Secondo
ciclo
Anno
liturgico C (2006-2007)
Tempo
di Pasqua
2a Domenica
(15 aprile
2007)
_________________________________________________
At 5,12-16; sal 117;
Ap 1,9-19; Gv 20,19-31
_________________________________________________
Una domanda
risuona insistente nella liturgia bizantina di oggi a proposito dell'audacia di
Tommaso: come poté toccare e non restare bruciato? “O straordinario prodigio!
Il fieno ha toccato il fuoco ed è rimasto indenne. Tommaso ha infatti messo la
mano nel costato igneo di Gesù Cristo Dio e non è stato bruciato da questo
contatto…”; “Chi impedì che la mano del discepolo si fondesse quando l’accostò
al fianco infuocato del Signore? Chi le diede l’ardire e la forza di tastare
ossa fiammeggianti? Fu il costato stesso che egli toccò. Se quel costato non
avesse trasmesso il potere a una destra di fango, come avrebbe potuto toccare
il segno dei patimenti che avevano scosso le regioni superiori e inferiori?”.
La liturgia drammatizza un evento per mostrarcene il mistero. Da parte di
Tommaso non si tratta di un semplice ‘riconoscimento’, come da parte nostra non
si tratta di un semplice riconoscere vera la risurrezione di Gesù. Il
coinvolgimento è molto più profondo e misterioso.
Tommaso non è un
pavido, un insicuro. Le altre due volte che il vangelo di Giovanni parla di
Tommaso ce lo presenta come un uomo generoso, pronto ad andare a morire con
Gesù. Semplicemente, non vuole
illudersi. Il suo dubbio procede da un cuore che ha preso molto sul serio
la vicenda di Gesù. Quando Gesù, ricomparendo, gli dice di mettere la mano nel
costato e nelle cicatrici, non ha bisogno di ricredersi, di scusarsi: è tutto
teso a quel Signore che ha sempre voluto seguire e che ora riconosce per
davvero "mio Signore e mio Dio", la più solenne professione di fede
del vangelo di Giovanni e, nello stesso tempo, la più intima delle professioni.
In quel 'mio' c'è tutto l'anelito del suo cuore, la sua appassionata esperienza
di Lui; in quel 'Signore e Dio', c'è tutta la rivelazione di Gesù al suo cuore,
l’intelligenza di tutte le Scritture, come tutti i racconti di risurrezione
annotano: ‘aprì loro la mente all’intelligenza delle Scritture’. Lì Tommaso ha
compreso le parole di Gesù: “Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa
quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho
udito dal Padre l' ho fatto conoscere a voi” (Gv 15,15). È diventato amico
perché ha conosciuto i suoi segreti. Da dentro questa conoscenza deriva anche a
noi la possibilità della stessa esperienza: “Attingendo ricchezza
dall’inviolabile tesoro del tuo divino costato trafitto dalla lancia, Didimo ha
riempito il mondo di sapienza e conoscenza”. La valenza simbolica del suo
mettere la mano nel costato di Gesù è la medesima del reclinarsi di Giovanni
sul petto di Gesù nell’ultima cena: “O straordinario prodigio! Giovanni ha
riposato sul petto del Verbo, Tommaso ha ottenuto di toccare il suo costato: e
l’uno ne ha tremendamente tratto l’abisso della teologia, mentre l’altro è
stato reso degno di iniziarci all’economia, perché chiaramente ci presenta le
prove della sua risurrezione, esclamando: O mio Signore e mio Dio, gloria a
te”. Se da parte di Gesù, il suo rivolgersi ai discepoli e poi a Tommaso con il
mostrare le sue cicatrici significa: ‘sono proprio io, colui che per voi, per
te, ha patito’, il riconoscimento da parte dei discepoli significa: ‘Dio ha
proprio amato il mondo, le nostre vite hanno solo senso come risposta a
quell’amore che in Gesù ha svelato il vero volto di Dio pieno di
accondiscendenza per gli uomini, solo l’amore che da Lui deriva e a Lui si
volge sazia il cuore fino alla letizia di vedere che tutti i cuori si possano
di Lui saziare.
La pace che Gesù
risorto dona è appunto la pace che scaturisce dal vedere il suo Volto, dal
vederLo con tutti i segni di quell'amore che fa riposare il nostro cuore, gli
fa trovare casa, gli fa trovare la sua casa finalmente. Non è un dono
particolare, un dono in più: è la conseguenza del vederLo, del suo stare con
noi in atto di mostrarsi a noi, dello schiudersi del nostro cuore alla visione
di Lui. E' quanto ogni amore desidera e da qui, da questa profonda intimità che
ne deriva, proviene tutta la nostra forza. I discepoli sono arrivati
gradualmente alla conoscenza di questa verità. All'inizio li hanno aiutati dei
'segni': la tomba vuota, il racconto delle donne, degli altri discepoli; poi
hanno potuto vedere loro stessi Gesù il quale si è fermato con loro, ha
mangiato con loro, li ha istruiti, ma senza ancora poter avere la forza di
testimoniare con la loro vita questa sconvolgente verità. Per ultimo, con
l'invio dello Spirito Santo, hanno sentito che la verità di tutta la loro vita
e la verità della vita degli uomini fosse tutta in quel Figlio di Dio, morto e
risorto, 'nel quale sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della
scienza' (Col 2,3) per il quale solo valeva la pena di buttare la propria vita,
nel desiderio che tutti finalmente potessero godere di quei tesori di sapienza
e di scienza, fino alla fine del mondo. L'esito della missione: che il mondo
intero risplenda dell'amore di Dio, rivelato in Cristo, in tutti i cuori.
Se la liturgia
pasquale proclama insistentemente: “eterna è la sua misericordia”, ciò
significa non soltanto che Dio sarà eternamente fedele alla sua misericordia,
che la sua misericordia durerà per sempre, ma soprattutto che, essendo la sua
misericordia dall’eternità, si trova alle origini del nostro mondo, ne
racchiude il senso e il mistero fino alla fine, finché il mondo sussisterà.
Gesù rivela la verità di questa realtà e Tommaso si situa in quella verità con
la sua sussurrata e potentissima confessione di fede: mio Signore e mio Dio.