Secondo
ciclo
Anno
liturgico B (2005-2006)
Solennità
e feste
Ss. Corpo e Sangue
di Cristo
(18 giugno
2006)
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Es
24,3-8; sal 115; Eb 9,11-15;
Mc 14,12-26
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L’origine di
questa festa, propria dell’Occidente latino, va messa in rapporto con il
possente risveglio della devozione eucaristica che dal secolo XII in poi si
sviluppò, accentuando particolarmente la presenza reale di Cristo nel
sacramento e quindi la sua adorazione. Furono le visioni di Giuliana di Cornillon,
monaca agostiniana di Liegi, ad avere un influsso decisivo nell’introduzione
della festività, che per la prima volta si celebrò nella diocesi di Liegi nel
1247. Urbano IV, già arcidiacono di Liegi e confessore di Giuliana, la
prescrisse per tutta la Chiesa nel 1264.
Il mistero
dell’Eucaristia, presentato nelle letture scritturistiche, è celebrato
coralmente dagli inni di s. Tommaso d’Aquino (Pange lingua, Lauda Sion) e
soprattutto dai prefazi. E’ a questi che mi rifaccio per suggerire qualche
porta di accesso allo splendore di questa festa.
Il mistero
dell’eucaristia, dal punto di vista della chiesa che la celebra, si colloca al
centro della sua azione e della sua tensione, della sua origine come del suo
destino. E la ragione risiede nel fatto che con la celebrazione
dell’eucaristia, vero punto di convergenza di tutto l’agire della chiesa, viene
aperta l’intelligenza delle Scritture e si fa esperienza della presenza del
Vivente nella chiesa, intelligenza e esperienza che rimandano al mistero della
fraternità. Intendo ‘mistero’, non nel senso di un qualcosa di non
comprensibile per la mente umana, ma nel senso di una realtà a cui siamo
invitati a prendere parte, realtà di cui siamo fatti partecipi.
Tre i verbi
significativi che ricorrono nei prefazi: “…a te per primo si offrì vittima di
salvezza”, “in questo grande mistero tu nutri e santifichi”. “Si offrì” vuol
dire ‘non si tirò indietro’, ‘fece valere il suo amore fino in fondo’, ‘non
preferì nulla all’amore che lo consumava dentro’, ‘svelò tutta la sua passione
d’amore per il Padre e per gli uomini’. In quell’offrirsi non è accentuato
tanto la natura riparatrice del suo sacrificio quanto la potenza e l’ardore del
suo amore per gli uomini, lo splendore dell’amore del Padre che tanto ha amato
gli uomini da dare quel suo Figlio unigenito, su cui era posto tutto il suo
compiacimento. Il nutrire (il suo Corpo si fa pane di vita, il suo Sangue
bevanda di salvezza) allude al fatto che comunica la forza del suo amore che
risana e vivifica, rendendoci capaci di percorrere la via per il Regno. Il
santificare (è lo Spirito Santo che in noi assume il Corpo e il Sangue di
Cristo, rendendoci un tutt’uno con quel Corpo – si veda la prima ammonizione di
s. Francesco di Assisi) allude alla potenza di trasfigurazione dello Spirito
che ci fa vivere in Cristo e di Cristo fino a che tutto di noi parli di Lui. La
cosa straordinaria è che la tensione del santificare non mira che al mistero
della fraternità, l’unico segno inequivocabile della presenza di Dio, dello
splendore della sua gloria. Quando preghiamo che ci trasformi a immagine della
sua gloria, in effetti, chiediamo di poter essere immessi nel mistero d’amore
della Trinità da cui deriva la fraternità tra gli uomini. Il segno più
eloquente di quell’amore e dello spazio nuovo di fraternità che ne deriva per
gli uomini è la dicitura ‘re della gloria’ posta sul capo del Crocifisso.
Sono tre i
prefazi che possono essere scelti per questa festa.
Il primo celebra
il memoriale del sacrificio: viene celebrato il mistero d’amore di Dio per
l’uomo, che nel sacramento continuamente si ripresenta perché ognuno vi possa
essere immesso e in esso rimanere.
Il secondo
celebra l’eucaristia come vincolo di unità e perfezione: “in questo grande
mistero tu nutri e santifichi i tuoi fedeli, perché una sola fede illumini e
una sola carità riunisca l’umanità diffusa su tutta la terra. E noi ci
accostiamo a questo sacro convito, perché l’effusione del tuo Spirito ci
trasformi a immagine della tua gloria”. E’ il mistero della santità come
mistero di fraternità realizzata, a immagine della Trinità. La vita eterna che
il sacramento ci procura è la vita nello Spirito che ci fa vivere un cuor solo
e un’anima sola, nella lode di Dio; un assaggio di paradiso.
Il terzo celebra
l’eucaristia come pegno di risurrezione: “nell’eucaristia, testamento del suo
amore, egli si fa cibo e bevanda spirituale per il nostro viaggio verso la
Pasqua eterna. Con questo pegno della risurrezione finale partecipiamo nella
speranza alla mensa gloriosa del tuo regno”. E’ la celebrazione del mistero del
Regno. Il principio di fondo, illustrato dai Padri nella spiegazione della
preghiera del Padre nostro, è semplice: su quello che sarà e che non verrà mai
meno, risposta agli aneliti dei cuori, va orientata la nostra esistenza. Accedere
alla mensa del Corpo e Sangue di Cristo vuol dunque dire imparare a percepire
ciò che soddisfa il cuore dell’uomo e a vivere del Dono di Dio, fino a che la
verità di questo appaia finalmente al nostro cuore in tutto il suo splendore.