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Ottavo ciclo

Anno liturgico B (2023-2024)

Solennità e feste

SS. Trinità

(26 maggio 2024)

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Dt 4,32-34.39-40;  Sal 32 (33);  Rm 8,14-17;  Mt 28,16-20

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L’antifona di ingresso della liturgia di oggi esprime molto bene il senso della confessione di fede nella Trinità: “Sia benedetto Dio Padre, e l’unigenito Figlio di Dio, e lo Spirito Santo: perché grande è il suo amore per noi”. È la preghiera del salmo 32,22: “Su di noi sia il tuo amore, Signore, come da te noi speriamo”. È il contenuto della promessa di Gesù di essere sempre con noi tutti i giorni fino alla fine del mondo, espresso con l’altra promessa ai discepoli nell’ultima cena: “Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui” (Gv 14,23). Sì, perché l’unica comprensione possibile di Dio corrisponde alla definizione giovannea: Dio è amore (1Gv 4,8).

È quanto proclama il semplice gesto del segno di croce sulla propria persona. Si fa riferimento alla croce e si confessa il Dio trinitario: Padre, Figlio, Spirito Santo. Come a dire: l’amore di Dio per gli uomini, che si è rivelato in tutto il suo splendore a partire dalla croce di Gesù, riempia e copra tutta la mia persona, partecipando alla stessa comunione di vita che intercorre tra le tre Persone divine. E quando quel segno si traccia sulle cose o prima delle varie azioni si intende accedere alla dimensione di rivelazione dell’amore di Dio per il nostro cuore che quegli atti comportano nella sua provvidenza per noi.

La prima lettura del Deuteronomio, tratta dal primo discorso di Mosè al popolo, a conclusione della sua traversata del deserto, in procinto di entrare nella terra promessa, cela un insegnamento straordinario. Le persone a cui Mosè parla, non hanno visto nulla di quello che lui sta raccontando. Coloro che sono stati liberati dalla schiavitù dell’Egitto e hanno assistito alla rivelazione di Dio sul Sinai sono tutti morti nel deserto. Sono lì ad ascoltare i loro figli. Ciò significa che la ‘evidenza’ della Presenza salvatrice di Dio nella storia attraversa le generazioni. È nell’unione delle generazioni che si può sperare nell’amore salvatore del Signore, perché la testimonianza della prima passi alla seconda e via di seguito per riunire tutti nello stesso amore salvatore. Le due ‘evidenze’, la liberazione dall’Egitto e la rivelazione del Sinai, sono per tutti, sempre, perché l’eterno è entrato nel tempo, perché l’invisibile ha fatto sentire la sua grazia. La confessione di fede è sempre ecclesiale. È la fede della chiesa che fonda la confessione di fede di ciascuno. Così la fede è più umile e più potente.

Ora, proclamare la fede nella Trinità significa, prima di tutto, aver accolto la testimonianza di Gesù, aver riconosciuto che in lui si è rivelato lo splendore dell’amore del Padre per noi, con lo Spirito Santo che ci apre il cuore a quella rivelazione. Proclamando il Credo, nella liturgia, riconosciamo l’esperienza che ha presieduto alla formazione dei dati della fede: benedico colui che ha fatto questo e questo per me, riconosco l’offerta della sua alleanza, sono erede delle sue promesse e fruitore del suo regno. La proclamazione delle Scritture, come la celebrazione liturgica, è percepita come memoriale dell’iniziativa di Dio per l’uomo, il quale è chiamato a riconoscere l’amore di Dio per lui nella sua storia, che diventa storia sacra, storia di salvezza.

S. Paolo, nella lettera ai Romani, dichiara che i figli di Dio sono tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio. Gesù, nella proclamazione delle sue beatitudini, aveva applicato agli operatori di pace la caratteristica di essere chiamati figli di Dio. Possiamo dedurre: i figli di Dio sono coloro che vivono nella sua pace, perché Gesù è la nostra pace, perché lui ci riunisce nell’amore del Padre manifestandone tutto lo splendore salvatore, amore che lo Spirito ci comunica e nel quale ci radica. La sfumatura di significato della definizione dei figli di Dio è quella di sottolineare che si può godere della realtà che viene enunciata, rimanendo in colui che è il Figlio di Dio fatto uomo, figli nel Figlio. Come lui aveva invitato i suoi discepoli: “rimanete in me, rimanete nel mio amore”.

Ecco perché, quando Gesù invia i discepoli in missione nel mondo, come riporta la finale del vangelo di Matteo, insiste sulla promessa del suo esserci compagno. I due aspetti sono strettamente correlati: si fa leva sul fatto che il Signore Gesù ci accompagnerà lungo la storia, fino alla fine dei tempi, e si invita ad annunciare al mondo quello che Gesù ha insegnato e trasmesso. Intimità e missione, ecco i due perni della fede. Fede rivolta al Signore Gesù, ma radicata nel mistero di intimità di Gesù con il Padre e testimoniata nella missione al mondo con il dono dello Spirito, che guida i discepoli a fare esperienza dell’amore di Dio.

