Secondo
ciclo
Anno
liturgico B (2005-2006)
Tempo
Ordinario
32a Domenica
(12 novembre
2006)
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1Re
17,10-16; sal 145; Eb 9,24-28;
Mc 12,38-44
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La liturgia
della Chiesa oggi è come un commento all’elogio che Gesù tributa ad una povera
vedova a sua insaputa. È significativo che il canto al vangelo introduca il
brano con l’invito che nel giudizio finale il Re rivolge ai suoi eletti: “Venite, benedetti del Padre mio, dice il
Signore, ricevete il regno preparato per voi fin dall’origine del mondo”
(Mt 25,34). L’elogio di Gesù alla vedova cela proprio quell’invito. Quell’invito,
dolce e premuroso da parte di Dio, le appartiene, svela ciò che nasconde il suo
cuore nella sua umile offerta. L’antifona alla comunione lo sottolinea di
nuovo: “Il Signore è il mio pastore, non
manco di nulla…”. Di questa ‘certezza’ era colmo il suo cuore, certezza che
fa dire a Gesù: “In verità vi dico:
questa vedova ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Poiché tutti hanno
dato del loro superfluo, essa invece, nella sua povertà, vi ha messo tutto
quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere”.
Gesù non vuole
stabilire una preminenza; solo gli uomini pensano sempre a riconoscersi per la
loro importanza (sia essa personale, di merito, di censo, di doti, ecc.). Gesù
vuol esaltare un tipo di legame, di attaccamento, di comportamento dei cuori tra
Dio e i suoi servi. La vedova, nel dare tutto quello che aveva per vivere, fa
affidamento alla promessa di Dio che, nella sua grandezza e generosità, non
lascerà mancare il necessario ai suoi servi. Quella donna si fida del suo Dio,
con tutto il suo cuore. E come sempre, la promessa di Dio, per rivelarsi nella
sua ‘gratuità’, nella sua ‘radicalità’, non ha bisogno di sfruttare nulla che
appartenga all’uomo; pochi però fanno così affidamento alla promessa di Dio da
abbandonarsi, umili e fiduciosi, senza remore, come la povera vedova di cui
Gesù tesse le lodi senza che lei neanche lo sappia e nemmeno se ne renda conto.
Dio in effetti ha soltanto bisogno dello spazio di un cuore che si faccia
semplicemente e totalmente accogliente, anche quando le apparenze giocano
evidentemente a sfavore. E dove si esprime qui la promessa di Dio? La
traduzione inganna. Letteralmente si dovrebbe rendere: “dalla sua mancanza
gettò tutto quanto aveva, tutta la sua vita”. Il nostro Dio è un Signore
‘strano’: non chiede né poco né tanto né tutto: chiede quello che non hai. Il
gesto della vedova che trae dalla sua mancanza quello che costituiva la sua
vita assume una valenza spirituale paradigmatica. Basta pensare ai
comandamenti. Dio ci comanda: “siate
miti … portatori di pace … misericordiosi…”.
Uno dà quello che ha, questa è la norma dell’agire tra gli uomini. Con Dio non
vale: uno deve dare quello che non ha per averlo anche lui. Così, io, che non
sono affatto mite, che non sono affatto in pace, sono richiesto di usare
mitezza, di portare pace. Ma come è possibile? Sulla promessa della fedeltà di
Dio al suo comandamento. Dare mitezza in nome di Dio a un fratello vuol dire
fidarsi totalmente della promessa che farà gustare anche al mio cuore quella
mitezza. Ed in questo gusto trovare finalmente la compagnia di colui che il mio
cuore ama. Perché se già non lo amassi, come farei a fidarmi? Per questo la
vedova è tanto elogiata da Gesù. Il fidarsi del suo Dio rivela il suo amore per
lui, per tutte le sue cose , vale a dire il tempio e il suo popolo per cui si
portavano le monete al tesoro. Ed in cambio tutta la sua vita resta assicurata,
in modo inspiegabile, sulla fedeltà di Dio.
Gregorio Magno,
commentando la prontezza dei pescatori a seguire la chiamata di Gesù, riflette
sul fatto che a dire il vero quegli uomini avevano ben poco da lasciare essendo
poveri. Ma, aggiunge 'ha molto lasciato chi non ha tenuto nulla per sé'. E' il
senso della fede genuina. Non importa lasciare poco o tanto; l'importante è non
conservare nulla per sé, vale a dire fidarsi fino in fondo, con tutto il
cammino, con tutte le fatiche che questo comporta, in modo che la grazia
dell'incontro possa rivelare tutti i suoi frutti, nel tempo.
La vicenda del
profeta Elia e della vedova di Zarepta allude alla medesima realtà. Se la
vedova si fida della parola del profeta, il quale si era fidato della parola di
Dio, non solo non muore nella sua indigenza, ma con la sua indigenza, offerta,
ricostituirà la vita sua e del profeta e del popolo dei credenti in generale.
Nessuna offerta di questo tipo ha un valore meramente individuale. Riguarda
sempre l’insieme, coinvolgendo insieme Dio ed il suo popolo, per cui la vita in
questo mondo risulterà più vivibile e la presenza di Dio più tangibile, per
tutti. Il ritornello del salmo responsoriale, se letto in rapporto alla vedova,
acquista una risonanza più profonda: ‘beati i poveri in spirito, di essi è il
regno dei cieli’. Lei è di quei ‘poveri’ nei quali prevale la beatitudine
promessa perché la fedeltà di Dio per lei è cosa nota, vera, tanto da scavare
nella sua indigenza la gioia del vivere, perché con il suo Dio. Ma la
beatitudine va letta non solo in rapporto al fatto che soltanto i poveri in
spirito avranno parte al regno dei cieli, ma anche in rapporto al fatto che, se
incontreremo questi poveri, avremo toccato il regno dei cieli, il regno dei
cieli sarà reso visibile a noi.