Anno liturgico C  – 2024 / 2025


Ecco, io faccio nuove tutte le cose” (Ap 21,5). Questa frase fulminante, se non ci fosse, renderebbe ostica la speranza cristiana (ovviamente è una mia iperbole), per dire che solo Gesù ci libera e ci salva davvero, qui ed ora; solo Gesù ci mette in condizione di fare esperienza, qui ed ora, dei cieli e terra nuovi; solo Gesù ci offre un’anticipazione del parto che l’intera creazione attende con la liberazione dei figli di Dio.
Nelle nostre relazioni è sempre incombente ciò che ognuno ha fatto all’altro e di solito siamo adusi a rammentare meticolosamente le cose “storte” più che il bene che l’altro è per noi. Anche quando perdoniamo, c’è spesso una coda di suggerimento: “ok, ti perdono, infatti ne hai combinate, me ne hai fatte passare, ecc.”. Siamo capaci di portare un po’ di peso gli uni degli altri, ma l’ombra della ferita, del cattivo ricordo, del pensiero negativo rimangono di sottofondo. E non credo che nessuno di noi sia in grado di eliminare questo “acufene”.
Solo Uno, nel perdonare, può affermare efficacemente: ecco, io faccio nuove tutte le cose, ecco io ti faccio nuovo. Ora tu sei una creatura nuova e amata senza condizioni, né perfezioni. Non è che mi scordo il passato, ma faccio di più: ti rinnovo, le cose passate sono davvero passate, i morti seppelliscono i morti, mentre il Dio che perdona è il Dio dei vivi ed è vivificante, è lo Spirito Santo, Signore e vivificante. È l’acqua viva che allaga ogni anfratto del nostro peccato, delle nostre morti. Solo così possiamo portare in pace anche le nostre incapacità, i nostri limiti, le nostre ferite; possiamo riaprire percorsi che ci uniscano al prossimo, come portatori di letizia per noi e per tutti.
Tutto ciò a me appare come una strepitosa ventata di liberazione, unica e pacificante. Meno male che non dipende da me la liberazione, né dagli altri. Saremmo tutti schiavi gli uni degli altri. Davvero non dobbiamo confidare nell’uomo (in noi, negli altri) in termini di perdono/salvezza (“Maledetto l’uomo che confida nell’uomo, e pone nella carne il suo sostegno, allontanando il suo cuore dal Signore”, Ger 17,5-18). Solo davanti a un altro che ci giudica/guarisce per rinnovarci (va’ e non peccare più, sei salvato) possiamo essere certi che non rimangono ombre, che davvero possiamo rinascere dall’alto. Davvero la nostalgia di un cuore incontaminato è fatta propria dal Dio fatto uomo e ci viene regalata.
Questo qualcuno è Nostro Signore che si fa incontrabile nel fratello/sorella che ci ama senza altri fini, nel sacerdote che si prende cura della pecorella, nel padre/madre spirituale che ci accoglie e ci apre le orecchie (effatà) perché possiamo essere capaci di ascoltare, sprofondare nella dolcezza del suono della voce del buon pastore.
Perciò quest’anno, a introduzione del nuovo anno liturgico suggerisco di “ascoltare” alcuni brani pescati dall’ultima pubblicazione curata da p. Elia, come degli spiragli di luce nelle tenebre, incoraggiando a leggere per intero il libro, come arricchimento spirituale nel corso dei vari tempi liturgici.

Buon nuovo anno liturgico.

Massimo M.

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Testi tratti da: “Volti e parole dei padri del deserto romeno“. Prefazione all’edizione originale romena di Dumitru Stăniloae. Nuova edizione italiana, traduzione e introduzione a cura di Elia Citterio. Edizioni Qiqajon, Comunità di Bose, Magnano 2024.

