Secondo
ciclo
Anno
liturgico C (2006-2007)
Tempo
Ordinario
6a Domenica
(11 febbraio
2007)
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Ger 17,5-8, Sal 1;
1 Cor 15,12-20; Lc 6,17-26
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Nel racconto di
Luca, subito dopo la scelta degli apostoli, Gesù si presenta con loro alla
folla e guarisce molti. E poi parla ai discepoli mostrando loro la posta in
gioco nel fatto di seguirlo: annuncia le sue ‘beatitudini’. C’è qualcosa di
assolutamente affascinante, ma paradossale nelle parole di Gesù, come del resto
gli stessi discepoli noteranno anche quanto alla vita e al comportamento del
loro Maestro. Su che cosa si potevano basare per potergli credere? In cosa consisteva
quella ‘beatitudine’ che Gesù prometteva loro? E perché Gesù, qui come altrove
in seguito, collegava la ‘beatitudine’ alla ‘persecuzione’? Sono le domande che
ci possono ottenere punti di luce per entrare nella dimensione evangelica.
Possiamo partire
dall’osservazione immediatamente precedente al nostro brano: “Tutta la folla
cercava di toccarlo, perché da lui usciva una forza che sanava tutti” (Lc
6,19). Gesù è posseduto da una ‘potenza’ che guarisce. I suoi gesti sono
‘potenti’, le sue parole sono ‘potenti’. Vale a dire: procurano guarigione,
colmano i cuori. Proprio come sottolinea il canto al vangelo citando un passo
di Matteo 11,28: “Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi e io
vi ristorerò”. Quella capacità di dare ristoro (= dare riposo, nel senso di
guarire, di colmare i desideri e procurare gioia e pace al cuore) è l’elemento
di fascino che attira verso Gesù; è ciò che dà potenza al suo annuncio; che
rende le sue parole accoglibili, sebbene misteriose. Le guarigioni che ha operato
gli permettono di far vedere dove la sua potenza è efficace, dove è capace di
realizzare quel che annuncia: chi lo segue sarà ‘beato’. E la beatitudine che
si proverà sarà direttamente proporzionale all’intensità e radicalità della sua
sequela. Questo è il contenuto delle beatitudini. Dove sta allora il segreto
della felicità? Qui ogni evidenza viene meno. In gioco è solo la fede nella
promessa di Dio che agisce in Gesù. Dove è perfetta letizia, si chiederà s.
Francesco? La risposta è la medesima di quella del Maestro: “Beati voi quando
gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e v' insulteranno e
respingeranno il vostro nome come scellerato, a causa del Figlio dell' uomo.
Rallegratevi in quel giorno ed esultate, perché, ecco, la vostra ricompensa è
grande nei cieli”.
S. Gregorio di Nissa commentando la
prima beatitudine scrive: “Siccome tutti gli uomini sono abitati dalla
superbia, il Signore comincia le beatitudini, eliminando il male iniziale
dell’orgoglio e invitando a imitare il vero Povero volontario che è beato in
verità, in modo da rassomigliargli, secondo quanto sta nelle nostre
possibilità, attraverso una povertà volontaria per aver parte alla sua
beatitudine”. E dopo aver descritto l’ascesa di tutte le beatitudini,
commentando l’ottava, dice: “Qual è lo scopo che perseguiamo? Quale la
ricompensa? Quale la corona? Mi sembra che ogni oggetto della nostra speranza
non è nient’altro che il Signore stesso… è lui l’eredità ed è lui che ti dona
la tua parte; è lui che arricchisce ed è lui la ricchezza; è lui che ti mostra
il tesoro e che è il tuo tesoro…”. La beatitudine allora è vivere quella
comunione con Colui che è l’Amato del tuo cuore. E quando tale amore risalterà
in tutto il suo splendore? Quando tutto e tutti cercheranno di rapirtelo e tu
non cederai a niente e a nessuno. La cosa strana sarà che ti accorgerai che non
te lo farai rapire quando lo custodirai per tutti, senza separarti da nessuno
proprio a causa di quell’Amore. È quanto di più paradossale possa succedere a
un uomo, ma è proprio questa la verità di Dio per il cuore dell’uomo.
Lo conferma il profeta Geremia con le
sue dichiarazioni taglienti: “Maledetto l’uomo che confida nell’uomo, che pone
nella carne il suo sostegno e dal Signore allontana il suo cuore… Benedetto l’uomo
che confida nel Signore e il Signore è sua fiducia”. La felicità che viene
dall’uomo ti unisce a qualcuno e ti separa da altri e se poi questa diventa la
ricerca della vita si risolverà in affanno e tribolazione. La felicità che
viene da Dio scaturisce invece dall’impedire che tu possa goderla per te stesso
e in forza di te stesso, che possa attingerla a partire da te stesso, ma solo
ricevendola e condividendola con il tuo Signore che l’ha fatta consistere nello
splendore del Suo amore. Per questo, il desiderio di felicità degli uomini
pesca assai più profondamente di quanto sembri; allude alle energie di grazia
che impastano il cuore dell’uomo. Quando Gesù parla della ricompensa grande nei
cieli non allude semplicemente alla felicità del paradiso, ma alla natura della
felicità che proviene dall’eterno, che partecipa dell’eterno e che si esprime
nella nostra storia con uno splendore che ha a che fare con l’eterno. Parla di
quella ‘vita eterna’ che Lui ha svelato e comunicato nel suo Spirito; parla
della conoscenza del Figlio dell’uomo, del Volto di Dio contemplato dagli
uomini. La beatitudine allora comporta, come dice ancora s. Gregorio di Nissa:
“Qualunque cosa sia, la beatitudine comprende una vita innocente, il bene
ineffabile e imprendibile, la bellezza indescrivibile, la fonte della grazia,
la sapienza e la potenza, la luce vera, la sorgente di ogni bene, la forza che
tutto domina, ciò che merita di essere amato senza che venga mai meno, una
gioia sempre effervescente, un giubilo ininterrotto di cui si potrà dire
qualsiasi cosa ma non che dipenda dal nostro merito”.