Secondo
ciclo
Anno
liturgico C (2006-2007)
Solennità
e Feste
Ss. Trinità
(3 giugno
2007)
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Pro
8,22-31; sal 8; Rm 5,1-5;
Gv 16,12-15
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L’antifona di
ingresso definisce bene la prospettiva nella quale accostare il mistero della
Trinità: “Sia benedetto Dio Padre, e l’unigenito Figlio di Dio, e lo Spirito
Santo: perché grande è il suo amore per noi”. Se possiamo accedere al mistero
di Dio è perché Dio si è rivelato come ‘amore per noi’. È però il Padre che è
indicato come amore, di cui il Figlio è rivelatore e testimone e della cui vita
d’amore lo Spirito è donatore. Gesù, che pur rappresenta per noi l’espressione
stessa dell’amore (“li amò sino alla fine”, Gv 13,1), non si definisce mai come
amore, termine che invece è riservato al Padre, come la preghiera stessa della
Chiesa lo sottolinea. Ad esempio, nel saluto del celebrante all’inizio della
liturgia eucaristica: “La grazia del Signore nostro Gesù Cristo, l’amore di Dio
Padre e la comunione dello Spirito Santo sia con tutti voi”; oppure, nella
colletta della festa odierna: “Ti glorifichi, o Dio, la tua Chiesa,
contemplando il mistero della tua sapienza con la quale hai creato e ordinato
il mondo; tu che nel Figlio ci hai riconciliati e nello Spirito ci hai
santificati, fa’ che nella pazienza e nella speranza possiamo giungere alla
piena conoscenza di te che sei amore, verità e vita”, dove ‘amore’ fa
riferimento al Padre, ‘verità’ al Figlio, ‘vita’ allo Spirito Santo.
Se lo Spirito è
detto 'Consolatore, Spirito di verità', lo è in rapporto alla verità che è
Gesù, cioè farà vedere il vero volto di Dio nella persona di Gesù, rivelatore
del Padre, pieno di amore per gli uomini. Non per nulla Gesù ‘emise’ lo Spirito
dalla croce rivelando quanto è grande l’amore di Dio per l’uomo e abilitando
l’uomo a vivere del suo stesso Spirito. Lo splendore di quell’amore manifestato
da Gesù diventa così, per la potenza del suo Spirito, radice di vita in coloro
che ne accolgono la testimonianza. Come dice Giovanni nel prologo del suo
vangelo: “A quanti però l' hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di
Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali non da sangue, né da volere di
carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati” (Gv 1,12-13). E
quando Gesù dice che lo Spirito guiderà alla verità tutta intera non allude
tanto alla comprensione dei vari aspetti del mistero di Dio ma piuttosto al
fatto che quella verità di rivelazione del vero volto di Dio di cui Lui è il
Testimone risplenda in tutto il suo splendore, che quella verità conquisti i
cuori interamente, che quella verità convinca i cuori della grandezza
dell’amore di Dio, che l’esperienza di quell’amore ci sveli i suoi segreti.
Segreti, che attingono all’origine stessa della creazione, di cui ne
costituiscono il fondamento e lo scopo, come la lettura del capitolo 8 del
libro dei Proverbi suggerisce. Un’espressione è particolarmente suggestiva:
“…allora io ero con lui come architetto ed ero la sua delizia ogni giorno, mi
rallegravo davanti a lui in ogni istante; mi ricreavo sul globo terrestre,
ponendo le mie delizie tra i figli dell’uomo”. Il Padre trovava delizia nel
Figlio, la Sapienza (possiamo rammentare le espressioni evangeliche al
battesimo e alla trasfigurazione di Gesù: ‘questi è il Figlio mio prediletto…’)
e il Figlio trovava delizia nei figli dell’uomo. Come a dire che il colloquio
eterno tra il Padre e il Figlio verte sulla salvezza dell’uomo, per il quale il
mondo è creato, colloquio che lo Spirito svelerà al nostro cuore rendendocene
partecipi (anche a questo allude la promessa di Gesù: lo Spirito vi guiderà
alla verità tutta intera…). E la partecipazione avverrà stando sottomessi a
tutti nel nome di Cristo, che rivela l’amore di Dio, perché la sottomissione ha
a che fare con la ‘delizia’ della Sapienza che presiede alla creazione per
amore dell’uomo.
Se è Gesù che
rivela compiutamente il desiderio di comunione con gli uomini da parte di Dio e
compie il desiderio di comunione con Dio da parte degli uomini, allora ne
deriva che la fonte della nostra dignità procede proprio dal fatto che Dio ha
reso l’uomo degno dei suoi misteri. Il salmo 8 proclama: “Che cosa è l’uomo
perché te ne ricordi, il figlio dell’uomo perché te ne curi?”. In cosa consiste
la cura di Dio per l’uomo? Nel passo parallelo del salmo 144, v. 3, le antiche
versioni greca e latina riportano: ‘Signore, che cos’è l’uomo, perché ti sia a
lui fatto conoscere?’ (Domine, quid est homo, quoniam innotuisti ei?). La
tradizione ha colto bene in cosa consiste la cura di Dio per l’uomo: Dio l’ha
elevato alla sua conoscenza. Lo ricorda l’antifona alla comunione: “Voi siete
figli di Dio: egli ha mandato nei vostri cuori lo Spirito del Figlio suo, che
grida: ‘Abbà, Padre’ ”. Non viene detto in generale: siamo tutti figli di Dio.
Lo si proclama in senso ‘speciale’, secondo il significato del vangelo di
Giovanni: A quanti però l' hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di
Dio. Allude all’essere trovati in Cristo; allude a coloro che sono stati resi
partecipi della ‘delizia’ della Sapienza. E se tutti gli uomini sono figli di
Dio lo sono in quanto tutti sono chiamati alla stessa esperienza, tutti sono
destinatari della stessa offerta, tutti portano la ‘vocazione all’umanità’
secondo quel Figlio di Dio, che riceve tutte le compiacenze del Padre perché in
Lui tutti siano riuniti nella stessa delizia.