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ioanichie bălan – Stando all’insegnamento dei padri, qual è la via migliore per liberarsi dalle passioni?
teofil părăian – Non credo si possa affermare che esista “un solo metodo” o “un metodo migliore” per liberarsi dalle passioni, né che esista un particolare metodo per i monaci e un altro per i fe- deli che vivono nel mondo. L’ideale di entrambi rimane unico e identico: “la perfezione cristiana” o, più semplicemente, “la salvezza”.
Monaci e fedeli si differenziano dal punto di vista religioso solamente per gli impegni che si assumono e le particolari con- dizioni di vita. Il metodo per liberarsi dalle passioni non si rapporta allo stato di monaco o di semplice fedele, bensì alla dimensione religiosa: ciascuno giunge all’impassibilità, si libera dalle passioni dando un senso religioso alla vita considerata nel suo insieme, come anche ai singoli momenti o alle particolari manifestazioni della vita. A tale proposito credo che abbia ben intuito il problema Pietro Damasceno, il quale afferma: “L’uomo abbandoni i propri pensieri e le proprie volontà per compiere il pensiero e la volontà di Dio. Chi agirà così non incontrerà, in tutto l’universo, né un luogo né una cosa che sia di ostacolo per la salvezza”. E ancora: “Ho visto salvezza e rovina nella ricchezza e nella povertà, nella vita cenobitica e in quella solitaria, nella verginità e nel matrimonio”. Si noti che in tutto ciò esiste la possibilità di salvezza come di rovina.
La liberazione dalle passioni come processo e l’impassibilità come stato sono possibili tanto per i monaci che per i fedeli, a condizione che ciascuno, nel proprio ruolo e nelle circostanze della propria vita, si preoccupi e si sforzi di “fare la volontà di Dio”. “Tutto a maggior gloria di Dio”. “Sia che mangiate sia che beviate sia che facciate qualsiasi altra cosa, fate tutto per la gloria di Dio” (1Cor 10,31). “Come avete messo le vostre membra a servizio dell’impurità e dell’iniquità, per l’iniquità, così ora mettete le vostre membra a servizio della giustizia, per la santificazione” (Rm 6,19). Credo che consista proprio in questo, in linea di massima, la lotta per liberarsi dalle passioni.
Per quanto riguarda il metodo, credo che ogni passione necessiti di un metodo specifico. L’essenziale è che caso per caso si realizzi la virtù che si oppone alla passione rispettiva. Per esempio, vinci l’ira quando sei diventato mite; vinci l’odio quando possiedi un amore costante per chiunque; vinci l’avarizia quando sei disposto a far elemosina. Sicuramente non si giunge a questo in un momento, ma con il tempo e con lo sforzo. Tutto il problema sta nel sapere in quale stadio ci troviamo, cioè conoscere quale passione ci domina, quale passione ci tiranneggia maggiormente. Dovremo poi sforzarci di vincere qualunque passione grazie alla virtù opposta. Questo lavorio si compie sempre nell’umiltà e nella preghiera. “Ogni buon regalo e ogni dono perfetto vengono dall’alto e discendono dal Padre, creatore della luce” (Gc 1,17). Molti sono i modi con cui veniamo assoggettati alle passioni. Di conseguenza svariate sono pure le vie per liberarci dalle passioni. L’importante è che ci impegniamo decisamente per il bene per mezzo di Cristo, salvatore del mondo, poiché, in definitiva, non siamo noi a conquistare l’impassibilità, ma ce la dona il Signore nella misura dei nostri sforzi.
pp. 172-174

Intero anno liturgico. Anno C

ioanichie bălan – Quali sono gli obblighi principali dei monaci?
paisie olaru – I monaci sono tenuti a custodire la promessa che hanno emessa il giorno della professione davanti a Cristo e all’altare, vale a dire: obbedienza incondizionata, povertà gioiosa, castità o purità. Inoltre, devono essere umili, pregare incessantemente per sé stessi e per il mondo intero, vivere nella carità che tutto sopporta e dalla quale dipende ogni virtù.

i. b. – Quali sono le tentazioni più comuni e più pesanti per i monaci? Come ce se ne può liberare?
p. o. – Tutte le passioni e le tentazioni dei monaci nascono da due peccati: dalla disobbedienza e dalla pigrizia nella preghiera. Se veniamo meno alla santa obbedienza e fuggiamo dalla chiesa, dalla preghiera, dalle prostrazioni e dal digiuno, cadiamo facilmente preda di ogni sorta di tentazione e passione letali per l’anima, smarrendo la via della salvezza. La disobbedienza e la pigrizia nella preghiera, così come tutte le altre passioni, si guariscono con una puntigliosa confessione al padre spirituale, con la soddisfazione della penitenza ricevuta e trapiantando le virtù al posto dei vizi che ci dominano. Grande aiuto sulla via della salvezza ci deriva dall’avere sentimenti di mitezza e umiltà di cuore, che ci lava dai peccati e vince il demonio.

