Secondo
ciclo
Anno
liturgico B (2005-2006)
Tempo
di Pasqua
6a Domenica
(21 maggio
2006)
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At 10,25-48;
Sal 97; 1Gv 4,7-10; Gv 15,9-17
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La realtà che
Gesù aveva illustrato con l’immagine della vite e dei tralci (brano della
domenica scorsa) ora la descrive direttamente. Tutto il discorso però si
impernia su di un’unica particella, sul ‘come’, assolutamente determinante per
cogliere il senso delle sue parole. Quel ‘come’ introduce al mistero della sua
rivelazione, della condivisione del segreto di cui mette a parte i discepoli.
Per il nostro discorso quotidiano, le frasi di Gesù suonano piuttosto strane.
Non ha molto senso infatti dire che uno è amico se fa ciò che gli comanda
l’altro oppure unire l’amare al fatto di essere comandati, senza aggiungere che
le concatenazioni (servo-amico-scelta-frutto-preghiera) che Gesù usa non sono
immediatamente comprensibili. In questo intensissimo brano, come del resto in
molti altri testi evangelici, si aprono continuamente nuovi livelli di
comprensione a seconda di come le varie espressioni sono tenute insieme. La
complessità è intenzionale perché la densità di ciò che viene rivelato è tale
da doverla accostare da più punti e l’ascoltatore o il lettore è condotto, per
accostamenti successivi, a entrare sempre più nel profondo.
Gesù intesse il
suo discorso su tre ‘come’: “Come il Padre ha amato me… come io ho osservato i comandamenti del Padre
mio… come io vi ho amati” (vv. 9,10,12). Sgombriamo subito il campo da un
equivoco. Il ‘come’ non ha valore di paragone, quasi Gesù volesse additarci lui
come esempio in modo da raggiungere l’uguaglianza di intensità con lui
nell’amore. Sarebbe oltremodo presuntuoso per noi uomini. Non esprime
uguaglianza, ma ragion d’essere, identità di movimento, natura del movimento.
Il ‘come’ allude sempre a una rivelazione dall’alto, ad una offerta di alleanza
da parte di Dio all’uomo, ad una partecipazione al suo stesso dinamismo. “Come
il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi”. Gesù riferisce tutto al
Padre, come se dicesse: tutta la compiacenza che il Padre ha posto su di me (si
pensi al battesimo e alla trasfigurazione) io l’ho posta su di voi. Voi, in me,
siete chiamati a entrare sotto questa compiacenza e a goderne i benefici. Tale
compiacenza dura dall’eternità e lungo tutta la storia. E Gesù ne annuncia la
condizione per goderne i benefici: “Se osserverete i miei comandamenti,
rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e
rimango nel suo amore”. Ma i comandamenti del Padre sono la salvezza dell’uomo,
veicolano la partecipazione alla sua compiacenza in funzione di una comunione
nell’amore e questo è il senso della nostra storia. Chi non coglie questa
dimensione troverà senza senso o troppo dura la vita perché non riposa in
un’intimità (è la sfumatura di significato del termine ‘rimanere’). Osservare i
comandamenti comporta il vedere l’amore di Dio costituire la radice di vita,
comporta l’opzione di vivere secondo questa radice, fonte della nostra gioia e
dignità. Ma questo non si limita a me solo, come se Dio riempisse il mio
bisogno di amore e quindi potessi starmene sazio. Quel tipo di amore non ha
nulla a che vedere con l’amore di Dio che arriva a noi in Gesù. E per questo
Gesù subito dopo parla del ‘dare la vita’. La dinamica dell’amore è tale che si
estende a tutti o si perde, nel senso che non è possibile limitare a qualcuno
l’amore e negarlo ad altri. Non sarebbe più un amore ‘come’ quello di Gesù. E
l’estensione a tutti ha una concretezza che ne qualifica la verità: “Questo è
il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati”.
L’amore a tutti comporta il trascinare tutti dentro quell’amore vicendevole che
è tipico dell’esperienza di comunione con Gesù, rivelatore dell’amore del
Padre. Da notare che ora non si parla più di comandamenti, ma di un solo
comandamento. Ciò vuol dire che quel comandamento non solo riassume tutti gli
altri, ma di tutti mostra lo scopo unico, il sigillo di autenticità e di
vigore. L’amore vicendevole è direttamente dipendente dall’esperienza
dell’amore salvatore del Signore. Per questo Gesù, in altri passi, potrà dire:
se gli uomini vedranno che vi amiate, riconosceranno il mio nome. E da altri
passi verremo a sapere che quell’amore vicendevole è frutto del dono dello
Spirito Santo che ci rende un cuor solo e un’anima sola, il mistero
dell’eucaristia realizzato, la fraternità come opera divina, rivelazione della
paternità di Dio.
Si può procedere
ancora oltre. L’aspetto di rivelazione delle parole di Gesù è da cogliere nel
fatto che tale dinamica di amore di cui Gesù ci fa partecipi corrisponde
all’intima struttura del cuore dell’uomo. Un uomo siffatto è un ‘vero’ uomo nel
senso che vive secondo la vocazione all’umanità che il nostro essere uomini
comporta. Per questo Gesù potrà dire che la gioia che tale dinamica ottiene non
potrà essere rapita da nessuno perché si situa ad un livello di profondità dove
nessuno ha accesso, nemmeno i demoni e costituisce l’eredità della vita. E
l’uomo scoprirà che le radici di quella gioia appartengono a Dio, di cui
condividerà i sentimenti.