Secondo
ciclo
Anno
liturgico B (2005-2006)
Tempo
Ordinario
13a Domenica
(2 luglio
2006)
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Sap 1,13-15;
2,23-24; Sal 29; 2Cor 8,7-15; Mc 5,21-43
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Come spesso
avviene, il canto al vangelo apre una porta di accesso speciale per la
comprensione del brano evangelico. Sono narrati due miracoli di Gesù, l’uno
incastonato nell’altro: l’emorroissa e la risurrezione della figlia del capo
della sinagoga. Ambedue i richiedenti, la prima nel segreto del suo cuore, il
secondo con l’insistenza aperta, cercano un ‘contatto’ con Gesù: l’emorroissa,
credendo che se riuscirà a toccare anche solo il vestito di Gesù, potrà essere
guarita; il capo della sinagoga, credendo che se Gesù toccherà sua figlia
questa guarirà. Cerchiamo allora di comprendere il senso del ‘toccare Gesù’
dato dal vangelo.
Il canto al
vangelo proclama: “Le tue parole, Signore, sono spirito e vita: tu hai parole
di vita eterna”. Si tratta di un’espressione composta da due versetti presi da
Gv 6, alla fine del lungo discorso eucaristico di Gesù, allorquando i discepoli
non comprendono il suo linguaggio e lo abbandonano. La prima parte è una frase
di Gesù: “Le mie parole sono spirito e vita”, mentre la seconda è la risposta
che Pietro dà a Gesù di fronte all’eventualità che tutti lo abbandonino:
“Signore da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna”. Quelle stesse parole
che erano risuonate dure e difficili tanto da abbandonare il Maestro, per
Pietro sono sempre parole di vita: così capiva il suo cuore, anche se la sua
mente non coglieva ancora il significato.
Smarrimento e
fede sono continuamente allacciati: se prevale lo smarrimento, si è seguito il
Signore solo esteriormente; se prevale la fede, si è toccato il Signore o ci si
è lasciati toccare da lui.
Nell’episodio
dell’emorroissa risalta appunto la fede che giunge a toccare Gesù e il fatto è
narrato con tale intensità da assumere valenze simboliche precise. Non dimentichiamo
che per la Legge (cfr Lev 15,25-27) l’emorroissa è immonda e chiunque tocca
resta immondo. Lei, la donna che per la sua malattia era dichiarata immonda,
nella calca generale, è l’unica a ‘toccare’ Gesù. Gesù se ne accorge perché chi
lo tocca nella fede permette alla sua potenza salvatrice di operare, gli
permette di rivelarsi per quello che è e secondo quello per cui è stato
mandato. Così lui che è il Santo santifica, lui che è il Salvatore salva, lui
che è il Potente soccorre e guarisce. Chi non ha vivo il senso della propria
immondezza, della propria miseria, della propria malattia, non ha fede
sufficiente per ottenere salvezza. Non si può desiderare di toccare Gesù
direttamente, ma solo il suo vestito, il suo mantello o addirittura la frangia
del suo mantello (come narra il passo parallelo di Matteo). Il vestito del
Verbo sono le parole della Scrittura. Ci si può accalcare attorno alla
Scrittura, ma non succede nulla, come non successe nulla alla folla dei
discepoli che pressava il Maestro lungo la strada. Ma se ci si accosta anche a
una sola parola con fede, allora ne scaturisce la potenza che racchiudeva e
l’anima è guarita. E la parola come il suo corpo sono lì (pensiamo alla
celebrazione eucaristica) proprio nell’attesa di lasciar uscire la potenza che
racchiudono e rivelare l’amore per cui è stata proferita ed è stata inviata.
Gesù resta nell’attesa di dirci: la tua fede ti ha salvata, va’ in pace e sii
guarita dal tuo male!
Se pensiamo ora
alla fede del capo della sinagoga ne possiamo intuire la grandezza allorquando
i messaggeri da casa gli mandano a dire che la figlia è ormai morta, che tutto
è inutile. Tra l’altro, lui aveva insistito con Gesù perché venisse presto a
casa sua, aveva fretta di far venire Gesù perché temeva l’irreparabile. Gesù acconsente,
ma in un certo senso se la prende comoda. Tutto l’episodio dell’emorroissa,
agli occhi del capo della sinagoga, deve essere suonato come una terribile
perdita di tempo prezioso, come un penoso dover sostare. Ma Gesù conduce la
scena e conduce anche il suo cuore e lo invita a continuare a credere. Di lui
non ci si riferisce più nulla perché l’essenziale è stato detto: ha continuato
a credere. Per quella fede Gesù ha operato, Gesù si è manifestato. Quella fede
Gesù ha nutrito. E se alla fine comanda di non divulgare il fatto vuol dire che
solo nella e alla fede Gesù può apparire per quello che è. Ogni altra illazione
genererebbe confusione e illusione, come in effetti capita ai nostri cuori
quando invece che avere fede in Gesù e accogliere il suo agire per noi, noi
chiediamo a Gesù di essere quello che noi pensiamo di lui. Così, se Pietro, pur
trovando indigeribili le parole di Gesù, dice: “Tu hai parole di vita eterna”,
vuol dire che il suo cuore sta comunque con Lui nell’attesa che Lui stesso gli
sveli il senso di ciò che ora non comprende o che fraintende. Di quella fede
abbiamo bisogno.