Secondo
ciclo
Anno
liturgico C (2006-2007)
Tempo
Ordinario
2a Domenica
(14 gennaio
2007)
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Is 62,1-5; Sal 95;
1 Cor 12,4-11; Gv 2,1-12
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Il
canto al vangelo riassume bene il senso del brano evangelico di oggi: “Alle
nozze di Cana Gesù trasformò l’acqua in vino; egli manifestò la sua gloria e i
discepoli credettero in lui”. Non costituisce solo il senso del brano delle
nozze di Cana, ma diventa la chiave di lettura dell’insieme del vangelo di
Giovanni. Gesù incomincia a manifestare la sua gloria con la trasformazione
dell’acqua in vino a Cana, ma la sua gloria sarà pienamente mostrata nel suo
splendore di rivelazione quando, ormai morto sulla croce, dal suo fianco
squarciato usciranno ‘sangue e acqua’ e si realizzerà la profezia: ‘Volgeranno
lo sguardo a colui che hanno trafitto’ (Gv 19,37). E quando Giovanni, alla fine
del suo vangelo, spiegherà perché l’ha scritto, riferendosi ai ‘segni’ che ha
descritto nella sua narrazione dirà: ‘Questi sono stati scritti, perché
crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio e perché, credendo, abbiate la
vita nel suo nome’ (Gv 20,31).
Ora,
il primo dei ‘segni’che viene descritto perché si creda in quel ‘Figlio di
Dio’, che è stato mandato perché gli uomini abbiano la vita e l’abbiano in
abbondanza (cfr Gv 10,10), è proprio il miracolo di Cana. Gli eventi che
intercorrono dal riconoscimento di Gesù da parte di Giovanni Battista al
Giordano fino alle nozze di Cana sono racchiusi nello spazio di una settimana,
la settimana della nuova creazione, in riferimento alla settimana della
creazione narrata dalla Genesi. L’episodio di Cana segue il riconoscimento di
Gesù da parte di Natanaele, il quale segue quello da parte di Andrea e
Giovanni, i quali seguono quello di Giovanni Battista. Per cogliere la portata
del miracolo di Cana, bisogna percepire la densità di quel ‘andarono e videro’
di Andrea e Giovanni, i quali svelando a Pietro tutta l’emozione che li abitava
riferiscono la loro scoperta in questi termini: ‘abbiamo trovato il Messia’. E
ancora, bisogna intuire la sorpresa di Natanaele, che risiedeva proprio a Cana,
quando Gesù gli si rivolge con quelle parole: ‘vedrai cose maggiori di queste’.
Tutti i ‘segni’ che Gesù compie sono collocati nella scia di questo ‘vedere
cose maggiori’ fino alla rivelazione suprema, con la morte e risurrezione di
Gesù, allorquando le ‘cose maggiori’ sono ormai le ‘cose ultime’, definitive,
supreme, a partire dalle quali tutto prende senso e splendore. La sua ‘gloria’
finalmente è svelata in tutto il suo splendore, la gloria del suo amore per gli
uomini.
In
tale prospettiva, la preghiera dopo la comunione coglie la dinamica essenziale
dei ‘segni’ di Gesù: “Infondi in noi, o Padre, lo Spirito del tuo amore, perché
nutriti con l’unico pane di vita formiamo un cuor solo e un’anima sola’, scopo
supremo dell’agire divino, resi partecipi della stessa vita di Dio.
Il
racconto delle nozze non ruota attorno alla figura degli sposi novelli, di cui
non sappiamo nulla, ma attorno all’intervento di Gesù e dei suoi discepoli.
Gesù, il Messia, viene invitato alle nozze, simbolo dell’antica alleanza. Ma
manca il vino, quello che solo il Messia avrebbe portato, il vino simbolo
dell’amore e della gioia, compimento delle promesse di Dio al suo popolo. Se ne
accorge sua madre, che appartiene all’antica alleanza, ma la cui fedeltà a Dio
la rende capace di vedere in Gesù il Messia, per cui si rivolge fiduciosa ai
servi: “Fate quello che vi dirà”. L’antica alleanza poteva sperare nell’acqua
purificatrice, che non poteva togliere
il peccato ma liberava almeno dall’oppressione della colpa. Gesù, che fa
riempire d’acqua le giare e fa attingere e portare in tavola, realizza il
passaggio dall’antica alla nuova alleanza con il dono del vino che simboleggia
l’esperienza diretta e personale, nella gioia e nell’amore, della relazione tra
Dio e l’uomo: “Perché la legge fu data per mezzo di Mosé, la grazia e la verità
vennero per mezzo di Gesù Cristo” (Gv 1,17). Quello che la legge prometteva,
Gesù lo rende possibile in sovrabbondanza; quello a cui anelava il cuore
dell’uomo ora diventa vivibile, gustosamente esperibile: l’uomo vive finalmente
la pace con il suo Dio, in un amore ritrovato e condivisibile. E questo si
vedrà proprio nella sua ‘ora’ quando dalla croce risplenderà il suo amore
infinito, amore che con il dono dello Spirito Santo diventa radice di vita e di
azione nel suo discepolo e segno di Dio per il mondo intero.
Il miracolo di
Cana con la trasformazione dell’acqua in vino nel contesto di celebrazione
delle nozze, mentre allude al passaggio dalla Legge alla Grazia, allude anche
al mistero dell’intelligenza delle Scritture e al mistero nuziale della
comunione di Dio con l’uomo. Tutte le Scritture parlano di Lui (‘Voi scrutate
le Scritture credendo di avere in esse la vita eterna; ebbene, sono proprio
esse che mi rendono testimonianza. Ma voi non volete venire a me per avere la
vita’, Gv 5,39-40): tutte le parole alludono alla Parola fatta carne. E quando
si incomincia a intravedere questa tensione profonda che percorre tutta la
Scrittura, allora si passa dal bere l’acqua al gustare il vino. Così come nel
compiere i comandamenti di Dio: un conto è praticarli materialmente, un conto è
praticarli cogliendo l’ispirazione e la rivelazione di vita che comportano. Le
nozze alludono anche al compimento dei desideri del cuore ormai abitati dal
desiderio di Dio che ci è venuto incontro, che ci ha guadagnati al suo amore e
che ci ha conquistati al suo splendore.
Quest’ultimo
aspetto è ben delineato nel brano di Isaia che descrive Dio come lo Sposo che
gioisce della sua sposa, la quale passa da una percezione di angosciosa
solitudine, di ‘abbandonata’ e ‘sola’ all’emozione di essere svelata a se
stessa in una dolcezza di riposo perché abitata, ‘mio compiacimento’ e
‘sposata’ ( forse, meglio: ‘abitata in dolcezza’). La percezione di quella nuova
realtà, di cui è indegna, ma di cui gode nell’intimo, grata e consegnata,
costituisce il contenuto del nome nuovo con la quale è chiamata. ‘Acqua’ e
‘vino’ diventano così le due modalità con cui è possibile agire nella vita:
tutto si può fare essendo acqua e tutto si può fare essendo vino. Per questo è
detto che il vino rallegra il cuore dell’uomo (cfr sal 104,15) e che il regno
di Dio è definito con l’immagine della gioia delle nozze.