Secondo ciclo

Anno liturgico B (2005-2006)

Solennità e feste

 

Ss. Cuore di Gesù

(23 giugno 2006)

 

_________________________________________________

Os 11,1-9; Is 12,2-6; Ef 3,8-19; Gv 19,31-37

_________________________________________________

 

Il simbolo più eloquente dell’amore di Dio per l’uomo, almeno nella liturgia latina, è il ‘sacratissimo cuore di Gesù’ che la lancia del soldato apre sul mondo, spalancando sull’universo il segreto di Dio. L’antifona d’ingresso della festa del S. Cuore canta: “Di generazione in generazione durano i pensieri del suo cuore, per salvare dalla morte i suoi figli e nutrirli in tempo di fame”, eco del salmo 32 là dove proclama: “Il Signore annulla i disegni delle nazioni, rende vani i progetti dei popoli. Ma il piano del Signore sussiste per sempre, i pensieri del suo cuore per tutte le generazioni”. Il piano del Signore è la sua determinazione all’amore per l’uomo, una determinazione che non si lascia vincere da nessuna diffidenza e cattiveria. Dio resta solidale con l’uomo comunque. Il Cuore di Gesù svela questo ‘piano’ e lo rende noto a tutti, a chiunque, per sempre.

Tuttavia, se considero il mio proprio cuore, non posso non domandarmi: cosa non mi convince dell’amore di Dio per noi? Perché resto così insensibile davanti alle prove del suo amore, davanti al suo cuore spalancato?  I comandamenti del Signore, rispetto alla sapienza del mondo che pervade la nostra carne, non hanno spesso quella risonanza per la quale non ci sentiamo attirati, ma come impauriti, respinti?  Eppure, come dice misteriosamente il profeta Zaccaria: “Riverserò sopra la casa di Davide e sopra gli abitanti di Gerusalemme uno spirito di grazia e di consolazione: guarderanno a colui che hanno trafitto” (Zc 12,10) che Giovanni evangelista interpreta come figura della morte in croce di Gesù. Ma il passo, nel testo ebraico e nel testo greco dei LXX, è ancora più esplicito: “guarderanno verso di me che hanno trafitto”. È proprio Dio che si lascia trafiggere e la salvezza viene dal fatto di guardare a lui trafitto con altri occhi. Non c’è altra strada per convertirsi, per credere. Non è sdegnandosi con se stessi o sognando una giustizia superiore che il cuore attinge al mistero di Dio, ma solo commuovendosi davanti ad un amore così toccante che ti rende prezioso nonostante la tua indegnità.

Lo rivela la testimonianza di Giovanni. La sua annotazione da testimone oculare (“uno dei soldati gli colpì il costato con la lancia e subito ne uscì sangue e acqua”) non si riferisce semplicemente al fatto visto, ma al significato del fatto, che corrisponde a quanto all’inizio del suo vangelo aveva scritto: “noi vedemmo la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità”. Quel cuore squarciato illustra quella ‘gloria’ e il fatto viene narrato perché anche chi legge possa ritrovarsi nella stessa esperienza del discepolo prediletto. Non si tratta di una informazione di cronaca, ma dello svelamento di un segreto capace di rinnovare tutta la vita. Quella gloria appare a chi guarderà verso quel ‘trafitto’ sentendosi trafitto dalla intensità del suo amore e dal dolore di non averlo compreso prima. Vedremo allora, come dice il profeta Osea, l’opera di Dio per noi (“A Efraim io insegnavo a camminare tenendolo per mano, ma essi non compresero che avevo cura di loro… ero per loro come chi solleva un bimbo alla sua guancia…”). Così prega la colletta: “Padre di infinita bontà e tenerezza… donaci di attingere dal Cuore di Cristo trafitto sulla croce la sublime conoscenza del tuo amore”.

Di s. Francesco di Assisi, assimilato al Cristo anche per le sue stimmate, si riporta il sogno rivelatore di due eretici, poi convertiti. Avevano visto il Signore Gesù chinarsi sul petto di Giovanni e questi a sua volta su quello di Gesù. Ad un certo punto, Gesù aprì con le sue stesse mani la ferita del costato e vi apparve perfettamente visibile san Francesco, all’interno del petto di nostro Signore; poi Gesù chiuse la sua ferita e vi rinchiuse san Francesco (FF 2547). Ma di Francesco si dice che avesse costantemente davanti agli occhi il suo dolce Gesù, crocifisso: “I frati che vissero con lui, inoltre sanno molto bene come ogni giorno, anzi ogni momento affiorasse sulle sue labbra il ricordo di Cristo; con quanta soavità e dolcezza gli parlava, con quale tenero amore discorreva con Lui. Era davvero molto occupato con Gesù. Gesù portava sempre nel cuore, Gesù sulle labbra, Gesù nelle orecchie, Gesù negli occhi, Gesù nelle mani, Gesù in tutte le altre membra (FF 522).

L’invito alla fede da parte di Giovanni evangelista nel riportare l’episodio della lancia che squarcia il costato di Cristo allude all’esperienza di ‘visione’ dell’amore di Dio per noi che proietta la vita in spazi assolutamente nuovi, fino ad allora impensabili. Non è che l’uomo abbia motivi così evidenti per amare Dio; ma se sosta in preghiera quei motivi appaiono al cuore e tutti si riducono all’esperienza del venir come ‘rinchiusi’ nel fianco aperto di Cristo, spalancato sul mondo, resi ormai suoi compagni di testimonianza dello splendore dell’amore di Dio per l’uomo.