Tratto da:
FILOTEO SINAITA –
Quaranta capitoli sulla sobrietà
Prima parte di quattro
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- Scopo della guerra spirituale: custodire Dio nel cuore
Dentro di noi si svolge una guerra spirituale più difficile da sostenere di una guerra fisica. Chi si dedica completamente alla ricerca di Dio deve perseguire alacremente nel suo spirito un unico scopo (cfr. Fil. 3,14), cioè quello di conservare perfettamente nel cuore il ricordo di Dio, come si custodisce una perla o una pietra preziosa (cfr. Mt. 13,44-46). Dobbiamo abbandonare ogni cosa, compreso il nostro corpo e non tenere in nessun conto questa vita presente per possedere nient’altro che Dio nel nostro cuore. Secondo l’insegnamento di san Giovanni Crisostomo, la contemplazione di Dio in cui resta fisso il nostro spirito è sufficiente di per se stessa a distruggere ogni potenza del male[1].
- Come si combatte la guerra spirituale
Coloro che praticano il combattimento interiore dello spirito con tutto lo zelo possibile devono scegliersi occupazioni spirituali convenienti traendole dalle Sacre Scritture e applicarle al loro spirito proprio come unguenti medicamentosi. Secondo le parole del salmista[2], fin dall’alba occorre stare all’erta davanti alle porte del cuore con risolutezza e tenacia costante, conservando scrupolosamente il ricordo di Dio e la preghiera incessante di Gesù nell’anima, in modo da uccidere con quella vigilanza dello spirito tutti i peccatori della terra (Sal.100,8). Così, pieni di fervore, dispiegando come nostre armi il sincero ricordo di Dio, occorre tagliare, con l’aiuto del Signore, la testa dei potenti (Abac.3,14), vale a dire dobbiamo troncare sul nascere i pensieri nemici. Sappiamo bene, infatti, che anche nel lavoro di costruzione interiore vige un certo modo divino di operare e di procedere secondo ordine. Così dobbiamo comportarci facendoci violenza e persistere in tale attività finché non sia sopraggiunto il momento di consumare il proprio pasto. Dopo di che, rese grazie al Signore che ci sazia per la sua sola Provvidenza sia con un cibo spirituale che con uno materiale, dobbiamo consumarci nel ricordo e nella meditazione della morte. Il giorno seguente, di nuovo, dobbiamo riprendere la stessa attività e persistervi con grande tenacia. E pur agendo così tutti i giorni, troveremo a malapena la forza nel Signore di sfuggire alle reti del nemico spirituale.
Il persistere di questa attività dentro di noi farà sgorgare la fede, la speranza e la carità. La fede ci dispone in tutta sincerità al timore di Dio. La speranza, superando il timore servile, rende l’uomo capace di amare Dio. La speranza poi non delude (Rom.5,5) perché sa far nascere quel duplice amore dal quale dipendono la Legge e i Profeti (cfr. Mt.22,40). La carità infine non verrà mai meno (1Cor.13,8) né in questo secolo perché permette di adempiere i comandamenti divini a colui che di essa partecipa né in quello futuro.
- La sobrietà è la via che porta a Dio, purificando lo spirito
È molto raro trovare persone che possiedono lo spirito nello stato di quiete[3]. Ciò è privilegio unicamente di coloro che si industriano con tutti i mezzi per disporsi a ricevere la grazia di Dio e la consolazione spirituale che ne deriva. Se dunque vogliamo introdurci in questa opera spirituale – la filosofia secondo Cristo -, nella custodia dello spirito e nella sobrietà, dobbiamo incamminarci intanto su questa via con l’astenerci dal molto mangiare, prendendo cibi e bevande in misura ben calcolata, secondo le proprie forze. Ben a ragione la sobrietà deve essere chiamata sia strada che conduce al regno, al regno di Dio che è dentro di noi e al regno futuro, sia anche opera spirituale, in quanto modella e purifica lo spirito, facendolo passare dallo stato passionale all’impassibilità[4]. Si potrebbe ancora paragonare la sobrietà ad una finestrella luminosa alla quale Dio si affaccia per rivelarsi al nostro spirito[5].
