Secondo
ciclo
Anno
liturgico C (2006-2007)
Solennità
e Feste
ss. Corpo e Sangue
di Cristo
(10 giugno
2007)
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Gn
14,18-20; sal 109; 1 Cor 11,23-26; Lc 9,11-17
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La colletta
della festa di oggi esprime assai bene il timbro eucaristico di tutta
l’esperienza cristiana: “Dio, Padre buono, che ci raduni in festosa assemblea
per celebrare il sacramento pasquale del Corpo e Sangue del tuo Figlio, donaci
il tuo Spirito, perché nella partecipazione al sommo bene di tutta la Chiesa,
la nostra vita diventi un continuo rendimento di grazie, espressione perfetta
della lode che sale a te da tutto il creato”. Il mistero dell’eucaristia, dal
punto di vista della chiesa che la celebra, si colloca al centro della sua
azione e della sua tensione, della sua origine come del suo destino. Più la
nostra vita diventa un continuo rendimento di grazie perché trova sempre più il
suo senso nella comunione con Dio e con tutti, del cui splendore l’eucaristia è
la celebrazione stessa, più il desiderio di vita che ci abita e ci muove trova
il suo fondamento e la sua realizzazione nella tensione al convito eterno, di
cui l’eucaristia è l’anticipazione. Lo dice la preghiera dopo la comunione,
quando chiede che l’intimità di vita con il Signore e l’unità con i fratelli
siano godute finalmente in pienezza, senza ombre: “Donaci, o Signore, di godere
pienamente della tua vita divina nel convito eterno, che ci hai fatto
pregustare in questo sacramento del tuo Corpo e del tuo Sangue”.
L’eucaristia ci
implica nella dinamica stessa del Signore Gesù, che io riassumerei in questo
modo. Poco prima della sua passione, nel racconto di Giovanni, Gesù è definito
come colui che ha il compito di ‘riunire insieme i figli di Dio che erano
dispersi’ (Gv 11,52), mentre di se stesso dice: ‘viene il principe di questo
mondo; egli non ha nessun potere su di me, ma bisogna che il mondo sappia che
io amo il Padre e faccio quello che il Padre mi ha comandato’ (Gv 14,30-31). Ma
perché il demonio non ha alcun potere su di lui, se proprio contro di lui
esercita tutto il suo potere? Il demonio non ha potere su Gesù perché in lui
non trova nulla che leda o impedisca l’unità dei figli di Dio dispersi. È
questa la volontà del Padre e Gesù si muove secondo questa volontà: riunire i
figli di Dio dispersi, mostrando quanto è grande l’amore di Dio per gli uomini
che li vuole commensali alla mensa del suo amore. Ma è dall’eternità che questa
volontà presiede a tutta la creazione. Nel libro dell’Apocalisse si trova un
versetto assai misterioso. Si tratta di Ap 13,8, che la versione CEI rende:
“…fin dalla fondazione del mondo nel libro della vita dell’Agnello immolato”,
ma il testo greco è reso dalla Volgata: “in libro vitae agni qui occisus est ab
origine mundi”. È l’immagine dell’icona della Trinità di Rublev: sulla mensa,
nel calice, l’agnello immolato, che sovrasta la creazione del mondo, è il tema
del colloquio eterno tra il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Se si unisce
quel versetto al versetto di Pro 8, 27.31-32: “quando fissava i cieli, io ero
là…ed ero la sua delizia ogni giorno, dilettandomi davanti a lui in ogni
istante; dilettandomi sul globo terrestre, ponendo le mie delizie tra i figli
dell’uomo”, la comprensione della nostra storia acquista una profondità
insospettata. Su tutto sovrasta, non semplicemente il Verbo di Dio, ma la
figura dell’Agnello Immolato, potenza e sapienza di Dio, testimone glorioso
dello splendore dell’amore di Dio per l’uomo, di cui l’eucaristia è il
sacramento.
La natura di
questo ‘sacrificio’ è prefigurata dall’offerta di pane e vino di Melchisedek
(re di giustizia), sacerdote del Dio Altissimo e re di Salem (re di pace). Il
sacerdozio di cui Gesù è investito, come recita il salmo 109, ripreso da Eb 7,
è ‘secondo l’ordine di Melchisedek’, non secondo l’ordine di Aronne, come a
dire: Dio non vuole più vittime, dal momento che la vittima è Lui. Un
bellissimo inno di Efrem canta: “L’Agnello di verità sapendo rigettati gli
antichi sacrifici diviene il sacerdote e il principe dei sacrificatori. Il
nostro sacrificatore, fattosi vittima, abolisce le vittime col suo sacrificio,
lui stesso sacerdote e vittima”. Con l’indicazione del pane e del vino si
allude non tanto al sacrificio, quanto al convito, ma si tratta del convito in
cui l’Amore si è sacrificato perché l’energia della sua vita passasse agli
uomini e diventassero tutti suoi commensali. Il miracolo della moltiplicazione
dei pani per sfamare la folla nel deserto, con tutte le allusioni all’Israele
sfamato nel deserto dalla manna, guidato e sorretto dal suo Dio che gli rinnova
il suo amore, è preceduto dal parlare di Gesù del Regno, dalla sua potenza di
guarigione che indica la vicinanza del Regno e dal ‘mistero del convito’ ancora
incompreso. Gesù sa che la gente non comprende il senso di quel suo gesto, ma
lo comprenderà poi, a dramma concluso, quando i cuori si apriranno alla
conoscenza del mistero della sua persona. Quando celebreranno l’eucaristia e
lasceranno che la loro vita sia inglobata in quel movimento di rivelazione
dell’amore di Dio per gli uomini, uniti al ‘sacrificio di amore’ del loro
Signore, allora non potranno che vivere favorendo con tutto se stessi quella
rivelazione perché a tutti arrivi e tutti insieme si renda grazie finalmente
per la benedizione che quella rivelazione comporta.