p. 109

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Tempo Ordinario

ioanichie bălan – Come vede i fedeli che vengono al monastero?
cleopa ilie – Devi sapere che i fedeli non vengono al monastero per noi, bensì a motivo della loro fede genuina, credendo che tra i monaci la fede sia più forte e la vita più autentica. Io credo proprio che Dio non tenga in piedi i monasteri per noi monaci, che siamo peccatori, bensì li mantenga per la fede della nostra gente che ama Cristo. Il popolo romeno è un popolo d’oro. I fedeli che vivono nel mondo sono migliori di noi. Per questo siamo tenuti a non prenderci gioco della loro fede e a sacrificarci per loro. Di- ce l’apostolo Paolo: “Nessuno cerchi il proprio interesse” (1Cor 10,24), e poco prima: “Mi sono fatto servo di tutti per guadagnarne il maggior numero” (1Cor 9,19). Efrem il Siro afferma: “Ogni volta che spezzi il pane, fanne partecipe anche il tuo prossimo”. I fedeli profittano spiritualmente di noi, delle funzioni liturgiche celebrate nel monastero, dei canti, dei consigli spirituali, della confessione, delle benedizioni, della preghiera, cose tutte che non sono nostre, perché le abbiamo ricevute da Dio. A nostra volta noi monaci profittiamo spiritualmente della loro fede genuina, del loro amore, della loro sincerità, della pazienza, dell’umiltà e dell’obbedienza che li contraddistinguono. Così sono i nostri monasteri, aperti a tutti, soprattutto ai nostri buoni cristiani del- le città e delle campagne. Da quanto sappiamo, così sono sempre stati. Anche gli esicasti delle foreste e delle grotte ricevevano i fedeli nelle loro celle offrendo loro consigli e pregando per essi, mentre in cambio accettavano da parte loro un tozzo di pane.

p. 97

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Solennità e feste

ioanichie bălan – In quali direzioni può muoversi la mente?
cleopa ilie – In tre direzioni, secondo Massimo il Confessore. La mente si muove in linea retta, quando è tutta immersa nella sacra Scrittura, nella meditazione dei mirabilia Dei, nelle cose celesti. In questa condizione si può tuttavia verificare la tentazione del demonio; l’uomo può restarne abbindolato. La seconda è quella definita “a zig-zag”, quando la mente passa alternativamente dalla Scrittura al mondo visibile della creazione. Anche in questo caso può comparire la tentazione demoniaca, allorché la mente si attarda troppo a lungo nelle sue meditazioni. La terza direzione è detta “circolare” ovvero “a spirale”, quando l’uomo discende con la mente nel suo cuore, come la lumaca nella sua casa, come lo sposo con la sposa nel talamo, e da qui, dal cuore, dove non può entrare la tentazione del demonio, la mente si innalza verso Cristo. I nostri grandi santi avevano sempre la mente nel cuore e da qui, dal profondo del cuore, pregavano, conversavano con lo sposo, il Cristo, e facevano guerra al demonio. A questo si riferiscono le parole del Salvatore: “Invece, quando tu preghi, entra nella tua camera, chiudi la porta e prega il Padre tuo” (Mt 6,6). Quest’ultimo stato è il più alto e ricco di frutti: discendiamo nel cuore e da qui ci innalziamo per parlare con Cristo, per piangere i nostri peccati e per guerreggiare contro il demonio.

pp. 94-95

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Tempo di Avvento

ioanichie bălan – Con quale passione conviene iniziare la lotta e come si può più rapidamente liberarsene?
teofil părăian – La natura dell’uomo non è così stereotipata da poter dire con precisione con quale passione si debba iniziare la lotta e quale lasciare per ultima. Ogni uomo possiede una passione principale, un determinato vizio, oppure ne abbraccia diversi. In molti casi nemmeno la stessa persona conosce da quale passione sia dominata. Solo un padre spirituale esperto può precisare contro quale passione debba iniziare la lotta, in quale modo condurre la battaglia e di quali mezzi servirsi. Conosciamo dal Paterik il caso di un monaco che non mangiava carne e nemmeno pane né beveva vino e finì con questo regime ascetico per essere dominato dalla vanagloria e dalla superbia, che lo tenevano incatenato. Il padre spirituale al quale si era rivolto per consiglio frantumò le cause che lo portavano a confidare in sé stesso obbligandolo a mangiare pane, a nutrirsi di carne e a bere vino. Così si abbattono le passioni, grazie all’aiuto di quelli che ci danno il consiglio giusto.

pp. 183-184

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Tempo di Natale

ioanichie bălan – Cosa fare quando ci si trova deboli nella preghiera?
arsenie papacioc – Quando le labbra cessano di pregare, non per questo deve terminare anche la preghiera nella mente. Tale preghiera possiamo praticarla quando vogliamo e in qualsiasi luogo. Questi momenti di indebolimento nella preghiera, di vuoto e di distrazione della mente, si trovano anche presso i santi, affinché diventino sempre più umili. Dio commisura i suoi doni a ciascuno, in vista di un equilibrio spirituale. Alcuni vengono meno nella qualità della preghiera, altri nella quantità; altri sono oppressi da pensieri cattivi nel tempo della preghiera; altri percepiscono una specie di consolazione che può essere semplicemente un’illusione o una vanagloria. I demoni sono contenti di tenerci in questo stato di falsa pace e consolazione nella preghiera di quantità. È quindi cosa migliore e utile pregare poco, ma sovente, con umiltà e far scendere Dio nel tuo cuore. Il migliore maestro della preghiera è il padre spirituale e poi la tua coscienza. Parti dalla quantità e poi, pian piano, con la grazia di Dio e l’umile perseveranza, arrivi alla qualità, vale a dire alla preghiera della mente e del cuore, con zelo e umiltà.

