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Settimo ciclo

Anno liturgico C (2021-2022)

Tempo Ordinario

XV Domenica

(10 luglio 2022)

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Dt 30,10-14;  Sal 18 (19);  Col 1,15-20;  Lc 10,25-37

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Se consideriamo la collocazione dell’intervento del dottore della legge nella trama della narrazione evangelica lucana, potremmo domandarci: cosa ha infastidito quel dottore della legge da intervenire con una provocazione (“si alzò per mettere alla prova Gesù”)? È il narratore che definisce in quei termini l’intervento, perché, di per sé, la domanda che pone a Gesù è più che corretta. Gesù aveva poco prima commentato la gioia dei discepoli che tornavano entusiasti dalla loro missione di predicazione con la sottolineatura di tre punti: il Padre ha nascosto i suoi segreti ai dotti rivelandoli ai piccoli, il Figlio è il depositario della rivelazione del Padre, sono beati gli occhi dei discepoli di Gesù. Si era forse sentito punto nella sua suscettibilità di maestro in Israele? Oppure, voleva semplicemente distinguersi? Sta di fatto che Gesù accoglie la provocazione. Ho notato nei vangeli che Gesù risponde sempre alle provocazioni; non risponde solo quando si tratta di una presa in giro, come davanti a Erode, ai suoi flagellatori, alla derisione sulla croce. La provocazione riguarda l’insegnamento, la presa in giro la persona. Gesù è sempre pronto a insegnare, mentre, quando è preso in giro, sa tacere nella pazienza dell’amore.

Se consideriamo invece la discussione/incontro con il dottore della legge, al quale Gesù risponde con la domanda chiave della parabola del buon samaritano, possiamo subito notare questo. Gesù e lo scriba sono d’accordo nella solenne affermazione biblica che amare Dio con tutto il cuore e amare il prossimo fa accedere alla vita eterna. Non pensano però allo stesso modo. Affermano la stessa cosa, ma non pensano allo stesso modo. La differenza dei loro orizzonti interiori è data essenzialmente da questo: il dottore della legge oggettiva il comandamento, Gesù lo radicalizza; il dottore della legge interviene a livello della mente, Gesù a livello del cuore.

Rovesciando l’impostazione del dottore della legge, Gesù dirà alla fine della parabola: “Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti? Quello rispose: “Chi ha avuto compassione di lui”. Gesù gli disse: “Va’ e anche tu fa’ così” (Lc 10,36-37). Non si tratta di sapere chi sia il mio prossimo (il che equivarrebbe a fissare dei confini per l’esercizio del comandamento, come nel caso, ad esempio, del perdono: ‘quante volte devo perdonare…?). Si tratta di fare da prossimo e questo non tiene conto di alcun confine.

Non solo, ma in questa risposta di Gesù si vede come il raccordo del secondo comandamento al primo non sia scontato. Gesù pone il primo comandamento in assoluto, ma il secondo allo stesso livello del primo. Gesù vuole eliminare ogni idea di confine, limitazione, condizione, nell’esercizio dell’amore di Dio, che è Padre di tutti. Così la parabola è definita sulla sua rivelazione di Figlio dell’uomo che si appressa all’uomo per svelargli la grandezza dell’amore del Padre e non si ritrae di fronte a nessuno perché tutti sono chiamati a godere di questo amore. In effetti, Gesù, con la sua parabola, restituisce al dottore della legge l’ottica giusta, quella di Dio: si tratta di agire da prossimo con chiunque, anche con i nemici o gli avversari, come il buon samaritano che si è mosso a compassione vedendo un uomo ferito sulla strada. Ogni parabola è un’illustrazione dell’agire di Dio, una raffigurazione dei sentimenti e dell’agire di Gesù, venuto a rivelare l’amore di Dio agli uomini. Il buon samaritano è Lui stesso, che ha lasciato le 99 pecore (gli angeli) al sicuro ed è venuto a cercare la pecora (l’uomo) perduta. Così, l’agire in compassione fa ereditare la vita eterna perché assimila a Dio, rende simili al Cristo e ne svela al nostro cuore la bellezza. L’esito del comandamento dell’amore al prossimo non è semplicemente di far star bene il prossimo, se possibile, ma di ottenerci la rivelazione del volto di Dio, compimento dei desideri del nostro cuore.

A questo rimando fa riferimento l’espressione messa in bocca al dottore della legge e che noi traduciamo: “Chi ha avuto compassione di lui”. La stessa espressione ricorre nel cantico di Zaccaria, in Lc 1,72, resa però con “così egli ha concesso misericordia ai nostri padri”. Commentando la parabola, il dottore della legge non può che riconoscere che il farsi prossimo comporta il far prova di bontà verso chi è nel bisogno, imitando in questo Dio stesso. Ci si accorge subito che l’accento non è sul sapere, ma sul fare e che l’orizzonte è largo, senza sorta di restrizioni. Non si tratta di un semplice fare atti di bontà, ma di radicare gli atti di bontà in un cuore che si muove a compassione, in un cuore che solidarizza e vive l’umanità dell’altro come la propria. Questo è l’intendimento evangelico e Gesù lo illustra all’inizio del suo salire a Gerusalemme insieme ai suoi discepoli perché possano intuire il suo segreto di intimità con Dio e con gli uomini.

