Secondo ciclo

Anno liturgico C (2006-2007)

Tempo di Avvento

 

1a Domenica

(3 dicembre 2006)

 

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 Ger 33,14-16;  Sal 24;  1 Ts 3,12-4,2;  Lc 21,25-36

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È assai caratteristico: l’anno liturgico finisce e comincia con la stessa lettura evangelica del cap. 21 di Luca. Ciò che si attende per la fine è lo stesso di ciò che si contempla per l’inizio. Ciò vuol dire che tutta la storia è racchiusa, vale a dire riceve senso, a partire da un unico punto: la realtà del Signore Gesù che si colloca all’ inizio della creazione, al centro e alla fine della storia. La liturgia insegna a considerare gli eventi a Lui collegati, che sono così significativi per la vita degli uomini, in una chiave particolare. Ieri, l’ultimo sabato dell’anno, il canto all’alleluia proclamava: “Siate vigilanti, fissate la speranza in quella grazia che vi sarà data al ritorno del Signore Gesù Cristo”. E oggi, prima domenica del nuovo anno liturgico, il canto all’alleluia proclama: “Mostraci, Signore, la tua misericordia e donaci la tua salvezza”. La preghiera coglie così la prospettiva di visione adatta ai nostri cuori davanti al mistero del Signore Gesù: siamo nell’attesa della rivelazione dell’amore di benevolenza del Signore per i suoi figli! Attesa, che non si riferisce solamente al premio finale, ma al desiderio di godibilità, nel tempo, di quella rivelazione, nella quale si incontrano e si consumano due desideri, quello dell’uomo e quello di Dio. Tutto l’invito della liturgia dell’Avvento alla vigilanza (vedi il brano evangelico: “Levate il capo” ... “State bene attenti” … “Vegliate e pregate in ogni momento”) si concentra sulla possibilità di sentire e accogliere proprio quel desiderio che Dio ha dell’uomo e che in Gesù si fa percepibile. Quando accorreremo per adorarlo, a Natale, nella mangiatoia, esulteremo proprio per la grandezza percepita del desiderio di noi che ha mosso Dio a farsi toccare da noi.

La Bibbia finisce con un grido: “Lo Spirito e la sposa dicono: Vieni!... Amen. Vieni, Signore Gesù” (Ap 22,17.20). Riassume l’anelito di Dio per l’uomo e quello dell’uomo per Dio di cui sono impastate tutte le Scritture. L’incompletezza delle cose e l’insoddisfazione dell’uomo, a qualunque causa si addebitino, portano inscritto l’eco di quel grido. A noi l’udirlo, perché dalle profondità del cuore proviene, eco della promessa del Signore di dare la vita per la quale siamo fatti. Il brano del vangelo, esortandoci alla vigilanza, ci invita a sintonizzarci su quel grido, ad accoglierlo come sussulto davanti all’offerta d’amore del nostro Dio (si veda la prima lettura del profeta Geremia, al cap. 33, vera dichiarazione d’amore di Dio per il suo popolo) che sovrasta e attraversa ogni nostro frastuono o sordità. Il salmo che viene cantato come risposta al brano di Geremia, il salmo 24, apre una finestra di luce proprio sulle intenzioni di Dio che parlano al nostro cuore: “Il Signore si rivela a chi lo teme … gli fa conoscere la sua alleanza”. Il testo ebraico è ancora più eloquente: “Il segreto (l’intimità) del Signore è per chi lo teme…”. Come a dire: le vie del Signore che chiediamo di conoscere sono la verità e la grazia del suo amore, che in Gesù si è reso toccabile, amore che costituisce la sua offerta di alleanza con noi in modo ultimativo, assolutamente definitivo. Non c’è evento nella nostra vita che possa cancellare o soffocare, far desistere il Signore dal suo amore. Temere lui vuol dire non impedire al cuore di vivere di quel suo desiderio di amore per noi.

Quando, con la colletta domandiamo: “O Dio, nostro Padre, suscita in noi la volontà di andare incontro con le buone opere al tuo Cristo che viene perché egli ci chiami accanto a sé nella gloria a possedere il regno dei cieli”, in realtà domandiamo semplicemente di aprire il nostro cuore al desiderio di Lui. E più precisamente, domandiamo che il nostro desiderio di Lui si lasci incendiare dal suo desiderio di noi, perché solo così il bene che si vuole si traduce in opere buone, capaci di far risplendere quel Bene che a Lui rimanda. Se il nostro bene non parla di Lui, vuol dire che il nostro cuore non è ancora conquistato dall’amore e se non è stato conquistato dall’amore come potrà far risplendere il bene?

L’antifona alla comunione riprende un versetto del brano evangelico coniugandolo secondo una certa dinamica: “Vegliate e pregate in ogni momento per essere degni di comparire davanti al Figlio dell’uomo”. Sempre per dire che se il nostro cuore intercetta il desiderio di Dio per noi, allora il Signore Gesù appare davanti a noi come il sigillo e la figura di quell’amore di benevolenza di Dio su cui è costruito il mondo e di cui è intessuta la mia vita. Comparire davanti al Figlio dell’uomo significa riconoscersi destinatari e soggetti di quell’offerta di amore che trasfigura il mondo e rende la vita desiderabile e godibile. La liturgia di oggi insiste semplicemente sul fatto di imparare a intercettare il desiderio di Dio; non pone prerequisiti particolari. Una volta però che il cuore percepisce quel desiderio, diventa capace di percorrere una strada, di sopportare la fatica del cammino che lo condurrà a condividere gli stessi sentimenti di Dio nel Suo desiderio di comunione con gli uomini. Le prossime domeniche illustreranno per dove si snoda quel cammino.