Secondo
ciclo
Anno
liturgico C (2006-2007)
Tempo
di Quaresima
5a Domenica
(25 marzo
2007)
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Is 43,16-21; sal 125;
Fil 3,8-14; Gv 8,1-11
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Con quale
sincerità e intensità sarebbero risuonate sulla bocca di quella donna spiata,
scoperta, strattonata, minacciata, giudicata e poi lasciata sola perché potesse
essere perdonata da Gesù, le parole del salmo: “Grandi cose ha fatto il Signore
per noi, ci ha colmati di gioia” (Sal 126,3)! È da dentro questa gioia
inattesa, confusa, che si apre per il cuore uno spazio di intimità tutto nuovo,
secondo quella novità di cui parla il profeta Isaia: “Ecco, faccio una cosa
nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?” (Is 43,19). È lo spazio di
una ritrovata dignità, che si percepisce dal tono dolce con cui ci viene
rivolta la parola in quella intimità di benevolenza con cui veniamo accolti e
che ci guarisce dal di dentro: “Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non
peccare più”.
All’inizio, dopo
il perdono del nostro peccato, non riusciamo ancora a sentire l’amore che ci
viene donato. Tutto resta ancora assai confuso, ma emerge subito chiaro il
senso di una dignità ritrovata. Tutto ciò che di male abbiamo commesso, quando
siamo davanti al Signore Gesù, resta scritto sulla polvere. Soltanto però il
male riconosciuto, quello che non viene taciuto o giustificato, resta scritto
sulla polvere. Quello che non è riconosciuto, quello che non è espresso, quello
che si mantiene nascosto, resta in cuore e impedisce la scoperta della
benevolenza di Dio. Tutti gli accusatori della donna se ne devono andare
perché, effettivamente, non sono così stupidi da immaginare di essere senza
peccato. Non avevano quel peccato di cui accusavano la donna, ma ne avevano
altri. Ma loro non hanno fatto esperienza della benevolenza di Dio. La donna,
invece, scoperta in flagrante adulterio, non potendo nascondere nulla, resta
davanti a Gesù: non si scusa, non rivendica, e ritrova la dignità del suo cuore
nella benevolenza di Gesù. Una volta confermati in quella dignità e in quella
benevolenza, il cuore incomincia a sentire l’amore che ci ha toccati,
incomincia a sentire il desiderio di rispondere a quell’amore fino a modellare
tutta la sua vita su di esso e in esso. Ma se prevalessero le nostre
rivendicazioni, le voci del passato, delle sofferenze passate, come ritrovare
la dignità?
La logica
interiore di quella esperienza è ben descritta da s. Paolo, nella lettera ai
Filippesi: “Tutto io reputo una perdita di fronte alla sublimità della
conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore … perché io possa conoscere lui, la
potenza della sua resurrezione, la partecipazione alle sue sofferenze … mi
sforzo di correre per conquistarlo, perché anch’io sono stato conquistato da
Gesù Cristo… dimentico del passato e proteso verso il futuro…”. Di fronte a quella ‘carità’, che vorremmo
riempisse tutta la nostra vita, tutto è reputato una perdita. Non puoi non
tendere a ciò da cui è venuto per te il
senso della tua dignità e la scoperta della benevolenza di Dio verso gli
uomini. Non puoi più stare riverso sul tuo passato, ormai abbandonato alla
polvere: non puoi che guardare al futuro di Dio che viene a te nella
condivisione del suo progetto di bene e di salvezza per gli uomini.
L’inganno che
può ancora nascondersi nelle pieghe dell’anima resta ormai quello di
‘dimenticare’ il proprio peccato e perdere così la solidarietà con i nostri
fratelli peccatori. Il segno di tale dimenticanza è ravvisabile nel momento in
cui mi difendo dai miei fratelli, rivendico qualcosa da Dio contro i miei
fratelli. Ciò significherebbe che la benevolenza di Dio è diventata per me un
diritto, perdendo tutta la profondità dell’intimità con cui mi era stata
rivolta.
S. Cipriano
ricorda, nel suo commento al Padre Nostro, che all’invocazione ‘rimetti a noi i
nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori’, la prima cosa che
domandiamo non è la generosità per essere capaci di perdonare, ma la coscienza
di essere peccatori, bisognosi noi di misericordia. Sentendoci peccatori, non
abbiamo diritti e possiamo sperimentare in tutta la sua dolcezza il perdono di
Dio, perché siamo solidali con tutti i nostri fratelli, non avendo alcun motivo
di rivendicazione nei loro confronti e quindi non separandoci da loro per
nessun motivo. E così facendo restiamo nella carità di Dio per gli uomini.