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Settimo ciclo

Anno liturgico C (2021-2022)

Solennità e feste

Ascensione del Signore

(29 maggio 2022)

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At 1,1-11;  Sal 46 (47);  Eb 9,24-28; 10,19-23;  Lc 24,46-53

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Con l’ascensione al cielo di Gesù la Chiesa professa la sua fede nel Signore risorto: in cielo è entrato l’uomo, nella sua corporeità; non solo, ma ci è entrato con i segni indelebili della sua passione, non più visti come richiamo alla cattiveria degli uomini, ma come prova dell’immensità dell’amore di Dio per gli uomini. Tanto che gli angeli, se vogliono conoscere il loro Signore nella sua immensità, hanno dovuto aspettare il suo ingresso nei cieli con i segni della passione nella sua carne. Commentando il salmo 46 (47), letto in rapporto al mistero dell’ascensione, i Padri spiegano che agli angeli viene rivelata la sapienza di Dio che si è compiuta nel Cristo, in favore degli uomini. Gregorio di Nazianzo invita il fedele così: “Se salirà in cielo, tu sali con lui: diventa uno degli angeli che lo accompagnano e lo accolgono… poni innanzi a te la bellezza della stola del suo corpo che ha sofferto, che è stato reso ancor più bello dalla Passione, e che splendeva della sua natura divina, della quale niente è più amabile e più bello” (Or. 45,12). E s. Ambrogio, immaginando le porte del cielo che accolgono il Cristo che vi ascende, come sono descritte nel salmo 23 (24), ha queste stupende parole: “… era come se le porte del cielo, che l’avevano visto uscire, non fossero più abbastanza grandi per riaccoglierlo. Non erano mai state a misura della sua grandezza, ma per il suo ingresso di vincitore occorreva una via più trionfale: davvero non aveva perso nulla ad annientarsi! Le porte eterne rimangono, ma si alzano: non è un uomo che entra, è il mondo intero, nella persona del Redentore di tutti” (De vera fide, 4,1).

Dell’evento dell’ascensione di Gesù parlano sia i Vangeli che gli Atti degli apostoli. Interessante osservare le differenze del racconto di Luca a secondo che leggiamo il testo del suo vangelo o quello degli Atti degli apostoli. Alcune differenze sono vistose. Il racconto degli Atti colloca l’evento alla fine dei quaranta giorni in cui il Risorto si attarda con i suoi discepoli parlando loro del regno di Dio e mostrandosi a loro con molte prove; il racconto del vangelo lo colloca invece nello stesso giorno di Pasqua. Negli Atti l’accento è posto sugli apostoli, che diventano testimoni ‘di lui’, inviati fino ai confini della terra; nel vangelo l’accento è posto sul mistero che si compie, tanto che gli apostoli diventano testimoni ‘di queste cose’, cioè della conversione e del perdono dei peccati a tutti i popoli. Negli Atti la promessa dello Spirito allude alla forza per andare nel mondo; nel vangelo allude alla ‘potenza dall’alto’ per essere annunciatori credibili.

La scena finale che chiude la descrizione dell’evento è particolarmente significativa. Negli Atti viene presentato l’invito dei due uomini in bianche vesti che apostrofano bonariamente gli apostoli con il naso all’insù: “Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo?”. La sottolineatura risulta: è inutile stare a guardare in cielo! Correte dai vostri fratelli e fate loro conoscere il Signore nel suo amore per loro. Il Signore si vedrà nella fraternità umana ricostituita nel suo nome. Il vangelo invece sigilla tutta la narrazione con l’immagine di Gesù benedicente che si sottrae alla loro vista. Come a sottolineare che quella benedizione costituisce il sigillo perenne della volontà di bene di Dio per l’uomo. Volontà, nella quale si radica tutta la dignità dell’uomo e il suo impegno di responsabilità di fronte al mondo. Per questo, l’autore della lettera agli Ebrei, richiamando i fedeli alla fede in Gesù, asceso al cielo, esorta: “Manteniamo senza vacillare la professione della nostra speranza, perché è degno di fede colui che ha promesso” (Eb 10,23), colui che ora porta nella gloria i segni della sua passione perché ognuno di noi si possa avvicinare con fiducia al suo trono di grazia, che è per noi. Tanto che il vangelo finisce il racconto nel presentare gli apostoli che tornano con grande gioia a Gerusalemme. Non solo per l’attesa dell’invio imminente dello Spirito promesso, ma per la percezione dell’interiorizzazione della presenza benedicente del Signore Gesù nel cuore.

Un’altra particolarità risalta nel racconto del vangelo. Se gli apostoli sono resi testimoni ‘di queste cose’ è perché poco prima Gesù aveva aperto le Scritture alla rivelazione di lui e aveva aperto la mente degli apostoli a leggere in tutte le Scritture il suo mistero. Così ‘queste cose’ costituiscono il compimento delle Scritture, con la sfumatura che nel mistero del Cristo, morto e risorto, si svela l’amore eterno di Dio per i suoi figli e si comprende tutto il senso della creazione e della storia. Così, la potenza dall’alto promessa, con l’invio dello Spirito Santo, riguarda prima di tutto l’intelligenza del Cristo (“lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto”, Gv 14,26; “Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito”, Gv 16,23) e del mistero che svela, cioè la grazia del perdono a tutte le genti. Se gli apostoli sono resi testimoni ‘di queste cose’ è perché lo Spirito Santo li abilita e alla conoscenza del Cristo e all’esperienza della grazia del perdono.

