Secondo
ciclo
Anno
liturgico B (2005-2006)
Tempo
Ordinario
34a Domenica
N.S. Gesù Cristo Re
dell’universo
(26 novembre
2006)
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Dn
7,13-14; sal 92; Ap 1,5-8;
Gv 18,33-37
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Gesù si proclama
re solo davanti a Pilato quando ormai è chiaro l’esito del processo intentato
contro di lui: sarà condannato alla crocifissione. L’aveva più volte annunciato
e Giovanni si era fatto premura di punteggiare il suo racconto con quella
predizione: “E come Mosè innalzò il
serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell' uomo,
perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. Dio infatti ha tanto amato
il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non
muoia, ma abbia la vita eterna" (Gv 3,14-16); “Quando avrete innalzato il Figlio dell' uomo, allora saprete che Io
Sono e non faccio nulla da me stesso, ma come mi ha insegnato il Padre, così io
parlo” (Gv 8,28); “Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me”
(Gv 12,32). Entrando trionfalmente a Gerusalemme, la folla lo acclama come il
re, il regno che viene, ma nessuno sospetta quale realtà quelle acclamazioni
comportino. Gesù collega il suo ‘innalzamento’ alla sua regalità e sulla croce,
a condanna eseguita, diventerà ‘il re della gloria’, come gli antichi
crocifissi riportavano sopra la sua testa. Così apparirà la ‘verità’ per
testimoniare la quale è appunto venuto a noi quel ‘re, crocifisso’.
Come aprirci al
mistero di rivelazione di questi termini che Gesù si attribuisce, ma che
risuonano in tutta la loro tragica ambiguità? In altre parole, di quale regno e
di quale verità mai si tratta? È quanto chiediamo di comprendere nell’orazione
dopo la comunione: “… fa che obbediamo
con gioia a Cristo, Re dell’universo, per vivere senza fine con lui, nel suo
regno glorioso”. Non intendiamo solo pregare di obbedire a Cristo per
entrare in paradiso. Preghiamo invece perché si realizzino i desideri più profondi
del cuore che, in quel Gesù, re della gloria a partire dalla croce, viene
conquistato all’amore del Signore in modo così radicale da viverne lo splendore
in tutti gli eventi della vita senza che nulla possa soffocarlo. Come non è
dato all’uomo altro Nome nel quale essere salvati (cfr At 4,12), così non è
data altra figura più significativa e più rivelativa del senso del mondo e
della nostra dignità di quell’Agnello immolato che testimonia la verità
dell’amore di Dio per l’uomo. Perché questa è la verità che interessa all’uomo:
Dio l’ha amato a tal punto che il Suo Figlio si è sacrificato perché
quell’amore potesse risplendere e costituire la radice di dignità e di vita per
l’umanità. Guardare a quel ‘Trafitto’ significa essere conquistati dall’offerta
di alleanza di Dio che sovranamente regna su tutto, attraversando ogni peccato
e miseria, oltrepassando ogni manchevolezza e timore, vincendo ogni resistenza
e paura; alleanza, che si traduce in desiderio di fraternità, dove ormai non si
tratta più di attirare a me le simpatie del Re, che è già tutto dalla mia
parte, ma di condividere con lui i suoi sentimenti verso l’umanità intera.
Posso chiamare mio il mio Re, quando rispetto a tutti sono soltanto servo
perché condivido ormai il suo segreto, che è il suo desiderio di intimità con
tutti i suoi figli finalmente realizzato.
C’è però anche
un altro aspetto che merita attenzione. Nella colletta della festa di oggi,
ultima domenica dell’anno liturgico, chiediamo di comprendere che servire è
regnare. Lo chiediamo perché toccati dallo splendore della ‘regalità’ di
Cristo. La realtà che esprime questo ‘servire/regnare’ partecipa delle stesse
caratteristiche del regno di cui parla Gesù: “il mio regno non è di questo mondo”. Ciò significa che quell’amore
che risplende in verità è destinato a trasfigurare questo mondo, ma non
proviene da questo mondo, non trova la sua radice in questo mondo. Perciò non
può modellare su questo mondo la sua realizzazione, non può trovare in questo
mondo la giustificazione evidente. Eppure quell’amore esprime la verità del
mondo nel senso che lo apre e lo porta al compimento agognato. Così tutti gli
amori di questo mondo non sono che ombra di quella carità divina a cui in
ultima analisi rimandano, come tutti i poteri di questo mondo sono ombra del
potere in verità di Dio sul quale sono misurati. Quando i vari poteri ed i vari
amori distolgono da quella carità divina rinnegano le fonti stesse della loro
legittimità e diventano causa di tormento, sebbene i cuori non cessino
segretamente di anelare sempre, nonostante tutto, a quella carità divina che
sola rende ragione dei loro desideri. E’ secondo questa tensione che va
compresa l’esortazione: “aprite le porte
al Signore: entri il re della gloria”, il Cristo Signore.