pp. 238-239

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Tempo di Quaresima

ioanichie bălan – Come possiamo liberarci dalla pigrizia, dal sonno, dal- la dispersione della mente e dai pensieri cattivi durante la preghiera?
teofil părăian – Dal sonno possiamo fuggire soltanto con il riposo. Il sonno ci è dato da Dio per il riposo del corpo. Nelle preghiere del mattino ringraziamo Dio per il sonno: ciò significa che il sonno ci è dato a buon diritto, per la condizione umana in cui ci troviamo. Quando siamo veramente riposati, siamo più limpidi nella mente e possiamo pregare con maggiore profondità. Ciò vale anche per il lavoro intellettuale, per lo studio religioso. Bisogna che ci accingiamo a fare ogni cosa in condizione di riposo. Se non siamo riposati non concludiamo nulla, non potremo agi- re in modo profondo e limpido. La preghiera fatta sotto il peso del sonno non produce alcun effetto. Per tutto il tempo che il sonno ci è necessario esso rappresenta un beneficio e non una debolezza da cui rifuggire. Ricordiamoci che anche il Signore Gesù Cristo ha dormito!
La pigrizia è l’inattività in tempo di veglia. Poltriscono quanti si compiacciono nello stare in ozio anche quando è necessario la- vorare. Fuggiamo la pigrizia quando ci sforziamo di fare qualcosa in positivo, quando riempiamo il tempo con qualcosa di utile per noi e per gli altri. Dai pensieri cattivi e dalla dispersione della mente fuggiamo solamente con l’addentrarci nelle parole della preghiera, con lo stabilirci saldamente nei buoni pensieri. Fino a quando si concepisce la preghiera come una semplice ripetizione di formule, mai fatte proprie, è naturale venire assaliti da pensieri estranei, i quali spesso, in rapporto a quello che siamo, sono più rappresentativi dell’attività della preghiera che facciamo per dovere, per abitudine o per compito “professionale”.

p. 191

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Tempo di Pasqua

ioanichie bălan – Con quali peccati l’avversario tende a insidiare il monaco?
teofil părăian – Forse che i peccati non si richiamano a vicenda? Capita forse mai che il peccato costituisca un fatto del tutto isolato nella vita dell’uomo? Quale peccato, sia pure un’azione isolata, appena pensata, non rivela qualcosa del nostro stato spirituale, dello stadio raggiunto o nel quale ci troviamo? Io credo che il peccato più grande è il peccato che hai. Perciò il peccato più grande del monaco è quello che il monaco commette, quello che lo tiene in schiavitù. Ti è sufficiente riconoscere il peccato che hai, qualsiasi esso sia. È inutile chiedersi quale sia il peccato più grande che avremmo potuto avere.
In realtà, non dobbiamo preoccuparci di tale o tal altro peccato commesso, peccato che detestiamo, che abbiamo abbandonato e che forse non abbiamo nemmeno più. Dobbiamo preoccuparci invece del peccato attuale, dello stato di peccato, del vizio che ha “fondamento e verità”, che è divenuto un’abitudine e che si tende a giustificare. In tal caso, qualunque peccato è grande, perché “il peccato senza pentimento è peccato che procura la morte”. Nel Paterik si dice: “La morte dell’anima è la calunnia”. Ora, se la calunnia è la morte dell’anima, c’è forse bisogno di un altro peccato, che noi riterremmo più grande, per causare la morte dell’anima? Oppure, forse che l’anima potrebbe vivere con quel peccato, semplicemente perché, secondo noi, la calunnia non sarebbe un peccato sufficientemente grave?
Antonio il Grande, in un suo pensiero che abbiamo trovato riportato nel Prolog, dice che un’aquila sebbene resti impigliata nella trappola con un solo artiglio, ciò nondimeno resta presa tutta quanta. Non è il caso quindi che ci chiediamo quale sia il peccato più grave del monaco o del fedele, se abbiamo coscienza che ogni peccato che ci domina è o può esse- re il più grave, almeno per il tempo in cui ne siamo dominati. È bene aggiungere anche che Antonio il Grande è del pare- re che il più grave peccato è la mancanza di fede e di conoscenza di Dio. Sono in molti a osservare come la moltitudine delle azioni cattive che compiono gli uomini nasca nell’anima degli uomini che non hanno fede. Solo chi non ha fede è ca- pace di compiere il male. A questo pensava anche il Signore Gesù Cristo quando diceva: “Chi non crederà sarà condannato” (Mc 16,16).

pp. 181-182

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