisogno di fare teatro (faccio un'azione davanti agli uomini piuttosto che al cospetto di Dio). L'ipocrisia può essere soggettiva, vale a dire che perseguo scopi meschini e interessati nel compiere un'azione buona oppure semplicemente oggettiva, nel senso che io sono in buona fede, ma mi limito all'azione esteriore senza coinvolgere la conversione del cuore. Una penitenza di questo tipo non solo non porta frutti secondo lo Spirito, ma macchia il cuore nel senso che lo rende insensibile al mistero di Dio e dell'uomo. L'elemento che suggerisce meglio la corrispondenza dell'azione esteriore con la conversione interiore del cuore è appunto la gioia, quel senso di levità, di non seriosità con cui si compiono le buone opere lontani da quel dannato senso di importanza che ci diamo o da quell'ottuso bisogno di affermazione presso gli altri che ci divora. E' significativo che la chiesa, all'inizio del cammino quaresimale, ricordi proprio questa condizione di levità con cui occorre compiere tutte le opere di penitenza. E' il modo più autentico per far rimarcare come le opere di penitenza non riguardino che la conversione del cuore e la conversione del cuore non consista in altro che in una capacità di 'fare incontro' con Dio, con il prossimo, con noi stessi. La ricompensa promessa non ha nulla a che fare con la paga dovuta al lavoro fatto; riguarda solo la rivelazione e la pienezza che gusta il cuore quando viene incontrato da Qualcuno di cui porta il desiderio, quando si apre alla vita di una relazione che trasforma totalmente il suo modo di vedere e di sentire.

C’è ancora un aspetto della penitenza sottolineato dall'esortazione di Paolo ad essere collaboratori di Dio, collaboratori al mistero della riconciliazione perché gli uomini possano fare esperienza dell'amore di Dio. Fare le opere davanti agli uomini significa privare gli uomini dell'occasione di porsi davanti a Dio. Fare le opere davanti a Dio significa porsi dentro questo mistero di riconciliazione  con tutto il bisogno dei nostri cuori di essere perdonati e di scambiarsi il perdono vicendevolmente, come segno dell'amore di Dio arrivato fino a noi. Ogni tipo di penitenza gradita a Dio ci ottiene l'inserimento in questo mistero di riconciliazione, dove, per la verità dell'amore provato, non c'è più spazio per la 'scena', nemmeno in noi stessi.