Secondo ciclo

Anno liturgico C (2006-2007)

Tempo di Avvento

 

2a Domenica

(10 dicembre 2006)

 

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 Bar 5,1-9;  Sal 125; Fil 1,4-11;  Lc 3,1-6

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La chiesa introduce la testimonianza di un profeta d’eccezione per predisporci ad accogliere la venuta di Gesù: Giovanni Battista. È definito come la ‘Voce che grida nel deserto’, voce per una Parola che ancora deve mostrarsi, ma dalla quale è già conquistato e di cui diventerà testimone.

Il brano del vangelo di Luca, in questo inizio del capitolo terzo, si espande in continue e misteriose allusioni. La storia di Gesù è definita in rapporto a Giovanni Battista e Giovanni Battista è definito in rapporto al popolo di Israele che attende la manifestazione del proprio Dio secondo la sua promessa. La liturgia fa ben vedere tutti questi nessi. Vengono definite le coordinate storiche non secondo i dati della storia di Israele, ma di quella pagana, a indicare la centralità dell’evento per la storia umana. I riferimenti sono legati alle autorità che derivano il loro potere dal beneplacito di Roma: Ponzio Pilato (governatore/prefetto della Giudea tra il 18 e il 36 d.C.), Erode Antipa (che governa tra il 4 a.C. e il 39 d.C.), Filippo (al potere tra il 4 a.C. e il 34 d.C.) e Caifa, sommo sacerdote, che svolge il suo incarico tra il 18 e il 36, dopo che Anna, suo suocero, era stato deposto nell’anno 15. Le coordinate di senso, invece, sono definite in rapporto alla storia sacra d’Israele con allusioni, dirette e indirette, alle Scritture per far comprendere sia la vicenda del Battista che il compimento delle promesse di Dio al suo popolo. Il Battista è definito con un riferimento diretto al profeta Isaia 40,1-5 e con un’allusione alla vocazione di Geremia 1,1 e alla promessa di Dio in Osea 2,16-22. A questi brani la liturgia aggiunge il testo di Baruch, essenziale a cogliere il grido del Battista.

Partiamo dalla vocazione del Battista. Giovanni Battista viene presentato come profeta, profeta per eccellenza e ultimo profeta, colui che introduce alla ‘presenza’ di Colui che tutti i profeti avevano annunziato, come sapremo dal seguito del racconto. Tutti i riferimenti alle Scritture seguono il testo greco dei LXX. Quello che noi leggiamo in Luca: “la parola di Dio scese su Giovanni” (oppure, secondo altre versioni: “la parola di Dio fu rivolta a Giovanni”), corrisponde all’inizio del libro di Geremia. Il testo greco però non dice semplicemente che la parola di Dio fu rivolta a, ma che la parola di Dio venne su di, che la parola di Dio fu su di (che il latino rende con ‘factum est verbum Dei’), usando gli stessi termini che nel libro di Geremia. La cosa straordinaria da notare è che la stessa espressione viene usata da Giovanni nel suo prologo per indicare la creazione ad opera del Verbo e la nascita del Verbo come carne. Queste allusioni sottolineano l’estrema densità di quell’evento che avviene per il Battista, ma che è avvenuto fin dall’inizio e si è ripetuto per tutti i profeti: la Parola di Dio entra con forza e si impone, opera quello che esprime, è capace di dar forma, di dare essere, di fare quello che dice. E qui sta tutto il senso della storia di Israele, che è storia sacra per tutta l’umanità, di cui tra breve, nel racconto evangelico, Gesù mostrerà tutta la forza e lo splendore, Lui che è appunto la Parola che la voce del Battista proclamerà e di cui si testimonia che è la Parola ‘fatta’ carne, Dio venuto a compiere le sue promesse.

L’allusione alla voce che grida nel deserto riprende il testo di Osea: “Perciò, ecco, la attirerò a me, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore… Là canterà come nei giorni della sua giovinezza, come quando uscì dal paese d' Egitto… ti farò mia sposa per sempre, ti farò mia sposa nella giustizia e nel diritto, nella benevolenza e nell' amore, ti fidanzerò con me nella fedeltà e tu conoscerai il Signore”, dove il brano, reso pudicamente in italiano, ha un connotato molto più realistico: ti sedurrò, parlerò sul tuo cuore, con espressioni tipiche dell’intimità delle relazioni tra l’uomo e la donna; canterà, nel senso della risposta della sposa che si dona a suo marito. Allora, portare nel deserto da parte di Dio allude, sì, allo spogliamento (= penitenza) dei beni e delle cose nei quali ci si è illusi di trovare felicità, ma soprattutto allude a una nuova storia di amore che Dio è pronto a intessere col suo popolo su basi nuove, con una nuova alleanza, perché finalmente il cuore possa godere la vita in modo soddisfacente. Quando il Battista comincia a gridare nel deserto, nella sua voce c’è l’eco di questo desiderio di Dio di venire dal suo popolo, un’eco che non rimbomba più da lontano ma si fa sempre più vicino, fino a tramutarsi nel suono diretto della Parola d’amore che appare in mezzo al suo popolo quando Gesù si manifesterà.

Quando il Battista grida: “preparate la via del Signore”, l’allusione è al brano del profeta Baruch, che costituisce il contesto in cui comprenderla. Là il profeta aveva proclamato: “Poiché Dio ha stabilito di spianare ogni alta montagna e le rupi secolari, di colmare le valli e spianare la terra perché Israele proceda sicuro sotto la gloria di Dio”. Non è l’uomo a spianare la strada al suo Dio, ma è lo stesso Dio che spiana la strada. L’invito alla conversione è dunque l’invito a ‘vedere’ la venuta di Dio che viene incontro al suo popolo, è l’apertura di cuore a riconoscerlo nella sua offerta di alleanza, nella sua proclamazione di amore. Il Battista chiama la gente alla conversione nel deserto per imparare a percepire la nuova opportunità di salvezza che viene da Dio, mentre Gesù, che di quella salvezza è l’attore e il portatore, andrà lui dalla gente per farla gustare e rinnovare così i cuori tanto che ‘ogni creatura potrà vedere la salvezza’, cioè vedere in Lui quanto è grande l’amore di Dio per gli uomini (= vedere la gloria) e disporre tutti a vivere lo stesso mistero di amore perché Dio sia celebrato ovunque. Sarà uno degli esiti della gioia del Natale.