Secondo
ciclo
Anno
liturgico C (2006-2007)
Solennità
e Feste
ss. Cuore di Gesù
(15 giugno
2007)
_________________________________________________
Ez
34,11-16; sal 22; Rm 5,5-11;
Lc 15,3-7
_________________________________________________
I testi della
liturgia di oggi parlano della ‘immensa carità’ del Cuore di Gesù, alludendo
evidentemente al ‘cuore trafitto’ che il prefazio (‘dalla ferita del fianco
effuse sangue e acqua’) e l’antifona alla comunione (‘un soldato trafisse il
costato con la lancia e subito ne uscì sangue e acqua’) esaltano. I brani delle
letture invece illustrano l’amore divino secondo l’immagine del pastore, un
pastore che raccoglie le sue pecore, che le conduce in ottime pasture, che le
fa riposare, che cura quella malata, che non trascura quella forte, e
soprattutto che riconduce in spalla la pecora smarrita. Un bellissimo commento
di s. Ambrogio spiega: “Rallegriamoci, dunque, perché quella pecora, che in
Adamo era andata perduta, in Cristo è sollevata in alto. Le spalle di Cristo
sono le braccia della Croce. Là ho deposto i miei peccati, sul capo di quel
nobile patibolo ho trovato riposo… Egli è dunque un pastore ben provvisto,
perché tutti noi siamo la centesima parte della sua proprietà. Ma Egli possiede
le greggi innumerevoli degli Angeli, possiede quelle degli Arcangeli, delle
Dominazioni, delle Potestà, dei Troni e di tutti gli altri che ha lasciato al
sicuro sui monti. E poiché sono creature spirituali, non a torto gioiscono per
la redenzione degli uomini”.
Il mistero della
parabola riguarda non semplicemente l'amore di Dio, ma l'esperienza che fa il
nostro cuore dell'amore di Dio. Con le sue parabole Gesù vuol rispondere alle
mormorazioni del cuore dell'uomo che non è più capace di onorare i suoi
fratelli perché non sa più riconoscere il mistero di Dio, non riesce più a
percepire il cuore di Dio. Per noi, in effetti, si tratta solo di 'riconoscere'
e 'credere' a questo amore di Dio che viene a cercarci, ad usarci premura, a
fare dono di Sé a noi, a perdonarci, noi, la sua gioia! Ma il nostro cuore,
irretito nelle illusioni del peccato, è più aspro di quello di Dio; crede di
salvare una specie di nobiltà teorica condannandosi, rinchiudendosi in una
condanna sfiduciata. Non è che manchino nella vita motivi di sfiducia, ma la vita
dell’uomo si gioca proprio nella fiducia a Qualcuno che è riconosciuto come
Colui che ‘si perde’ per noi e ci ridà dignità. È vero che Dio può far nascere
altri figli perfino dalle pietre, ma è ancora più vero che, per quanto indegni
e ribelli, i figli che Dio preferisce sono quelli in carne ed ossa, quelli che
siamo, che rimprovera ma di cui continua ad avere premura. Gesù, morto e
risorto per noi, è il sigillo ultimativo di quella Volontà e il suo ‘Cuore
trafitto’ è l’emblema più suggestivo di quella Volontà di Bene per noi.
L’antifona
d’ingresso cantava: “Di generazione in generazione durano i pensieri del suo
Cuore, per salvare dalla morte i suoi figli e nutrirli in tempo di fame”, eco
del salmo 32 là dove proclama: “Il Signore annulla i disegni delle nazioni,
rende vani i progetti dei popoli. Ma il piano del Signore sussiste per sempre,
i pensieri del suo cuore per tutte le generazioni”. Il piano del Signore è la
determinazione all’amore per l’uomo senza lasciarsi vincere dalla sua
diffidenza e dalla sua cattiveria. Il Cuore di Gesù svela questo ‘piano’ e lo
rende noto a tutti i cuori, perché è da sempre, ancor prima della fondazione
del mondo, anzi, motivo della stessa fondazione del mondo, perché è perenne,
definitivo, sempre nuovo, perché risponde al desiderio e alla gioia di Dio e
perché risponde al desiderio e al riposo dell’uomo.
La cosa
straordinaria è che Dio fonda la sua giustizia nel condividere la sua
gioia. "Così, vi dico, ci sarà più
gioia in cielo per un peccatore convertito, che per novantanove giusti che non
hanno bisogno di conversione" (Lc 15,7). Ora, tutti i nostri pensieri di
autocondanna, di paura, di disprezzo di noi e degli altri, feriscono l'amore di
Dio perché gli rendono impossibile la gioia. Ogni autocondanna è una incomprensione
di Dio. Ogni condanna, di sé e degli altri, è un'incomprensione profonda del
cuore di Dio: come non sapere quello che gli procura gioia? Il buon ladrone che
non pretende la misericordia, ma riconosce in pace la sua pena di fronte al
Giusto crocifisso e chiede, per grazia, un posto nel regno, è un esempio
eloquente della misteriosa convergenza in Dio di giustizia e di misericordia,
gioia Sua e gioia della creatura.
Del resto, chi
sono i giusti? Nell'interpretazione spirituale dei Padri i novantanove giusti
lasciati sui monti sono gli angeli. Ma sono anche coloro che, come gli angeli,
adorano e lodano e gioiscono con Dio. Sono cioè coloro che gioiscono con Dio
quando un peccatore ritorna, quando un uomo si pente. Di qui il criterio di
discernimento della bontà, che ci rende 'sim-patici' di Dio, vale a dire degli
stessi sentimenti di Dio: un cuore è buono quando gioisce del bene del
fratello. Gioire della virtù di un fratello più che per la propria è segno di
un cuore puro, ormai conquistato dalla bontà di Dio. Gioire per un altro rende
intimi di Dio. E se l'uomo è invitato a riconoscere come agisce Dio, come
'sente' Dio, è perché è chiamato ad imitarlo. E l'imitazione consiste
nell'impegnare la propria carità fino alla gioia, senza pretenderla comunque
per sé. Non che la cosa risulti ovvia, ma se il nostro cuore si è sentito
trafitto guardando al Cuore trafitto dalla lancia del soldato, allora qualcosa
dei segreti di Dio si comunica a noi e proprio questo rende capaci di vivere
nello splendore di quella rivelazione.