Quando Gesù aveva promesso lo Spirito, l’aveva descritto come colui che ci avrebbe guidati a tutta la verità (cfr. Gv 16,13). Il che significa: farà vivere ogni circostanza nella logica di quell’amore del Padre che Gesù ci ha fatto conoscere, non permettendo che ci possa essere evento capace di mortificare quella esperienza.

Non bisogna dimenticare che l’invocazione del Padre come Abbà, così tipica della preghiera di Gesù al Padre, sulle labbra di Gesù compare solo nella sua preghiera al Getsemani (Mc 14,36), cioè nel momento più angoscioso della sua vita terrena. Le altre due volte, nel Nuovo Testamento, che compare quell’appellativo, è messo sulle labbra dei credenti come proferito dallo Spirito Santo nei nostri cuori: “Voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: Abbà! Padre!” (Rm 8,15); “Che voi siete figli lo prova il fatto che Dio mandò nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio, il quale grida: Abbà! Padre!” (Gal 4,6). Non posso non pensare che la circostanza nella quale quell’invocazione sgorgherà più potente sarà quella nella quale la prova opprimerà. L’intimità sta insieme all’angoscia perché così è stato per Gesù e così sarà per la nostra umanità, chiamata alla mensa dell’amore di Dio, insieme a tutti i fratelli. Gesù, che è sempre con noi, ci innesta nel suo movimento di rivelazione al mondo dell’amore di Dio, riunendo tutti alla stessa mensa, perché tutti chiamati allo stesso destino. Questo comporta la proclamazione della fede nella Trinità.

Rifacendomi ai versi di Dante, poeta del paradiso, avverrà anche per noi quello che è avvenuto per lui nella sua ascesa verso Dio: Al Padre, al Figlio, a lo Spirito Santo // cominciò, ‘gloria!’, tutto ‘l paradiso, // sì che m’inebriava il dolce canto. // Ciò ch’io vedeva mi sembiava un riso // de l’universo; per che mia ebbrezza // intrava per l’udire e per lo viso (Par XXVII).

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I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale Romano”):

[I testi delle letture sono tratti dal sito della Chiesa Cattolica italiana: chiesacattolica.it]

Prima Lettura  Dt 4,32-34.39-40

Dal libro del Deuteronòmio

Mosè parlò al popolo dicendo:

«Interroga pure i tempi antichi, che furono prima di te: dal giorno in cui Dio creò l’uomo sulla terra e da un’estremità all’altra dei cieli, vi fu mai cosa grande come questa e si udì mai cosa simile a questa? Che cioè un popolo abbia udito la voce di Dio parlare dal fuoco, come l’hai udita tu, e che rimanesse vivo?

O ha mai tentato un dio di andare a scegliersi una nazione in mezzo a un’altra con prove, segni, prodigi e battaglie, con mano potente e braccio teso e grandi terrori, come fece per voi il Signore, vostro Dio, in Egitto, sotto i tuoi occhi?

Sappi dunque oggi e medita bene nel tuo cuore che il Signore è Dio lassù nei cieli e quaggiù sulla terra: non ve n’è altro.

Osserva dunque le sue leggi e i suoi comandi che oggi ti do, perché sia felice tu e i tuoi figli dopo di te e perché tu resti a lungo nel paese che il Signore, tuo Dio, ti dà per sempre».

Salmo Responsoriale  Sal 32 (33)

R. Beato il popolo scelto dal Signore.

Retta è la parola del Signore

e fedele ogni sua opera.

Egli ama la giustizia e il diritto;

dell’amore del Signore è piena la terra. R.

Dalla parola del Signore furono fatti i cieli,

dal soffio della sua bocca ogni loro schiera.

Perché egli parlò e tutto fu creato,

comandò e tutto fu compiuto. R.

Ecco, l’occhio del Signore è su chi lo teme,

su chi spera nel suo amore,

per liberarlo dalla morte

e nutrirlo in tempo di fame. R.

L’anima nostra attende il Signore:

egli è nostro aiuto e nostro scudo.

Su di noi sia il tuo amore, Signore,

come da te noi speriamo. R.

Seconda Lettura  Rm 8,14-17

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani

Fratelli, tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, questi sono figli di Dio. E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: «Abbà! Padre!».

Lo Spirito stesso, insieme al nostro spirito, attesta che siamo figli di Dio. E se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, se davvero prendiamo parte alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria.

Vangelo  Mt 28,16-20

Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, gli undici discepoli andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato.

Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono.

Gesù si avvicinò e disse loro: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».