Secondo
ciclo
Anno
liturgico C (2006-2007)
Tempo
Ordinario
11a Domenica
(17 giugno
2007)
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2Sam 12,7-13; Sal 31; Gal 2,16-21;
Lc 7,36-8,3
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Sono due gli
episodi narrati nei vangeli che riguardano una unzione di Gesù da parte di una
donna: quello di Luca, nella casa di un fariseo, per mano di una donna
peccatrice che piange sui piedi di Gesù e li asciuga con i suoi capelli e li
cosparge di olio profumato insieme ai suoi baci e quello narrato dagli altri
evangelisti, a Betania, poco prima della passione: Matteo e Marco riferendo di
una donna che versa sul capo di Gesù un olio profumato in casa di Simone il
lebbroso; Giovanni, invece, riferendo di
Maria, sorella di Lazzaro, che unge con nardo genuino i piedi di Gesù, suscitando
la reazione dei discepoli, che gridano allo spreco.
Fermiamoci sull’episodio narrato da
Luca; le sue accentuazioni sono assolutamente particolari. Diciamo subito che
quello che è avvenuto nel cuore di quella donna non possa essere meglio
descritto se non con le parole di Paolo: “Questa vita che vivo nella carne io
la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per
me” (Gal 2,20). La peccatrice perdonata non avrebbe potuto ancora esprimersi
così, ma l’esperienza del cuore là la conduce. A tal punto l’amore ha toccato
il cuore da non consentirgli più di vivere se non dentro quell’amore. Non però
dell’amore che procede dalla donna o da Paolo, ma dell’amore che a loro è stato
mostrato, al quale hanno acconsentito, del quale si sono lasciati inondare. In
effetti, il centro della scena non è dato dalle espressioni di amore della
donna, pur così tenerissime e espresse come se il mondo attorno non esistesse
nemmeno tanto era rapito il suo cuore, ma dal comportamento di Gesù che accoglie
quelle manifestazioni, le difende, le interpreta e ne svela il dinamismo
segreto. Il centro è data dalla grazia dell’ amore ricevuto, dell’ amore
risanante, dell’ amore di Gesù che non disdegna nessun gesto affettuoso della
donna peccatrice perché espressioni di un anelito che Lui stesso aveva
suscitato, come dice il canto al vangelo: “Dio ci ha amati per primo e ha
mandato il suo figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati” (1Gv
4,10). Ma proprio questo è la scoperta della vita! La donna peccatrice ne ha
fatto esperienza viva e tutti i suoi gesti, semplici e splendidi, rivelano
proprio quell’esperienza.
Gregorio Magno
annota che quella donna non doveva avere alcuna vergogna esteriore tanto era
assorta nella sua vergogna interiore. Il fariseo non interviene per
allontanarla perché non infastidisca l’ospite, in quanto si è reso conto
dell’accondiscendenza silenziosa e mite di Gesù verso di lei. Lei non vede
nessun altro se non Gesù, anzi, vede solo i suoi piedi, si è rannicchiata ai
suoi piedi, piange e asciuga e bacia e unge di profumo i suoi piedi. In quei
gesti passa tutta la sua anima; non ha bisogno di alcuna parola, di alcun
sguardo: sente il cuore di Gesù come Lui sente il suo. La scena è così potente
che s. Ambrogio può interpretarla come immagine della Chiesa che risponde
all’amore del Cristo. Nell’offerta del suo amore la Chiesa è peccatrice non
perché ‘semper reformanda’, ma perché come Cristo assume l’aspetto del
peccatore, così la Chiesa prende la figura della peccatrice. Così è la Chiesa
che ama in quella donna; è la Chiesa che ama in Paolo, che ama in Pietro, che
ama nei suoi santi.
Quando Gesù
racconta la sua parabola per illustrare al fariseo l’agire di Dio, è come se
ricordasse che l’uomo non può dare in cambio a Dio qualcosa per saldare il suo
debito. Non può dare nulla, ma il suo amore sì. E l’amore è più grande tanto
più grande è la coscienza del proprio debito, perché Dio condona proprio tutto
il debito. Tra l’altro, l’episodio sembra rispondere all’accusa verso Gesù che
è ‘un beone e un mangione, amico dei pubblicani e dei peccatori’. Sì, si tratta
di quel ‘beone e mangione’ ma che conosce i segreti di Dio, che attende i cuori
al varco e che svela a tutti la misericordia perdonante di Dio, perché questa è
la sua gloria: vedere l’uomo riconciliato con Lui, convinto dal suo amore.
L’esperienza appare sicuramente desiderabile, ma non è affatto scontata, tanto
è vero che i pensieri del cuore degli uomini sembrano muoversi in altre
direzioni. Tutto il racconto del vangelo mostra la difficoltà per gli uomini di
accogliere la via di Dio. Ma non esiste un’altra via di Dio; la via è proprio
Gesù, perché svela in verità il volto di Dio, dandoci la Sua vita, che è tutta
la nostra vita.
Vale la pena di
raccogliere ancora un’altra suggestione di s. Ambrogio. Solo l’episodio
raccontato da Luca riporta il particolare delle lacrime: “Proprio per questo ,
forse, Cristo, non ha lavato i propri piedi, affinché noi glieli laviamo con le
lacrime. Lacrime benedette, che non soltanto possono lavare la nostra colpa, ma
anche bagnare i piedi del Verbo celeste, affinché i suoi passi abbondino dentro
di noi”. Le lacrime non parlano soltanto della vergogna del nostro peccato, ma
del desiderio di Dio che ha toccato il nostro cuore; parlano della bellezza del
nostro cuore che è fatto per Dio e per rispondere al suo amore. Quando il mondo
scompare, quando anche l’io non è più ingombrante, allora il cuore sta solo con
il suo Signore e sa che può star lì perché il Signore si è fatto solidale con
la nostra umanità peccatrice. Ed è per questo che quando ritorna alla vita
quotidiana, un cuore siffatto non custodisce semplicemente in sé la grazia
dell’incontro, ma si fa memoria vivente di quell’amore misericordioso per il
mondo.