Secondo
ciclo
Anno
liturgico C (2006-2007)
Tempo
Ordinario
26a Domenica
(30 settembre
2007)
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Am 6,1-7; 1 Tm 6,11-16; Lc 16,19-31
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Tutto
l’insegnamento di Gesù nel capitolo 16 di Luca riguarda il buon uso delle
ricchezze. La parabola di oggi illustra in negativo quello che la parabola
dell’amministratore disonesto illustrava in positivo: “Procuratevi amici con la
disonesta ricchezza, perché, quand' essa verrà a mancare, vi accolgano nelle
dimore eterne”. Possiamo leggere la parabola a tre livelli:
1) la storia è
narrata in chiave speculare a suggerire il ribaltamento delle situazioni. Qui
il ricco gode e il povero soffre, ma lassù il povero godrà e il ricco soffrirà.
Come qui il povero chiede pietà al ricco ma non la trova, lassù il ricco
chiederà pietà ma non la troverà. Quell’abisso che si era stabilito in vita tra
il ricco e il povero, ricomparirà, ormai definitivo, tra il povero e il ricco.
Come qui il povero ha bisogno del ricco, lassù il ricco avrà bisogno del
povero. Il ribaltamento delle situazioni allude al giudizio di Dio che toglierà
ogni illusione. Si tratta dell’illusione della ricchezza come garanzia di vita.
Evidentemente,
in gioco non è affatto la condanna delle ricchezze e l’esaltazione della
povertà. In gioco è la solidarietà nella vita per garantirsi insieme la
felicità, donata da Dio ai suoi figli che condividono i suoi sentimenti, i suoi
giudizi. Se il ricco è ricco di beni materiali, dovrà arricchirsi presso Dio
con il condividerli con i poveri, perché presso Dio la sua ricchezza sarà
costituita dai poveri che intercederanno per lui. È come dire che la vita si
gioca nell’amore e l’amore risulterà dalla dignità di tutti, custodita e
favorita con ogni mezzo.
Se Gesù rivela
in questa parabola il giudizio di Dio sull’uomo, intende far conoscere il
pensiero di Dio all’uomo perché questi si muova in conseguenza. La forza del
racconto non sta nel deterrente di paura (il racconto usa toni pacati e
familiari) ma nello svelamento del segreto della vita. In gioco è la fede nel
Salvatore che ‘convince’ alla fraternità nella comunione col proprio Dio.
2) la parabola,
con particolari precisi, illustra la posta in gioco nella vita e il modo di
giocarla bene. Ci sono come dei punti nevralgici nel racconto che ci aprono gli
occhi. È sintomatico che il ricco non porti nessun nome, mentre il povero è
chiamato Lazzaro, che significa ‘Dio aiuta’. Senza Dio l’uomo si confonde con
ciò di cui si serve e che finisce per servire. Non dice il profeta: “Maledetto
l' uomo che confida nell' uomo, che pone nella carne il suo sostegno e il cui
cuore si allontana dal Signore” (Ger 17,5)? Voler avere la vita dalla ricchezza
comporta dimenticare Dio e misconoscere il fratello. Il ricco non è presentato
come cattivo, ma più semplicemente e più drammaticamente come uno che nemmeno
s'accorge del povero tanto vive nella sua illusione. A tale riguardo, la prima
lettura del profeta Amos celebra l'intervento di Dio nella storia come il
sopraggiungere del disincanto, come la cessazione dell'illusione. Quella classe
nobile che sperperava allegramente i beni del popolo senza curarsi del suo bene
verrà spazzata via: la potenza assira conquisterà Israele e tutti saranno
ridotti in schiavitù.
Lazzaro, nel
paradiso, è descritto con l’immagine del banchetto messianico, nel posto
d’onore, a fianco di Abramo. La scena corrisponde al banchetto dell’ultima Cena
con Gesù e Giovanni al suo fianco che può reclinarsi sul suo petto. È la
traduzione in immagine dell’affermazione: gli ultimi sono i primi.
Ma il
particolare che, secondo me, è assolutamente rivelativo è la descrizione del
ricco negli inferi che ‘alzò gli occhi e vide’. Non aveva mai ‘alzato’ gli
occhi durante la sua vita e perciò non aveva mai ‘visto’ nulla di vero. Esprime
lo stesso sentimento del figlio prodigo quando, ormai disilluso, incomincia a
vedere la verità della vita: “allora rientrò in se stesso e disse…” (Lc 15,17).
Questo particolare esprime il movimento del cuore che prelude al riconoscimento
della verità della vita. Quello che viene indicato avvenire là nell’inferno,
nel giudizio della parabola, è proprio quello che ci si esorta ad assumere
adesso nella nostra vita.
3) Le parole
conclusive della parabola lasciano intravedere allusioni misteriose: “Se non
ascoltano Mosè e i Profeti, neanche se uno risuscitasse dai morti saranno
persuasi”. Lazzaro, fratello di Marta e Maria, sarà poi risuscitato da Gesù, ma
il miracolo non risulterà convincente per coloro che erano ostili verso Gesù.
Gesù stesso risusciterà, ma di per sé nemmeno questo convincerà. Occorre prima
dar credito alla parola di Dio, alla promessa di Dio celata nella sua parola.
Declinerei in due tempi la portata di questa affermazione:
a) Dio non si
può vedere direttamente. A Lui ci si può aprire accogliendo la sua parola e
avendo cura del povero. Non basta però condividere i propri beni; occorre anche
aver premura del povero, perché è quella premura che rende preziosa e amabile
la condivisione, che risulta così essere segno della fede in Dio, che vuole
felici i suoi figli.
b)non si può
cogliere la portata del mistero di Gesù, compimento della promessa di Dio per
l’umanità, se non riferendosi a tutte le parole della Scrittura, perché tutte
di Lui parlano. Da interpretare nel senso dell’espressione di Paolo a Timoteo:
“ti scongiuro di conservare senza macchia e irreprensibile il comandamento,
fino alla manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo…” . Ogni parola va
custodita e accolta, integra e viva, perché praticandola ci sveli il volto del
Signore che si è fatto nostro prossimo, vicino a noi e raggiungibile nel nostro
vicino.