Secondo
ciclo
Anno
liturgico C (2006-2007)
Tempo
Ordinario
19a Domenica
(12 agosto
2007)
_________________________________________________
Sap 18,3-9; sal 32; Eb 11,1-19; Lc
12,32-48
_________________________________________________
“Non temere,
piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto di darvi il suo regno”: è il
punto di verità che costituisce la rivelazione di Gesù e la consolazione del
nostro cuore. Rivelazione e consolazione che la colletta fa pregare perché si
compia per ciascuno di noi: “Dio onnipotente ed eterno, che ci dài il
privilegio di chiamarti Padre, fa’ crescere in noi lo spirito di figli
adottivi, perché possiamo entrare nell’eredità che ci hai promesso”. E che il
salmo 32 sottolinea con le espressioni potenti: “beato il popolo che appartiene
al Signore… beato il popolo che si è scelto… che spera nella sua grazia”. La
ragione? “Ma il piano del Signore sussiste per sempre, i pensieri del suo cuore
per tutte le generazioni”, come ripete nel v. 11 sempre il salmo 32. Quei
pensieri che valgono per tutte le generazioni si riassumono proprio nel
versetto evangelico: “Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è
piaciuto di darvi il suo regno”. Esso aveva costituito l’orizzonte di senso
rispetto al problema dell’uso dei beni di questo mondo, come nel brano di
domenica scorsa. Oggi si aggiunge un particolare ancora: i beni di questo
mondo, non solo vanno condivisi, nell’ottica di quella ‘confidenza’ con Dio che
è caratteristica dell’annuncio evangelico, ma è anche possibile lasciarli del
tutto, distribuirli, cederli. L’esperienza della possibile ‘consolazione’ del
Regno può risultare così significativa per il cuore da indurlo a lasciare tutto
per vivere di quel Regno, seguendo Colui che lo rivela, perché tutti ne possano
condividere la consolazione. È la logica della scoperta della perla preziosa,
del tesoro nascosto, per cui non ci si perde più dietro alcun altro bene né
proprio né altrui, che anzi si danno via per tenersi soltanto e far gustare a
tutti quell’unico Bene.
Le parabole sulla
vigilanza rimandano a quell’esperienza, che è tipica degli apostoli. La
vigilanza evangelica parla del mistero che ha toccato il cuore nella
rivelazione del Figlio di Dio: se al Padre è piaciuto darvi il suo regno nel
Figlio che lo rivela, allora tutto va giudicato in funzione di quella verità. E
tanto più quella verità parla al cuore, tanto più il cuore vivrà di quella
verità. Come a dire: tanto più il cuore vedrà la bellezza del Figlio di Dio,
tanto più la vedrà nei figli degli uomini per cui si metterà a servirli. Gesù
proclama ‘beata’ la vigilanza dei suoi discepoli perché la vigilanza è
espressione della ‘beatitudine’ del cuore che vede, che sente, che è rapito
dalla presenza del suo Signore che viene. In tal senso, le parabole non servono
a istillare la vigilanza per quando il Signore verrà come giudice alla fine dei
tempi; le parabole alludono più direttamente al mistero della rivelazione del
Figlio di Dio che si compie nella storia, alludono al Signore che viene a
preparare tavola ai suoi, a condividere i suoi segreti quanto all’amore di Dio
per l’uomo, motivo di beatitudine per il cuore dell’uomo. Il fatto di
presentare una parabola con la figura di un padrone che si mette a servire i
suoi servitori, cosa che non ha nulla di usuale nella vita, allude proprio alla
singolarità della rivelazione di Gesù, alla condivisione del segreto di Dio.
Non è possibile non pensare al gesto di Gesù di lavare i piedi ai discepoli
nell’ultima cena, come non è possibile non riferirsi al versetto di Giovanni
“Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a
lui e prenderemo dimora presso di lui” (Gv 14,23). Quel gesto, quella volontà
del Signore nei nostri confronti, è ben sottolineata dal versetto iniziale del
brano di oggi: “Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto
di darvi il suo regno”. E corrisponde, nella ricostruzione della vicenda del
popolo di Israele che esce dall’Egitto, secondo il libro della Sapienza,
all’annotazione: “Quella notte fu preannunziata ai nostri padri, perché sapendo
a quali promesse avevano creduto, stessero di buon animo”. La fede, che
diventa ‘una colonna di fuoco, come
guida in un viaggio sconosciuto’, nel viaggio cioè della nostra vita, sta tutta
nella percezione di quel “al Padre vostro è piaciuto”, scoperto in Cristo. In
quella volontà assoluta di benevolenza per l’uomo, volontà manifestata in Gesù,
sta il segreto della vigilanza evangelica, come anche della fatica apostolica.
A ricordarci che
non si tratta di una beatitudine ‘beata’, ma ‘angosciosa’, ‘lavorata’,
‘paziente’, sta l’esempio di Abramo riportato nella seconda lettura. È vero
che, se Abramo ha potuto vedere solo di lontano i beni promessi, noi possiamo
dire di averli conseguiti, avendoli visti realizzati in Gesù. Ma per noi, come
per lui, se la promessa è certa, l’attuazione è precaria. Professare che in
Gesù le promesse si compiono non significa ancora che si compiono in verità in
noi. Non per nulla le parabole sulla vigilanza parlano della responsabilità
dell’agire dei discepoli, con l’insidia dell’illusione sempre alle porte, con
l’insidia della durezza di cuore rispetto all’attesa del padrone e al
trattamento dei fratelli. L’accento però, nell’esperienza evangelica, non è più
posto sulla funzionalità dell’agire (faccio bene per avere una ricompensa) ma
sulla qualità della vigilanza (sono così desideroso del mio padrone che mi
preoccupo di tutti i suoi servi). È l’attesa di Qualcuno, di Qualcuno che si
sveli al mio cuore che informa ormai la qualità dell’agire.