Secondo
ciclo
Anno
liturgico C (2006-2007)
Tempo
Ordinario
14a Domenica
(8 luglio
2007)
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Is 66,10-14; sal 65;
Gal 6,14-18; Lc 10,1-20
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Il profeta Isaia
aveva annunciato la ‘prosperità’ di Gerusalemme, aveva descritto l’invasione di
consolazione che l’avrebbe sommersa, eco del salmo 65: “Stupende sono le tue
opere”. Ma di quale consolazione parlava? Quella che annuncia il canto al vangelo:
“Dio ha riconciliato il mondo in Cristo, affidando a noi la parola della
riconciliazione” (cfr. 2Cor 5,19). ‘Ha riconciliato il mondo’: i discepoli
inviati sono settantadue (o settanta, secondo alcuni codici), il numero delle
nazioni secondo la tradizione ebraica.
Il brano
evangelico di oggi è la continuazione del testo della scorsa domenica. Chi sono
quei settantadue discepoli che il Signore invia davanti a sé nel suo cammino
verso Gerusalemme? Sono coloro che, avendo incontrato Gesù, al pari di Lui, non
fanno riposare il loro capo se non nel volere di Dio che cerca la salvezza
degli uomini; sono coloro il cui riposo consiste nella pace che portano nel
nome del Signore. Non per nulla Gesù li invia due a due e non individualmente.
Come possono annunciare la pace del Regno se non la fanno vedere come compiuta
nella loro relazione fraterna? Come possono invitare a condividere insieme a
loro la pace del Signore che si fa nostro prossimo se quella pace non è
diventata radice di benevolenza tra loro, segno dello splendore di Dio in mezzo
a loro? In effetti, quello che traduciamo con ‘affidando a noi la parola della
riconciliazione’, letteralmente andrebbe reso: ‘ponendo in noi la parola della
riconciliazione’. Non però la parola da dire, ma la parola come fondamento
dell’essere, come le ragioni che convincono il cuore della realtà di quella
pace ottenuta che, per sua stessa dinamica interna, tende a coinvolgere tutti e
tutto. È la parola come forza d’attrazione, come potenza d’irradiazione, come
rivelazione del segreto della felicità nel godere quel ‘suo far grazia di Sé a
noi’ in modo da renderci capaci, ormai solidali con i suoi sentimenti, di
estendere a tutti la condivisione di questo ‘segreto’.
Se questo è
vero, vuol dire che Dio ritiene l’uomo suo compagno ("Siamo infatti
collaboratori di Dio", 1Cor 3,9). È una cosa straordinaria! Con la
rivelazione di Gesù, che svela, mentre compie, il supremo desiderio di Dio di
stare dalla parte degli uomini, possiamo scorgere all'opera nel mondo le segrete
intenzioni di Dio nei confronti delle sue creature. Parlare di annuncio
evangelico, di redenzione, di salvezza, di grazia, significa alludere a questa
opera di riconciliazione in atto nella storia, come dice Gesù: «Il Padre mio opera sempre e anch'io opero»
(Gv 5,17). Opera appunto la riconciliazione in Gesù, nostra pace ("Egli
infatti è la nostra pace", Ef 2,14). I discepoli di Gesù sono chiamati a
concorrere alla realizzazione di questa 'opera'. In questo senso dobbiamo
imparare a giudicare ogni cosa in base alla convergenza verso questo supremo
scopo divino. Tra l’altro, imparare a diventare coscienti di questa realtà
significa passare dal livello psicologico a quello spirituale, diventare
compagni di Dio.
Il segnale della
partecipazione a quell’opera, è la letizia, come annota il vangelo a proposito
dei discepoli tornando dalla loro missione. Essi credono di attribuire la loro
letizia al fatto di aver soggiogato i demoni, ma Gesù li corregge e conferma la
loro gioia perché “i vostri nomi sono scritti nei cieli”. Come a dire: non
rallegratevi di aver potuto fare cose straordinarie, impensate e impensabili
fino ad ora, ma rallegratevi di godere del segreto di Dio, di stare solidali
con il suo sentire, di godere la letizia del Regno. L’annuncio si gioca infatti
sulla potenza del contagio della letizia di cui fanno esperienza i discepoli e
di cui Gesù svela la vera ragione: i vostri nomi sono scritti nei cieli, avete
parte al ‘far grazia di Sé all’uomo da parte di Dio’, partecipate al suo amore
per gli uomini che non si dà pace finché tutti e ciascuno non ne possano
godere, per sempre. I discepoli impareranno l’estensione e la natura di quella
letizia nel seguire il loro Maestro che sta andando a Gerusalemme dove subirà
la passione. Lo ricorda s. Paolo nella seconda lettura di oggi quando proclama:
“Fratelli, quanto a me non ci sia altro vanto che nella croce del Signore
nostro Gesù Cristo, per mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso,
come io per il mondo” (Gal 6,14). La letizia evangelica è una letizia esigente.
Ma la vera radice di quella letizia è rivelata da Gesù quando firma la gioia
dei discepoli con la sua esultanza: “Io ti rendo lode, Padre, Signore del cielo
e della terra, che hai nascosto queste cose ai dotti e ai sapienti e le hai
rivelate ai piccoli. Sì, Padre, perché così a te è piaciuto” (Lc 10,21). ‘Così
è piaciuto a te’: l’uomo può solo accogliere e ritrovarsi nell’offerta di Dio.
È a quella esperienza, all’intimità di quella rivelazione che il discepolo
attinge per fondare le ragioni di un vivere che funzionino come radici di
umanità nuova. Potesse l’anima essere ancora toccata dalla benevolenza
persuasiva delle parole di Gesù: “Non temere, piccolo gregge, perché al Padre
vostro è piaciuto di darvi il suo regno” (Lc 12,32)!