- Il luogo dove dimora Dio
Là dove sono riuniti umiltà, ricordo di Dio associato alla sobrietà e all’attenzione interiore, preghiera costante inflessibilmente diretta contro i nemici, là in realtà è il luogo di Dio (cfr. Gen.28,16-l7); è il cielo del cuore, nel quale le schiere dei demoni temono di attardarsi poiché in quel luogo dimora Dio.
- I danni della loquacità
Non c’è nulla di più rovinoso della loquacità e nulla di più deleterio di una lingua non controllata per distruggere l’edificio spirituale. Quanto ogni giorno veniamo edificando, questa ce lo rovina (cfr. Gal.2,18); quanto a prezzo di fatiche riusciamo a mettere insieme, con la loquacità l’anima lo disperde. Cosa mai vi può essere di peggiore? È un male incontrollabile (Giac.3,8)[6]. Dobbiamo assolutamente fissare dei limiti invalicabili alla nostra lingua, farle violenza e tenerla a freno e, per così dire, servircene unicamente in caso di vero bisogno. Chi potrebbe descrivere tutto il danno che la lingua è capace di provocare all’anima?
- Il silenzio, l’astinenza e soprattutto il pensiero della morte sono le tre porte che introducono all’attenzione interiore
La prima porta che introduce nella Gerusalemme interiore – lo spirito in stato di vigilanza – è il silenzio delle labbra custodito sapientemente e coscientemente, anche se lo spirito non ha ancora raggiunto lo stato di quiete.
La seconda è l’astinenza da cibi e bevande esercitata con moderazione[7], mentre la terza è il ricordo e la meditazione incessante della morte[8], che purificano sia lo spirito che il corpo.
Appena scorsi il fascino che emanava dalla meditazione incessante della morte, ne fui ferito nello spirito, non certo negli occhi, e al colmo del godimento bramai di farmela compagna per tutta la vita, invaghito com’ero del suo aspetto così splendente e maestoso. Porta con sé l’umiltà, l’afflizione e la gioia spirituale, la gravità nei pensieri, il timore per il giusto rendiconto futuro e la paura di preoccuparsi delle cose della vita presente. Dagli occhi del corpo sgorga poi spontaneamente un’acqua viva che ha potere di guarire, mentre dagli occhi interiori scaturisce una fonte perenne ricca di pensieri pieni di sapienza, la quale, mentre scorre zampillando, rallegra il cuore. Ebbene, questa figlia di Adamo, cioè il ricordo e la meditazione incessante della morte, quanto ho bramato averla sempre come compagna, riposare con lei, conversare con lei e insieme ‘a lei investigare cosa mi sarebbe toccato in sorte dopo l’abbandono del mio corpo! Ma spesso quella maledetta dimenticanza[9], creatura tenebrosa del demonio; non me lo ha permesso.
- Natura della guerra spirituale
Esiste un tipo di guerra che viene combattuta nel segreto contro l’anima dagli spiriti maligni tramite i pensieri. Data la natura invisibile dell’anima, quelle potenze malvagie si dirigono contro di lei, secondo la sua stessa natura, attaccandola con una guerra invisibile. Tra l’anima e queste potenze si assiste ad un dispiegamento di armi e di forze, si ricorre ad astuti inganni, si combatte una guerra terribile, ne scaturisce una mischia furibonda e le vittorie si alternano alle sconfitte da ambedue le parti.
Rispetto alla guerra fisica, la guerra spirituale, che qui stiamo illustrando, manca di una sola cosa, cioè del momento della dichiarazione delle ostilità. La guerra fisica sa trovare un tempo e seguire certe regole, ma quella spirituale scoppia senza alcun preavviso e, venendo repentinamente ad insidiare le parti più profonde e nevralgiche del cuore, causa la morte dell’anima tramite il peccato.
Come mai, per quale motivo si accende contro di noi questo scontro e questa lotta? Affinché non si compia per mezzo nostro la volontà di Dio, secondo le parole della preghiera: “sia fatta in noi la tua volontà” (Mt.6,10). Per volontà di Dio bisogna intendere i comandamenti di Dio. Se uno, dopo aver fissato saldamente nel Signore il proprio spirito tramite la sobrietà, lontano dagli inganni demoniaci[10], osserverà attentamente gli assalti e le insidie che provengono dalle fantasie che si presentano alla nostra mente, con l’esperienza imparerà a riconoscerli. Ed è per questo che il Signore si erge contro le mire degli empi demoni: conoscendo in anticipo, come Dio, le loro macchinazioni, ha posto i suoi comandamenti proprio in opposizione alle loro mire, minacciando coloro che li trasgrediscono.
