Secondo
ciclo
Anno
liturgico C (2006-2007)
Tempo
Ordinario
17a Domenica
(29 luglio
2007)
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Gen 18,20-32; Sal 137;
Col 2,12-14; Lc 11,1-13
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Oggi la liturgia
introduce al mistero della preghiera. Nel brano evangelico non è detto
espressamente, ma è volutamente sottolineata la concomitanza della preghiera di
Gesù e la richiesta dei discepoli: “Signore, insegnaci a pregare”. Cosa hanno
visto i discepoli in Gesù che pregava? Cosa li ha affascinati tanto da indurli
a desiderare anche per loro lo stesso tipo di preghiera? Se Gesù risponde con
l’insegnamento della preghiera del Padre Nostro, allora vuol dire che ciò che
rendeva ‘singolare’ la preghiera di Gesù era l’intensità di intimità con quel
‘Padre’ di cui custodiva i comandamenti, di cui annunciava la prossimità, di
cui svelava il volto, di cui mostrava la verità nell’amore all’uomo e di cui
suscitava la nostalgia in questo mondo.
La profondità di
tale rivelazione è svelata dalla preghiera di intercessione di Abramo, che osa
intervenire presso il suo Signore pur sentendosi polvere e cenere.
Evidentemente, la possibilità di intervento di Abramo presso il Signore non
dipende tanto dalla sua giustizia, ma dall’alleanza che il Signore ha stabilito
con lui. Il tipo di ‘confidenza’ di tale alleanza, che mostra tutta
l’accondiscendenza di Dio per Abramo e per quanti da lui discenderanno, è messa
in risalto dal modo di pensare di Dio stesso: “Devo io tener nascosto ad Abramo
quello che sto per fare, mentre Abramo dovrà diventare una nazione grande e
potente e in lui si diranno benedette tutte le nazioni della terra?”. Abramo si
fa avanti osando richiamare il Signore alla sua dignità di giustizia e di
misericordia, come a lui si era rivelato. Abramo sapeva che non erano bastati
otto giusti per salvare l’umanità dal diluvio (al tempo del diluvio, si salvano nell’arca Noè e quelli della sua
famiglia, che sono appunto otto). Abramo perciò nella sua intercessione si
ferma a dieci giusti: se ci fossero dieci giusti nella città, come potrà il
Signore distruggerla, proprio per riguardo a quei dieci? Ma l’umanità non ha
dieci giusti, ne ha uno solo: quel Figlio di Dio fatto uomo, l’unico Giusto.
Sarà per riguardo a Lui che Dio non distrugge l’umanità. Per riguardo a quel
Giusto Dio abbandona la sua ‘giustizia’ per mostrare la sua ‘misericordia’.
Ogni preghiera si fa forte presso Dio per la forza di quel Giusto che costringe
Dio alla misericordia. Sarà quel Giusto a mostrare il volto di misericordia del
Padre.
Nella Tradizione
si sottolinea costantemente che se una nostra richiesta a Dio non può essere
ricondotta ad una domanda del Padre Nostro, non sarà esaudita. E tutte le
richieste confluiscono in una sola, come la conclusione della spiegazione di
Gesù mostra chiaramente: “Se dunque voi, che siete cattivi, sapete dare cose
buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro celeste darà lo Spirito Santo
a coloro che glielo chiedono!” Oppure, in altra traduzione: “… a coloro che lo
pregano”. Cosa dunque cercare nella preghiera? Una cosa sola: lo Spirito Santo.
Raramente abbiamo coscienza nella nostra preghiera che questa è la domanda
essenziale. Probabilmente, perché non abbiamo né coscienza dell’urgenza che ci
agita dentro né della confidenza di cui ci è dato l’accesso. Gesù conclude la
sua parabola dicendo: “vi dico che, se anche non si alzerà a darglieli per
amicizia, si alzerà a dargliene quanti gliene occorrono almeno per la sua
insistenza”. Il termine che si traduce per ‘insistenza’, in realtà significa
‘svergognatezza’: non avere alcun ritegno, alcuna vergogna. È l’atteggiamento
della donna Cananea, che alla fine è lodata per la sua fede (cfr. Mt 15). A
quell’atteggiamento si riconduce la vedova che importuna il giudice disonesto
(cfr. Lc 18,1-8), passo che andrebbe letto insieme al brano odierno. Dire che
Dio esaudisce ‘prontamente’ le suppliche dei suoi eletti, quando la verità
della storia è lì a provare il contrario, come tutti ne facciamo amaramente
esperienza, significa riconoscere che solo la richiesta di Spirito Santo sarà esaudita.
Vale a dire, sarà esaudito l'anelito del cuore che non si accontenta delle cose
che provengono da Dio, ma che cerca proprio Dio, l'incontro, l'intimità con
Lui. Sarà esaudita la fede in Lui. E la fede è volontà di compagnia di Dio,
come tutta la preghiera del Padre Nostro insegna. Allora, per le cose di cui
abbiamo bisogno, prima che di richiesta, si tratta di affidamento. Non possiamo
pregare se non da dentro quell’alleanza di benevolenza di cui ci è stato fatto
dono. Fare la volontà di Dio significa prima di tutto fidarsi del proprio Dio,
dare credito al suo amore e cercare di stare con Lui, non di avere i suoi doni.
Se la preghiera è questo, allora non c'è preghiera che non venga esaudita. Dio
cerca adoratori e amici, non semplicemente 'consumatori', 'utenti', 'fruitori',
'clienti', termini che ben si addicono a quanti ricercano prima di tutto le
cose. Così, la logica della preghiera è questa: non, ottieni ciò che chiedi, ma
se chiedi; non, trovi quello che cerchi, ma se cerchi. La drammaticità di tale
logica, che è la drammaticità di una relazione d’amore, della vita stessa, è
espressa proprio dalla preghiera del Figlio, di quel Giusto di cui viene detto:
“Proprio per questo nei giorni della sua vita terrena egli offrì preghiere e
suppliche con forti grida e lacrime a colui che poteva liberarlo da morte e fu
esaudito per la sua pietà; pur essendo Figlio, imparò tuttavia l' obbedienza
dalle cose che patì” (Eb 5,7-8). È per tale drammaticità che Gesù, quando
insegna a pregare, lo fa per sottolineare la necessità di pregare sempre. Senza
preghiera non si può vivere o perlomeno non si può vivere l’alleanza con Dio.