Secondo
ciclo
Anno
liturgico C (2006-2007)
Solennità
e feste
Tutti i Santi
(1 novembre
2007)
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Ap
7,2-14; Sal 23; 1Gv 3,1-3; Mt 5,1-12
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L’immagine di
fondo che caratterizza la liturgia di oggi è quella della comunità umana unita
come famiglia di Dio, nella lode e nell’adorazione dell’unico Dio e Salvatore,
in una gioia perfettamente condivisa tra gli uomini, gli angeli e Dio stesso.
Lo sguardo della Chiesa non è però attirato come da un punto di fuga situato
oltre la storia, come si trattasse di riempirsi gli occhi con una visione
consolatoria. La sua visione parla di un’esperienza quotidiana, quella tipica
della celebrazione eucaristica in cui, nel Corpo di Cristo presente
sull’altare, i fedeli si riconoscono membri della comunione dei santi
comprendente tutti coloro che, in ogni epoca, hanno creduto e vissuto in
Cristo. Parla di realtà ultima ma vicina, più ‘reale’ delle cose di tutti i
giorni: un mondo che interpella e invita con soave insistenza. Parla al cuore
degli aneliti che lo assillano, delle radici che lo costituiscono, delle
tensioni che lo lavorano, dei desideri che l’abitano.
Penso
all’esperienza esaltante degli abitanti di Siena quando l’enorme pala (tre
metri per cinque) della Maestà di
Duccio da Buoninsegna fu scortata dalla bottega dell’artista alla cattedrale in
trionfo, tra gli applausi della cittadinanza e posta sull’altare. La visione di
tutti quei santi schierati a destra e a sinistra del trono dove, in Maria, la
natura umana viene rivelata come degna dimora dello Spirito, portatrice del
Figlio dell’Altissimo, doveva suscitare l’impressione di trovarsi già partecipi
della loro compagnia e del loro tripudio. Oggi, forse, non avvertiamo più
l’attrazione del cielo allo stesso modo, ma la speranza, di cui era portatrice
quell’attrazione, è ancora necessaria per vivere e cogliere il senso della
nostra vita.
Per noi, oggi,
la comunità dei santi attorno all’Altissimo, riuniti nella stessa lode e nella
stessa gioia, fornisce come le coordinate di senso alla responsabilità della
vita terrena. Non abbiamo altro modo di sconfinare nell’eterno se non quello di
giocare la nostra vita terrena, secondo tutto lo spessore di dignità che
comporta. L’immagine chiave di tale dignità è la realtà degli uomini come
‘figli di Dio’: “Carissimi, noi fin d’ora
siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo
però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo
vedremo così come egli è”. Quello che siamo, siamo chiamati a diventarlo: è
tutto il senso della vocazione umana. Così, mentre vediamo delinearsi, anche
solo per tratti sfumati, la gloria della santità compiuta nel Regno, che la
liturgia celebra solennemente, ci accorgiamo che quegli stessi tratti
caratterizzano la via per lambire la santità anche qui, nella nostra storia,
con il percorso che segue il nostro cuore per arrivare all’evidenza dell’amore
di Dio, motivo di purità per il nostro cuore, realtà di pacificazione e di
riconciliazione con tutti i nostri fratelli, figli di Dio allo stesso titolo
nostro, decisi a non perdere l’amore quando l’afflizione ci opprime. È la
santità del Regno che poco a poco conquista il cuore, come l’insieme delle
beatitudini mostra:
beati
i poveri:
beati coloro che non fanno consistere la loro ricchezza che nell'essere figli
di Dio, che non hanno nulla di più caro al mondo se non quel Figlio che ha loro
manifestato l'amore grande di Dio per l'umanità
beati
gli afflitti:
beati coloro che non hanno lacrime più amare di quelle versate quando dovessero
allontanarsi dall'agire come figli di Dio e, pentiti, ritornano al loro
Signore, ritrovando la consolazione della solidarietà con Dio e con gli uomini
beati
i miti:
beati coloro che con pazienza sopporteranno ogni prova per non venir meno al
loro essere ed agire come figli di Dio, fin tanto che la terra del loro cuore
sarà tutta diventata cielo
beati
quelli che hanno fame e sete della giustizia: beati coloro il cui unico tormento è quello di perseverare
nella fedeltà all'essere figli di Dio, fin tanto che il volto di Dio si
manifesti al loro cuore e li consoli
beati
i misericordiosi:
beati coloro che, avendo sperimentato quanto è grande l'amore di Dio che li ha
resi figli suoi, per sua sola misericordia, saranno capaci di estendere a tutti
la possibilità di tale esperienza aprendo il loro cuore al perdono
beati
i puri di cuore:
beati coloro che avranno sperimentato la luce dell'amore di Dio in modo da
collocare i loro cuori nella luce e poter vedere tutto in questa luce.
beati
gli operatori di pace:
beati coloro che, come figli di Dio, vivono nella dinamica dell'amore di Dio
per gli uomini che vuole tutti riconciliati; beati coloro che non hanno altro
scopo nel loro vivere se non di perseguire questa pace ottenutaci dal Figlio di
Dio
beati
i perseguitati per causa della giustizia: è l'ottava beatitudine, quella che ingloba le altre nel
senso che di tutte rappresenta la condizione suprema: qualsiasi cosa abbiate a
soffrire , non vi turbi e non vi distolga dalla volontà di vivere da figli di
Dio, fiduciosi nella promessa del Signore, nella sua parola che è potente, cioè
capace di far vivere quello che indica.
Ci ritroveremo
così nel Cristo, nostro ‘riposo’, come canta il versetto al vangelo. Ma quel
‘riposo’ allude alla creazione del riposo da parte di Dio nei giorni della
creazione e che Dio riverserà in pienezza alla fine dei tempi. Dopo aver creato
tutte le cose, il libro della Genesi dice: “Il settimo giorno Dio terminò la
sua opera”. Ma non era più logico attendersi che avesse terminato la sua opera
nel sesto giorno? Gli antichi rabbini hanno concluso evidentemente che vi fu un
atto di creazione anche il settimo giorno: “Che cosa è stato creato il settimo
giorno? La ‘menuchà’, la tranquillità, la serenità, la pace e il riposo” (Cfr
Gen Rabbà, 10, 9). È lo stato in cui non vi è contesa né lotta, né paura né
diffidenza; è felicità, pace e armonia, vita eterna. Quella che il Signore Gesù
farà gustare: “Venite a me, voi tutti che
siete affaticati e oppressi, e io vi darò sollievo” (Mt 11,28).