- La temperanza è la condizione preliminare per la custodia del cuore
Quando avremo raggiunto uno stato abituale di temperanza[11], vale a dire sapremo tenerci lontani dai peccati manifesti che commettiamo in azioni con i cinque sensi, a questo punto allora potremo anche custodire il nostro cuore in compagnia di Gesù ed in esso ricevere la sua illuminazione e gustare, nel nostro spirito, con desiderio ardente, le delizie della sua bontà.
In effetti, ci è stato prescritto di purificare il nostro cuore con l’unico scopo di permetterci, dopo aver cacciato le nuvole dei cattivi pensieri dall’atmosfera del proprio cuore ed averle disperse con la pratica costante dell’attenzione, di vedere nitidamente a ciel sereno il sole della giustizia, Gesù, e perché appaia al nostro spirito nella sua vera luce, nella misura del possibile, il segno del suo mistero. Difatti non appare normalmente a tutti, ma soltanto a coloro che purificano il loro spirito.
- Come ci si debba disporre per presentarsi a Dio in modo degno di Lui
Ogni giorno dobbiamo metterci in quelle disposizioni che sono necessarie per presentarci davanti a Dio[12]. Dice infatti il profeta Osea: “serba misericordia e giustizia e avvicinati continuamente al tuo Dio” (Os.12,7)[13]. A sua volta, il profeta Malachia riferisce da parte del Signore: “Un figlio onora il padre e un servo il suo signore. Ora se io sono padre dov’è la gloria che mi spetta? E se sono signore dov’è il timore verso di me? Dice il Signore Re dell’universo, Dio degli eserciti” (Mal.1,6). E ancora l’Apostolo: “Purifichiamoci da ogni bruttura della carne e dello spirito” (2 Cor.7,1). E la Sapienza proclama: “Con ogni diligenza custodisci il tuo cuore, poiché da esso sgorga la vita” (Prov. 4,23). Lo stesso Signore Gesù Cristo disse: “Purifica l’interno del bicchiere, affinché anche l’esterno diventi puro” (Mt.23,26).
- I danni dei discorsi inopportuni
I discorsi inopportuni a volte ci procurano odio da parte degli ascoltatori, a volte biasimo e derisione da parte di coloro che riconoscono la stoltezza delle nostre parole; certi altri, invece, macchiano la nostra coscienza, altri ancora ci fanno incappare nella condanna da parte di Dio e – cosa questa più tremenda di tutto li resto – ci conducono a contristare lo Spirito Santo.
[1] Vedere anche Diadoco, Cento considerazioni sulla fede, Roma 1978, n.59, p.54: “…perché il nome di Gesù assimilato con ogni cura dal nostro pensiero infiamma adeguatamente il senso spirituale sì da bruciare ogni sozzura che deturpi lo specchio dell’anima. Infatti, ‘il nostro Dio è un fuoco divoratore’ (Deut.4,24)”.
[2] Filoteo mostra con un esempio come si debba, a partire dalle S. Scritture, individuare e realizzare un compito spirituale adatto al nostro spirito. Egli cita due passi dell’A.T., Sal.100,8 e Abac.3,14, dai quali, interpretati in senso spirituale, trae l’applicazione conveniente che diventa per il nostro spirito il suo compito, la sua occupazione, ciò che si sforzerà di realizzare.
[3] Il termine greco ἡσυχάζειν può riferirsi sia ad un modo di vita (= vivere in solitudine) che a uno stato interiore (= avere lo spirito nella quiete). Pochi, dice Filoteo, sono coloro che raggiungono lo stato interiore definito dall’ἡσυχία, uno stato, cioè, fatto di pace interiore, di perfetta vigilanza, di un continuo ricordo di Dio e di incessante preghiera.
[4] Dopo la caduta di Adamo, l’anima si è trovata divisa in se stessa: vuole il bene, ma contemporaneamente anche il male. La sua purificazione consiste nel far sì che tutta intera aderisca di nuovo completamente al Bene. L’anima, sforzandosi di eliminare dentro di sé ogni fonte di turbamento (= passione), cioè non permettendo ad alcun oggetto che non sia Dio di rapire la sua attenzione e il suo affetto, sotto la guida dello Spirito che agisce dal suo interno, viene ricondotta poco a poco al suo stato primitivo di impassibilità (= senza passione), alla sua vera natura, quella cioè di essere attratta totalmente e unicamente da Dio.
