Secondo
ciclo
Anno
liturgico B (2005-2006)
Tempo
di Pasqua
Pentecoste
(4 giugno
2006)
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At 2,1-11;
sal 103; Gal 5,16-25; Gv 15,26.27; 16,12-15
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Nella settimana
che precede la festa, la chiesa ha fatto pregare: “Venga su di noi, o Padre la
potenza dello Spirito Santo perché aderiamo pienamente alla tua volontà per
testimoniarla con amore di figli” (colletta lunedì) e “Venga, o Padre, il tuo
Spirito e ci trasformi interiormente con i suoi doni; crei in noi un cuore
nuovo perché possiamo piacere a te e cooperare alla tua volontà” (colletta
giovedì).
L’invocazione
allo Spirito Santo è finalizzata all’adesione alla volontà di Dio. Perché e cosa
significa questo? Ce lo rivela Gesù nel vangelo: lo Spirito “vi guiderà alla
verità tutta intera… dirà tutto ciò che avrà udito”. Lo Spirito, ottenutoci
dalla passione gloriosa di Gesù, svelerà al nostro cuore il colloquio eterno
tra il Padre e il Figlio a proposito della salvezza dell’uomo, il colloquio tra
il Padre e il Figlio che vive la sua umanità nell’amore per gli uomini. Tutto
questo ‘colloquio’ lo Spirito ha udito e ce ne renderà partecipi. Così
conosceremo la verità, vale a dire la grandezza dell’amore di Dio per l’uomo,
che in Gesù si è fatto ‘evidente’, a noi accessibile, per la fede in lui. Ci
farà gustare la promessa di Gesù: “Vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che
ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi” (Gv 15,15).
Delle due
immagini caratteristiche della Pentecoste, le lingue che compaiono sul capo
degli apostoli e il fuoco di cui si prega “Vieni, santo Spirito, riempi i cuori
dei tuoi fedeli e accendi in essi il fuoco del tuo amore”, il fuoco esprime
appunto la cifra di quel colloquio, la condivisione di un segreto capace di far
ardere il cuore. Collegare l’invio dello Spirito alla volontà di Dio significa
far percepire che quella volontà è essenzialmente una volontà di bene per
l’uomo, significa ridare al cuore dell’uomo la percezione della verità del
fuoco dell’amore di Dio che a lui arriva tramite Gesù. Significa poter
conoscere il mistero del Signore Gesù in tutta la potenza di rivelazione
dell’amore di Dio per l’uomo, nella condivisione del suo segreto. Se tale è la
percezione del cuore, allora il cuore non potrà che vivere nell’onda di
quell’amore e estenderlo a tutti, fino ai confini della terra. Qui si collega
la responsabilità della testimonianza, che non sarà più vissuta tanto come
impegno o dovere ma come sovrabbondanza: lo Spirito riempirà di Gesù i cuori
fino a che tutta la sua verità risplenda e conquisti, me come tutti. La
testimonianza è in funzione di uno splendore, non di un impegno!
Qui si innesta
anche la comprensione dell’immagine delle ‘lingue’. E’ un fatto assolutamente
evidente sulla faccia della terra: gli uomini sono tra loro diversi, sono
dispersi in ogni angolo e parlano lingue differenti. E’ un bene o un male? La
Scrittura dà del fatto due spiegazioni: una, positiva: dopo il diluvio Dio ha
voluto che gli uomini abitassero la terra secondo la loro diversità (Gen 10);
una, negativa: Dio ha condannato gli uomini alla diversità per evitare che si
coalizzassero contro di Lui (Gen 11,
racconto della torre di Babele). Ci sono due modi per far fronte alla
diversità, percepita come una minaccia: o quello di esercitare un dominio da
rendere irrilevante la diversità, e questo corrisponde alla volontà dell’uomo,
che genera però schiavitù (l’esperimento di Babele comportava la costituzione di
un dominio del più forte contro tutti gli altri per assoggettarli e Dio sarebbe
stato negato come Padre); o quello di aprire la diversità alla comunione,
lasciando alla diversità la sua consistenza e invitando ogni diversità a dare
il proprio apporto a un mondo comune (e questo corrisponde alla volontà di Dio,
che di tutti è Padre). Lo Spirito di Dio è definito così “Lo Spirito del
Signore ha riempito l’universo, egli che tutto unisce, conosce ogni linguaggio”
(Sap 1,7). Quando, a Pentecoste, compaiono sul capo degli apostoli le lingue,
la proclamazione evidente è: ormai tutti possono percepire che è l’opera di Dio
a unire gli uomini. E l’opera di Dio è la verità del suo amore per gli uomini
che in Gesù si è fatto visibile e accessibile. Il miracolo che a Pentecoste
acquista una rilevanza fisica tanto che ognuno sente proclamare l’opera di Dio
nella sua lingua nativa (=ogni lingua, ogni uomo, nella sua diversità, è
chiamato a proclamare la stessa ed unica cosa), è lo stesso miracolo che è
operato nei cuori dallo Spirito quando li convince a muoversi nella carità,
aprendo la diversità alla comunione e facendo esperienza che così viene
proclamato l’amore di Dio che riempie i cuori. Riconoscere, assecondare,
favorire tale dinamica, significa aver ricevuto e agire nella potenza dello
Spirito Santo. E lo Spirito Santo non può che condurre alla conoscenza del
mistero del Signore Gesù che dell’amore di Dio per gli uomini è il testimone
per eccellenza. Quando gli apostoli, davanti ai persecutori, preferiscono la
carità di Gesù, non scelgono solo di stare dalla parte di Gesù, ma anche dalla
parte degli uomini che della sua carità devono poter vedere lo splendore in
atto.