Secondo
ciclo
Anno
liturgico C (2006-2007)
Tempo
Ordinario
3a Domenica
(21 gennaio
2007)
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Ne 8,2-10; sal 18;
1 Cor 12,12-31; Lc 1,1-4; 4,14-21
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Luca assegna un
significato emblematico alla predicazione di Gesù a Nazaret. La pone all’inizio
della sua missione, benché l’avvenimento sia descritto con particolari che
chiaramente fanno riferimento ad eventi successivi, come vedremo domenica
prossima, allorquando verrà descritto l’esito drammatico di quella
predicazione. Oggi invece la liturgia accentra la sua attenzione sul fatto in
sé, sulla coscienza di Gesù di presentarsi come l’Inviato tanto atteso. Pieno
di Spirito Santo, Gesù era stato condotto nel deserto per esservi tentato; ora,
con la potenza dello Spirito, ritorna e va a Nazaret e annuncia di essere colui
sul quale lo Spirito riposa: “Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo
mi ha consacrato con l' unzione, e mi ha mandato per annunziare ai poveri un
lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la
vista; per rimettere in libertà gli oppressi, e predicare un anno di grazia del
Signore”. Aveva letto solennemente in sinagoga il passo di Isaia e se l’era
attribuito: “Lo spirito del Signore Dio è su di me perché il Signore mi ha
consacrato con l' unzione; mi ha mandato a portare il lieto annunzio ai miseri,
a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi,
la scarcerazione [=il bagliore, allusione al vedere la luce venendo
dall’oscurità delle prigioni] dei prigionieri, a promulgare l' anno di
misericordia del Signore, un giorno di vendetta per il nostro Dio, per
consolare tutti gli afflitti, per allietare gli afflitti di Sion, per dare loro
una corona invece della cenere, olio di letizia invece dell' abito da lutto,
canto di lode invece di un cuore mesto”.
Il commento di Gesù è lapidario: “Oggi
si è adempiuta questa Scrittura”. Più volte risuona nel vangelo di Luca quell’
‘oggi’: lo dicono gli angeli ai pastori a Betlemme, lo dice Gesù a Zaccheo e al
buon ladrone. È l’oggi della liturgia eucaristica, l’oggi dell’offerta perenne
di salvezza da parte del Signore, l’oggi dell’esperienza dell’amore del Signore
per noi. Se ci ritroviamo tra quei ‘ciechi e oppressi’ (la cecità e la
schiavitù sono le coordinate dell’esistenza nel peccato, nell’oppressione dei
rapporti) di cui parla Isaia, allora ci ritroveremo anche noi con gli occhi
fissi e le orecchie attente, il cuore sveglio, davanti a quel Maestro che dice
qualcosa che sicuramente parla al nostro cuore perché si presenta come Colui
capace di compiere le promesse di Dio. Non che il cuore subito accoglie
(l’esito del racconto lo sta a dimostrare), ma il cuore resta affascinato. Gesù
incomincia così a fornire le ragioni di quel fascino.
E le preghiere della liturgia di oggi
mostrano sia le ragioni del fascino sia la difficoltà di viverlo nel tempo. La
colletta ci fa pregare: “O Padre, tu hai mandato il Cristo, re e profeta, ad
annunziare ai poveri il lieto messaggio del tuo regno, fa’ che la sua parola
che oggi risuona nella chiesa, ci edifichi in un corpo solo e ci renda
strumento di liberazione e di salvezza”. Non ogni ansia di liberazione è buona,
ma solo quella che è abbinata al fatto di venire edificati in un corpo solo.
Ciò significa che l’ansia di liberazione per noi che non si traduca in
corrispondente ansia di liberazione per i fratelli non ci farà ritrovare la
libertà, ma si ridurrà in una sorta di più raffinata schiavitù e perderemo il
Cristo e noi stessi. La visione e la libertà che il Cristo ci ottiene non è che
la visione e la libertà che provengono da un amore accolto e condiviso, l’amore
di Dio per noi che diventa radice di vita e di azione. L’antica colletta faceva
pregare: “Dio onnipotente ed eterno, guida i nostri atti secondo la tua
volontà, perché nel nome del tuo diletto Figlio portiamo frutti generosi di
opere buone”. Se la sua volontà è appunto quella di renderci un cuor solo e
un’anima sola, allora guiderà i nostri atti nel senso di conquistare a tal
punto il nostro cuore a quell’amore che da lui proviene da renderlo unico
motore e scopo dell’agire. Solo così si realizza l’invito di Neemia al popolo
dopo la lettura della Legge: “Non vi rattristate, perché la gioia del Signore è
la vostra forza”. La gioia è il frutto di un amore manifestato, provato, che è
arrivato a toccarti il cuore, che ti ha conquistato. Quella gioia cela
un’energia potente, che viene descritta dal salmo 18 leggendo le espressioni in
significato intensivo: “la legge del Signore è perfetta”, cioè rende integri e
perciò rinfranca l’anima; “la testimonianza del Signore è verace”, cioè rende
veritieri e ti fa partecipe della sapienza dall’alto; “gli ordini del Signore
sono giusti”, cioè rendono retti e gioiosi; “i comandi del Signore sono
limpidi”, cioè rendono l’uomo luminoso, dallo sguardo pulito e bello… Si può
leggere anche così: la giustizia del Signore, il contenuto cioè della parola di
Dio, è quella di portare gioia al cuore e questa gioia è quella che consente al
nostro cuore di vivere secondo la sua giustizia, cioè di manifestare la sua
presenza con il prendermi cura di ognuno fino a dare la vita perché l’altro
possa averla abbondante. Solo il Messia poteva rivelare che consisteva in
questo la manifestazione del Signore e che in questo risiedeva e il compimento
del desiderio dell’uomo e la felicità di Dio. Tutti i frutti dello Spirito “amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza,
bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé” (Gal 5,22) sono espressione della cura
per l’uomo e chi più li possiede più si prende cura. E più ci si prende cura
più il volto di Dio è rivelato nella sua verità e la letizia riempie il cuore
dell’uomo. Non c’è nulla di più affascinante di tale mistero e nello stesso
tempo nulla di più rischioso nella vita degli uomini.