Secondo ciclo

Anno liturgico B (2005-2006)

Tempo di Avvento

 

4a Domenica

(18 dicembre 2005)

 

_________________________________________________

2 Sam 7,1-16; Sal 88; Rm 16,25-27; Lc 1,26-38

_________________________________________________

 

Il canto di ingresso esprime il grido della chiesa, grido accorato e dolce insieme, con le parole del profeta Isaia: “Stillate dall’alto, o cieli, la vostra rugiada e dalle nubi scenda a noi il Giusto: si apra la terra e germogli il Salvatore” (Is 45,8). Anche il salmo 85, più volte ripreso nella liturgia dell’avvento: “La sua salvezza è vicina a chi lo teme e la sua gloria abiterà la nostra terra. Misericordia e verità s’incontreranno, giustizia e pace si baceranno. La verità germoglierà dalla terra e la giustizia si affaccerà dal cielo. Quando il Signore elargirà il suo bene, la nostra terra darà il suo frutto” ripete la stessa speranza, con la stessa forza e la stessa dolcezza. Il Natale di Gesù è alle porte, la speranza si fa certezza, la certezza si traduce in esperienza per ciascuno e per il mondo: tutta la preghiera della chiesa vuole affrettare la gioia di quel ‘compimento’.

Non ‘ogni’ terra però fa germogliare il Salvatore. E qual è la terra che lo farà germogliare? Troviamo la risposta nel brano evangelico: la Vergine Maria, Colei che davanti alla promessa-rivelazione dell’angelo si dichiara ‘serva’ del Signore. Tutta la sua anima abita in quelle parole: “Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto”. Il desiderio di Dio di abitare con gli uomini, di prendere dimora fra gli uomini, di farsi dimora degli uomini, finalmente si compie. E la Vergine vi acconsente, acconsente a che il disegno di Dio si compia in tutto il suo splendore. Il suo acconsentire rivela tutta la purità e sincerità del suo cuore: non sa come si realizzerà il disegno di Dio, ma vi acconsente; non sa cosa le sarà richiesto, ma vi acconsente. E nello stesso tempo, rivela tutta l’intimità del suo cuore, che comunque sta dalla parte di Dio, è un tutt’uno con il sentire di Dio, non cerca altro sentire se non quello stesso di Dio. In effetti, quando il sentire interiore è profondo, il rapporto è potente e quando il sentire tocca le radici del cuore, l’intimità è compiuta: nessun estraneo avrà più accesso in quello spazio. Da quell’intimità mai più si allontanerà e permetterà così che la gioia di Dio e dell’umanità si compia. Il prodigio della concezione e della nascita del Figlio, di cui lei sola conosce il mistero, conferma quell’intimità, non la crea. La fede non ci strappa dalla nostra umanità, ma l’avvalora, la compie nella sua dignità e nei suoi aneliti.

Lo stesso tema della ‘dimora’ percorre il brano del secondo libro di Samuele, che riferisce del desiderio di Davide di costruire una degna dimora a Dio. Sarà invece Dio a costruire una casa a Davide, a dargli quella discendenza da cui scaturirà il Salvatore, dimora di Dio in mezzo agli uomini, luogo della presenza di Dio che risplende tra gli uomini. Quel ‘Verbo’ che era presso Dio, come proclama il prologo del vangelo di Giovanni, essendo Dio, ora è anche presso gli uomini, essendo Uomo, nato dalla Vergine Maria. Il che significa che la creazione ritrova il suo splendore perché il cielo riflette la terra e la terra riflette il cielo. L’illusione di essere ‘piccoli dèi’ è finita; il sogno dell’uomo può rivelarsi in tutta la sua grandezza: essere ‘come Dio’. E’ il tema della ‘obbedienza alla fede’ di cui parla Paolo nella sua lettera ai Romani. Come la Vergine, tutta la nostra umanità è chiamata ad ‘acconsentire’ al sentire di Dio, all’operare di Dio, allo splendore di Dio in questo mondo perché la sua gioia si compia e la sua gioia illumini i nostri volti. Sarà la gioia del Natale di Gesù allorquando la gioia di Dio potrà essere goduta dalla nostra umanità che così viene guarita dalla sua tristezza e esaltata nella sua dignità. L’obbedienza alla fede non può che comportare la condivisione del disegno di Dio per l’uomo, condivisione che si traduce nell’esperienza di una gioia inaccessibile all’avversario, al nemico, perché tutto e tutti ormai sono visti come destinatari e fruitori possibili di quell’unica gioia. La gioia come mistero di intercessione per l’intera umanità.