Secondo
ciclo
Anno
liturgico C (2006-2007)
Tempo
di Pasqua
6a Domenica
(13 maggio
2007)
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At 15,1-2.22-29; sal 66; Ap
21,10-23; Gv 14,23-29
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La liturgia di
oggi predispone due piste per accedere alla rivelazione che comportano i testi
scritturistici. Se partiamo dalla colletta, vediamo che essa riassume la
tensione della preghiera della chiesa in questa dinamica: ‘testimoniare nelle
opere il memoriale della Pasqua che celebriamo nella fede’, dinamica che trova
la sua ragione nel canto all’ingresso: ‘il Signore ha liberato il suo popolo’.
La liberazione che si attua nel memoriale della Pasqua di Gesù, che celebriamo
nell’eucaristia, per testimoniarla nella vita, è caratterizzata dalla letizia,
così tipica dell’annuncio pasquale. Ma la letizia è per la comunione. Una
letizia che non si traduca in ansia di comunione non risponde alla liberazione
pasquale. La prima lettura mostra quella letizia in ansia di comunione alle
prese con gli imprevisti della storia. I credenti provenienti dalla tradizione
mosaica, pur accogliendo la fede in Gesù, temono di mancare alla santità di Dio
non obbligando anche gli altri alle stesse leggi. Nessuno ha la scienza infusa:
si decide dunque di studiare la cosa con il collegio degli apostoli. La
modalità di approccio e il contenuto della decisione che scaturisce sono
ambedue frutti dell’azione dello Spirito Santo, azione alla quale i credenti si
sottomettono per poter mantenere la sua gioia, tutti insieme. Se si osserva più
da vicino, la decisione apostolica ribadisce la fede di tutti: oramai c’è un
unico popolo di salvati, circoncisi e incirconcisi e l’invito ai pagani sembra
soltanto quello di non essere fonte di disagio
per i fratelli circoncisi trovandosi alla stessa mensa. La liberazione è
per la gioia e la gioia è per la comunione: questa è la dinamica pasquale.
Se
partiamo dal canto al vangelo (‘Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il
Padre mio lo amerà e noi verremo a lui’), un altro scenario ci appare. Le
parole di Gesù sono incentrate attorno alla questione della ‘rivelazione’ del
Messia. Siamo nel cap. 14 di Giovanni. Gesù ha appena invitato i discepoli ad
osservare la sua parola perché in quella osservanza godranno l’amore del Padre
e la sua manifestazione. Interviene Giuda, non il traditore, con una domanda
niente affatto scontata: “Come è accaduto che devi manifestarti a noi e non al
mondo?”. Il brano evangelico di oggi riprende la risposta di Gesù a quella
domanda, aggiungendo alle parole dette in precedenza sull’osservanza della sua
parola la specificazione: “… verremo e prenderemo dimora presso di lui”.
L’opera di Dio non appare evidente, non sconvolgerà nessuno nel senso di
strabiliarlo e farlo restare attonito. Soltanto a chi mette in pratica la sua
parola, il suo Regno gli si potrà rivelare. Perché? Perché la sua parola è una
parola di amore e chi non accoglie quell’amore non può capire la sua parola. La
sua parola cela la potenza di amore del Padre per gli uomini e soltanto quando
gli uomini si decideranno ad ascoltarla (come un bambino ascolta sua mamma
facendo quel che lei gli dice) la parola rilascerà la potenza che essa
racchiude, potenza che costituisce la radice della comunione con tutti perché a
tutti quella parola è diretta. La sottolineatura nelle parole di Gesù, però, è
data dal fatto che accogliendo la sua parola si partecipa ad una intimità di
vita; meglio, si condivide l’intimità di vita che corre tra il Padre e il
Figlio nello Spirito, che proprio da Gesù ci è stato effuso e che proprio di
Gesù ci fa vedere la verità di testimone dell’amore del Padre per gli uomini.
Così la crescita spirituale sottende sempre un radicamento nell’intimità di un
rapporto che permette ai cuori di schiudersi, di percepirsi nell’amore, di
vedere le cose in verità. In effetti, quando Gesù dice ‘mi manifesterò’, in
realtà vuol dire, non solo che lo riconosceremo, ma che tutto parlerà di lui,
tutto splenderà per lui e quindi che la vita svelerà il suo segreto.
Più avanti,
continuando il suo discorso, Gesù parlerà di vite e tralci e dirà: “rimanete
nel mio amore”. Il che significa, non solo che dobbiamo stare fedeli alla sua
parola, ma soprattutto che, accogliendo la sua parola, godremo dell’amore che
lega il Padre a Lui e Lui al Padre, cosa inaudita per un orecchio umano, ma
supremo desiderio del cuore. Quando al battesimo e alla trasfigurazione la voce
dal cielo aveva proclamato su Gesù: “Questi è il Figlio mio prediletto”, il
significato non è semplicemente da riferire a Gesù ma anche a tutti noi, vale a
dire: tutti noi, credendo a quel Figlio, Inviato dal Padre, e accogliendo la
sua parola per metterla in pratica, entreremo nella benedizione di quell’amore
di predilezione nel quale il Padre vuole inglobare tutti. La rivelazione di Dio
è sempre per noi perché non c’è rivelazione che non parli dell’amore di Dio per
l’uomo. E se nel Padre nostro chiediamo: ‘sia fatta la tua volontà come in
cielo così in terra’, non chiediamo prima di tutto di poter stare fedeli alla
sua volontà, ma più direttamente di poter sperimentare la sua volontà di amore
per noi nella nostra vita, tanto da godere della comunione con Lui al di sopra
di tutto. Questo ci otterrà l’azione dello Spirito Santo, che ci farà memoria
viva del Signore Gesù in questo mondo.