Secondo
ciclo
Anno
liturgico B (2005-2006)
Tempo
Ordinario
24a Domenica
(17 settembre
2006)
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Is 50,59;
sal 114-115; Gc 2,14-18; Mc 8,27-35
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Con il brano di
vangelo proclamato oggi siamo al centro della narrazione di Marco. Gesù
incomincia a rivelare direttamente la sua passione, a cui seguirà subito dopo
l’episodio della trasfigurazione. La liturgia indica come un percorso per
arrivare a cogliere la realtà del mistero della persona di Gesù. Gesù era
apparso ‘convincente’ per molti da indurre alcuni a seguirlo totalmente e
devotamente. Aveva operato segni straordinari e il suo dire, il suo raccontare
in parabole aveva catturato il cuore di tanti. Era forse il momento di
traghettare i discepoli ad una comprensione più profonda e veritiera della sua
persona e chiede loro: “Chi dice la gente che io sia?”, “E voi chi dite che io
sia?”. La domanda sottende la stessa problematica di Giovanni Battista: è lui o
dobbiamo aspettare un altro? La gente pensa che lui sia stato mandato a
preparare la via al Messia, mentre Pietro confessa invece che proprio lui è il
Messia che si aspettava. Gesù prende così sul serio la risposta di Pietro che
apertamente svela il suo futuro di passione, del resto annunciato dal brano di
Isaia della prima lettura. Gesù – dice il testo – non semplicemente spiega, ma
‘insegna’ che ‘doveva’, ‘era necessario’ che avesse da soffrire molto. Questi
due termini (‘insegna’ e ‘doveva’) indicano che l’uomo non avrebbe mai potuto
arrivare al mistero della persona di Gesù dal basso, ma che la sua conoscenza
proviene da una rivelazione, viene dall’alto. Pietro, che rifiuta quella
rivelazione, in effetti non comprende e si prende il rimprovero di Gesù. In
quel rimprovero però c’è tutta la pedagogia di Dio con l’uomo e Pietro ne farà
tesoro. Gesù riprende la testimonianza di Es 33,20-23, là dove Dio dice a Mosè
che non potrà vedere il suo volto, ma solo di spalle. Quello che nella versione
italiana leggiamo: ‘lungi da me, satana’, in realtà vuol dire: stai dietro a
me, vienimi dietro, se vuoi vedermi in verità. Solo camminando dietro il
Maestro si potrà vederlo in verità fino alla visione della croce, là dove
risplende l’amore di Dio per gli uomini, convincendo i cuori che solo da
quell’amore scaturisce la vita per l’uomo e che solo in quell’amore la dignità
della vita si fa godibile. La verità che vale per il Maestro non è diversa da
quella che vale per il discepolo.
Quando Gesù
riprende l’avvertimento per tutti i discepoli dicendo che chi vuol venire
dietro di lui deve rinnegare se stesso e prendere la sua croce, ripete la
stessa cosa. Gesù in verità lo si può ‘vedere’ solo quando è trafitto perché lì
risplende quell’amore di Dio per l’uomo che rivela il suo vero volto. Se lì
appare lo splendore dell’amore, allora quell’amore è la vera ricerca della
vita, la vera fonte di vita, motivo di ogni rinuncia a qualsiasi cosa che non
sia collegabile o derivante da quell’amore. Qui risiede tutta la dignità della
vita. Ma, per quanto desiderabile, come resta velata ai nostri occhi! Nel
fondo, siamo sempre nella condizione di dover essere ‘istruiti dall’alto’ per
afferrare la verità della necessità di dover soffrire da parte di Gesù, e
quindi anche da parte nostra, e scoprire vero per noi e per tutti lo splendore
dell’amore. Lo sottolinea la preghiera dopo la comunione: ‘La potenza di questo
sacramento, o Padre, ci pervada corpo e anima, perché non prevalga in noi il
nostro sentimento, ma l’azione del tuo santo Spirito’. È la potenza della
visione del Signore trafitto che diventa fonte di vita perché apre alla
conoscenza dell’amore. È per quella visione e dentro quella potenza che san
Paolo, nella sua lettera ai Galati, ripresa dal canto al vangelo, proclama: “Di
null’altro mi glorio se non della croce di Cristo, per mezzo della quale il
mondo per me è stato crocifisso e io per il mondo” (Gal 6,14). Come a dire:
rispetto a quell’amore, di cui ho avuto la visione nel guardare al Signore
trafitto, non c’è nulla nel mondo che meriti la preferenza e non c’è nulla in
me che può trovare nel mondo il compimento. La preghiera della chiesa tende a
rendere vivace per il nostro cuore tale verità.