[5] Immagine suggestiva che richiama Cantico dei Cantici 2,9: “Ecco, egli si è fermato dietro la nostra parete, sporgendosi attraverso le finestre” (dai LXX).
[6] Il testo di Giac. 3,8 presenta due lezioni: ἀκατάσχετον κακόν e ἀκατάστατον κακόν. Filoteo segue la prima lezione e quindi abbiamo tradotto ‘male incontrollabile’, mentre la Bibbia Marietti segue la seconda e traduce ‘male irrequieto’.
[7] Astinenza da cibi e bevande significa mangiare quel tanto necessario per vivere, adatto a ciascuno secondo le sue forze e la sua salute. È il primo aspetto della virtù dell’ἐγχράτεια di cui si parlerà più avanti. Cfr. cap. 8, nota 12.
[8] Il pensiero della morte, come lo intendono i Padri, è una lucida percezione interiore, abitualmente presente nell’anima, dell’imminenza prossima della propria morte. Costringe l’uomo a essere completamente presente a se stesso nell’attimo che sta vivendo, perché lo ritiene come l’ultimo concessogli per portare a termine la sua corsa verso Dio: non conta più il passato e sul futuro non fa alcun affidamento. L’uomo è posto così a immediato contatto della presenza di Dio e del suo giudizio. Un’esperienza del genere trasforma radicalmente la visione abituale ed illusoria del mondo e di noi stessi.
[9] Il nostro spirito è fatto per godere della visione di Dio e così era per Adamo prima del peccato. Ma dopo il peccato, la nostra situazione è quella di esiliati che si trovano a vivere lontani dalla loro terra, in un mondo estraneo. La tentazione demoniaca consiste nel far credere all’uomo che questo mondo estraneo sia la sua vera casa, impedendogli di ricordare le sue vere origini. Se l’uomo non si sottrae a questo inganno con l’anelito a ritrovare la sua vera terra, sarà preda del demonio e vivrà delle sue illusioni. Ecco perché, in un certo senso, la causa di tutti i mali è vista nella ‘dimenticanza’, creatura tenebrosa del demonio.
[10] Sulla natura di questo ‘inganno’ o ‘abbaglio’ demoniaco, vedere la nota 93.
[11] La migliore definizione di εγκράτεια (temperanza, astinenza, continenza) potrebbe essere quella di Gregorio Palamas: “ταῖς μέν αἰσθήσεσιν ὧν τε καί ἐφ’ ὅσον ἐστίν ἀντιληπτέον, τό ἔργον δέ τοῦ νόμου τοῦτο προσαγορεύεται ἐγκράτεια”, “ai sensi, noi fissiamo l’oggetto e il limite del loro esercizio; questa opera della legge si chiama temperanza” (triade I,2,2). Cfr. Grégoire Palamas, Défense de saints hésychastes, vol. I, Louvain 1973, p. 77 (Filocalia IV, p.124).
Questa virtù va intesa come la disposizione a non permettere che i bisogni del nostro corpo e i movimenti passionali dei sensi siano in qualunque modo fonte di turbamento per lo spirito, ostacolo per la sua piena adesione a Dio. Riguarda tutto l’uomo: prima si castiga il corpo con la moderazione nel mangiare e nel bere (ed anche nel dormire), poi si conquista la padronanza sui sensi così da tagliare via le azioni peccaminose manifeste e solo allora lo spirito sarà in grado di sradicare i pensieri passionali, cioè purificare il cuore. È una successione che i Padri hanno costantemente insegnato ad osservare nell’ascesi.
[12] Un passo della Vita di Antonio, par.7, lo spiega molto bene: “Diceva: oggi, e non badava più al passato, ma come fosse sempre da principio, ogni giorno si adoperava a presentarsi a Dio in modo degno di Lui, puro di cuore e pronto ad ascoltare la sua volontà e niente altro”, cfr. S. Atanasio, Incarnazione del Verbo. Vita di Antonio, Alba 1972, p. 147.
[13] La Bibbia Marietti traduce: “Serba amore e rettitudine e spera nel tuo Dio continuamente”.