Rileggere in quest’ottica il testo del Deuteronomio della prima lettura rivela una profondità insospettata: “Obbedirai alla voce del Signore, tuo Dio, osservando i suoi comandi … e ti convertirai al Signore, tuo Dio, con tutto il cuore e con tutta l’anima” (Dt 30,10). Non si tratta di eseguire un comando, ma di obbedire al Signore nostro Dio. Il che significa che l’importante del comandamento è condividere un’intimità di volere e sentire. In gioco è la comunione con Dio, non la preoccupazione o l’ansietà di perfezione. Per cui la tensione interiore che accompagna l’esecuzione del comando è la conversione al Signore Dio, che ci si rivela nel suo amore per noi. Con il corollario, non di poco conto, della fiducia che il comando corrisponde alla struttura del nostro cuore, nel senso che accompagna la crescita della nostra umanità fino a farcene vivere tutta la luminosità nella quale è stata creata. Collegare Deuteronomio e Vangelo con il dire che il comando di Dio è ‘vicino’ a noi, significa due cose: è accessibile a noi, non è qualcosa di complicato o assurdo o inarrivabile; nello stesso tempo, è adatto a noi, corrisponde al nostro cuore, nel senso che fa vivere il cuore, ne compie gli aneliti profondi. E se il libro del Deuteronomio sottolinea che la parola del Signore ti è vicina “perché tu la metta in pratica”, ciò significa: il comandamento non rivela il suo segreto se non praticandolo. Non lo puoi praticare se non lo accogli da dentro un’alleanza col tuo Dio, ma non lo puoi comprendere se non praticandolo e così cogliere il gusto di quell’alleanza con Dio che si era prima appena percepita. E il Vangelo fa intendere il comandamento non come un ordine da eseguire, ma come un atteggiamento da vivere, come una disponibilità da praticare, in una luminosità di cuore che ci fa solidali con l’umanità di tutti.

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I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale Romano”):

[I testi delle letture sono tratti dal sito della Chiesa Cattolica italiana: chiesacattolica.it]

Prima Lettura  Dt 30,10-14

Dal libro del Deuteronòmio

Mosè parlò al popolo dicendo:

«Obbedirai alla voce del Signore, tuo Dio, osservando i suoi comandi e i suoi decreti, scritti in questo libro della legge, e ti convertirai al Signore, tuo Dio, con tutto il cuore e con tutta l’anima.

Questo comando che oggi ti ordino non è troppo alto per te, né troppo lontano da te. Non è nel cielo, perché tu dica: “Chi salirà per noi in cielo, per prendercelo e farcelo udire, affinché possiamo eseguirlo?”. Non è di là dal mare, perché tu dica: “Chi attraverserà per noi il mare, per prendercelo e farcelo udire, affinché possiamo eseguirlo?”. Anzi, questa parola è molto vicina a te, è nella tua bocca e nel tuo cuore, perché tu la metta in pratica».

Salmo Responsoriale  Dal Salmo 18 (19)

R. I precetti del Signore fanno gioire il cuore.

La legge del Signore è perfetta,

rinfranca l’anima;

la testimonianza del Signore è stabile,

rende saggio il semplice. R.

I precetti del Signore sono retti,

fanno gioire il cuore;

il comando del Signore è limpido,

illumina gli occhi. R.

Il timore del Signore è puro,

rimane per sempre;

i giudizi del Signore sono fedeli,

sono tutti giusti. R.

Più preziosi dell’oro,

di molto oro fino,

più dolci del miele

e di un favo stillante. R.

Seconda Lettura  Col 1,15-20

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Colossési

Cristo Gesù è immagine del Dio invisibile,

primogenito di tutta la creazione,

perché in lui furono create tutte le cose

nei cieli e sulla terra,

quelle visibili e quelle invisibili:

Troni, Dominazioni,

Principati e Potenze.

Tutte le cose sono state create

per mezzo di lui e in vista di lui.

Egli è prima di tutte le cose

e tutte in lui sussistono.

Egli è anche il capo del corpo, della Chiesa.

Egli è principio,

primogenito di quelli che risorgono dai morti,

perché sia lui ad avere il primato su tutte le cose.

È piaciuto infatti a Dio

che abiti in lui tutta la pienezza

e che per mezzo di lui e in vista di lui

siano riconciliate tutte le cose,

avendo pacificato con il sangue della sua croce

sia le cose che stanno sulla terra,

sia quelle che stanno nei cieli.

Vangelo  Lc 10,25-37

Dal vangelo secondo Luca

In quel tempo, un dottore della Legge si alzò per mettere alla prova Gesù e chiese: «Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?». Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?». Costui rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso». Gli disse: «Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai».

Ma quello, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è mio prossimo?». Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gèrico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. Anche un levìta, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: “Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno”. Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?». Quello rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va’ e anche tu fa’ così».