Secondo ciclo

Anno liturgico B (2005-2006)

Solennità e feste

 

Trasfigurazione del Signore

(6 agosto 2006)

 

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Dn 7,9-14; Sal 96;  2Pt 1,16-19;  Mc 9,2-10

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Rispetto al desiderio dell’anima “Di te dice il mio cuore: ‘Cercate il suo volto’. Il tuo volto io cerco o Signore”, il brano evangelico oggi ci mostra il volto di Gesù risplendente di luce luminosissima, un volto ‘bellissimo’. Come se gli occhi umani fossero resi capaci di vedere l’oltre della figura di Gesù, quell’oltre che pesca nella incommensurabile bellezza e profondità divina, a noi nascosta, ma per noi vitale. Eppure, nulla si svolge secondo la nostra immaginazione. Se i pittori di icone non si fossero sprofondati nella contemplazione del brano evangelico, non avrebbero mai dipinto la scena con i discepoli ‘atterrati’, come scaraventati a terra, spaventati, di fronte a un Gesù splendente di luce che fuoriesce dalle profondità divine e che bagna con la sua luce tutto il mondo. Pietro proclama che per lui era bello stare lì, ma il testo continua dicendo che era come fuori di sé dallo spavento. Compaiono accanto a Gesù Elia e Mosè in atto di conversare con lui, ma, come specifica l’evangelista Luca, il tema della conversazione era la morte di Gesù. Perché questi accostamenti drammatici?

Il racconto della trasfigurazione nasconde molti misteri. La verità della rivelazione che avviene in quel momento (l’indizio che si tratti di una rivelazione e non semplicemente di un fatto straordinario va visto nell’annotazione di Luca che l’evento avviene durante la preghiera di Gesù sul monte!) è sottolineata proprio dalla tensione drammatica che muove tutto il brano. Gli apostoli sono estasiati e tremanti, affascinati e atterrati, rapiti e atterriti; compaiono Mosè e Elia a colloquio con Gesù, perché di Lui la legge e i profeti hanno sempre parlato e Gesù svela anche a loro qual è il segreto di Dio che lui custodisce e che loro hanno sempre velatamente intravisto: Dio ha così amato il mondo da dare il suo Figlio, ha così amato il mondo che il suo Figlio morirà perché il mondo abbia la vita e possa far risplendere in tutto il suo splendore la grandezza e l’assolutezza di quell’Amore. D’altronde, era a un colloquio del genere che anche Rublev, il pittore della ‘Trinità’, si era riferito: di che cosa può parlare Dio nella sua eternità se non dell’amore per l’uomo che in Gesù si manifesta come vita del mondo?

“Questi è il Figlio mio prediletto; ascoltatelo!”: riporta Mc 9,7. E Matteo: “Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto. Ascoltatelo” (Mt 17,5). La voce sul monte Tabor designa così l’Inviato di Dio e lo indica come il punto incandescente da cui tutto ha preso origine e verso cui tutto si volge. Se Gesù è il prediletto non lo è evidentemente nel senso che lui è l’amato e tutti gli altri no, ma nel senso che tutti sono amati in lui, che da lui l’amore si riversa su tutti e tutti ingloba, che l’amore da lui si riversa sul mondo per incendiarlo. E siccome in lui riposa tutto lo sguardo di compiacimento del Padre, allora vuol dire che tutti in lui anelano a riposare in quella compiacenza di Dio perché è su Gesù, Figlio di Dio fatto uomo, che riposa la compiacenza del Padre e non semplicemente sul Figlio di Dio. Così, ascoltare quel ‘Figlio prediletto’ non vuol semplicemente dire ascoltare il Figlio di Dio (noi non lo conosceremmo se non l’avessimo riconosciuto in Gesù), ma ascoltarlo nella concretezza di quell’umanità che da Dio discende. Quell’ “ascoltatelo” riguarda perciò tutta la Scrittura che di Lui parla e a Lui rimanda e che Lui illumina, riguarda tutto l’arco della storia del popolo di Dio che in Lui si riassume e si compie, perché ogni parola della Scrittura racchiude il desiderio di Dio di stare in compagnia dei suoi figli, desiderio che Gesù ha mostrato compiuto nel suo splendore (non c’era bisogno di costruire alcuna tenda da parte di Pietro!...).

Se consideriamo la liturgia delle Ore della festa di oggi, la consapevolezza  del contenuto di rivelazione è tradotta con le espressioni rivolte a Gesù: ‘Tu sei il re della gloria’; ‘Tu sei il più bello tra i figli dell’uomo: sulle tue labbra fiorisce la grazia’; ‘Da Mosè fu data la legge: da Gesù Cristo la grazia e la verità’. Ma di quale gloria si tratta? Di quale grazia? Di quale bellezza?

È sempre la tensione dinamica del racconto a svelarcelo. Bellezza, grazia e gloria si riferiscono al segreto di Dio per l’uomo: il suo amore incandescente, tanto da rendere il suo volto e le sue stesse vesti luminosissime, attira gli sguardi del cuore dell’uomo ma solo e in quanto il cuore dell’uomo si disponga a vivere della vita di quell’amore che viene da Dio e che è brillato in tutto il suo splendore su un altro monte, il Golgota. Solo lì Gesù ha accettato di essere proclamato ‘re della gloria’.

La visione di Gesù trasfigurato (lo ricorda Pietro, che di quell’evento conserva un ricordo indelebile, dicendo che è ‘conferma migliore della parola dei profeti’), rispetto all’esperienza della conoscenza del Signore Gesù nella fede, ha il valore di conferma, non di esperienza come tale. Quando Gesù appare ai discepoli da risorto, porta i segni della passione e della gloria, ma non è più né sfigurato come al Calvario né trasfigurato come sul Tabor. Non è la visione del Tabor che induce gli apostoli ad accogliere Gesù, ma il contrario: la loro accoglienza di Gesù si apre fino alla visione, che però avrà bisogno, per tradursi in vera esperienza di conoscenza, nella sequela di Gesù fino all’accettazione della sua morte e risurrezione, in modo da vivere la loro stessa vita dentro e per quell’amore che hanno visto risplendere nel loro Maestro. Così le testimonianze dei profeti, cioè le Scritture e la visione del Tabor tendono entrambe a favorire il sorgere nel cuore della visione di quel Volto che solo si conosce seguendo il suo amore fino alla fine.