Così, quando la chiesa prega oggi con l’orazione sulle offerte: “fa’ che il nostro spirito si innalzi alla gioia del cielo’ e con l’orazione dopo la comunione: “suscita in noi il desiderio del cielo”, prega perché i credenti in Cristo siano abilitati, allo stesso modo degli apostoli, a diventare testimoni ‘di queste cose’. Saranno cioè le Scritture ad illuminare il mistero di Gesù nei discepoli e saranno i sacramenti, compreso il sacramento della fraternità, ad aprire gli occhi ai discepoli per scorgere la presenza del Signore in loro e con loro. I due discepoli di Emmaus, confidandosi le sensazioni segrete dei loro cuori mentre ascoltavano le spiegazioni del misterioso pellegrino e dopo averlo riconosciuto nello spezzare il pane, riportano: “Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava [letteralmente: ‘ci apriva’, stesso verbo usato nel brano odierno] le Scritture?” (Lc 24,32). Ecco il rimando generatore di intelligenza per la chiesa: le Scritture parlano di Gesù e i cuori lo riconoscono presente nella celebrazione dell’eucaristia e del sacramento della fraternità, presenza che si rivela nella sua potenza di rivelazione con l’intelligenza delle Scritture assimilate per la potenza dello Spirito Santo.

L’annotazione dell’ultimo gesto visivo di Gesù, il suo benedire i discepoli (“Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo”, Lc 24,51) rivela appunto la messa in moto di questo circuito virtuoso: apre l’intelligenza alle Scritture e apre le Scritture all’intelligenza, nel fuoco della sua presenza nei cuori, testimoniata dalla fraternità condivisa. Il movimento che scatena è incontenibile perché quel movimento non riguarda semplicemente la chiesa, ma il mondo: quel movimento è per il mondo. Difatti i discepoli, con l’ascensione di Gesù, sono consacrati come ‘apostoli’, inviati al mondo. Il contesto dell’evento dell’ascensione è missionario, perché risponde alla perenne domanda messianica: quando verrà il regno di Dio? Gesù ha spiegato ai suoi discepoli che la domanda sui tempi è fasulla perché non riguarda gli uomini, ma soltanto Dio. Quello che riguarda gli uomini è che quel regno, di cui portano sensazione nei cuori per la presenza del Vivente in loro, sia testimoniato nel suo splendore, nella sua dinamica di rivelazione dell’amore di Dio per gli uomini, dovunque, sempre, in ogni tempo.

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I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale Romano”):

[I testi delle letture sono tratti dal sito della Chiesa Cattolica italiana: chiesacattolica.it]

Prima Lettura  At 1,1-11

Dagli Atti degli Apostoli

Nel primo racconto, o Teòfilo, ho trattato di tutto quello che Gesù fece e insegnò dagli inizi fino al giorno in cui fu assunto in cielo, dopo aver dato disposizioni agli apostoli che si era scelti per mezzo dello Spirito Santo.

Egli si mostrò a essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove, durante quaranta giorni, apparendo loro e parlando delle cose riguardanti il regno di Dio. Mentre si trovava a tavola con essi, ordinò loro di non allontanarsi da Gerusalemme, ma di attendere l’adempimento della promessa del Padre, «quella – disse – che voi avete udito da me: Giovanni battezzò con acqua, voi invece, tra non molti giorni, sarete battezzati in Spirito Santo».

Quelli dunque che erano con lui gli domandavano: «Signore, è questo il tempo nel quale ricostituirai il regno per Israele?». Ma egli rispose: «Non spetta a voi conoscere tempi o momenti che il Padre ha riservato al suo potere, ma riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samarìa e fino ai confini della terra».

Detto questo, mentre lo guardavano, fu elevato in alto e una nube lo sottrasse ai loro occhi. Essi stavano fissando il cielo mentre egli se ne andava, quand’ecco due uomini in bianche vesti si presentarono a loro e dissero: «Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che di mezzo a voi è stato assunto in cielo, verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo».

Salmo Responsoriale  Dal Salmo 46 (47)

R. Ascende il Signore tra canti di gioia.

Popoli tutti, battete le mani!

Acclamate Dio con grida di gioia,

perché terribile è il Signore, l’Altissimo,

grande re su tutta la terra. R.

Ascende Dio tra le acclamazioni,

il Signore al suono di tromba.

Cantate inni a Dio, cantate inni,

cantate inni al nostro re, cantate inni. R.

Perché Dio è re di tutta la terra,

cantate inni con arte.

Dio regna sulle genti,

Dio siede sul suo trono santo. R.

Seconda Lettura  Eb 9,24-28; 10,19-23

Dalla lettera agli Ebrei

Cristo non è entrato in un santuario fatto da mani d’uomo, figura di quello vero, ma nel cielo stesso, per comparire ora al cospetto di Dio in nostro favore. E non deve offrire se stesso più volte, come il sommo sacerdote che entra nel santuario ogni anno con sangue altrui: in questo caso egli, fin dalla fondazione del mondo, avrebbe dovuto soffrire molte volte.

Invece ora, una volta sola, nella pienezza dei tempi, egli è apparso per annullare il peccato mediante il sacrificio di se stesso. E come per gli uomini è stabilito che muoiano una sola volta, dopo di che viene il giudizio, così Cristo, dopo essersi offerto una sola volta per togliere il peccato di molti, apparirà una seconda volta, senza alcuna relazione con il peccato, a coloro che l’aspettano per la loro salvezza.

Fratelli, poiché abbiamo piena libertà di entrare nel santuario per mezzo del sangue di Gesù, via nuova e vivente che egli ha inaugurato per noi attraverso il velo, cioè la sua carne, e poiché abbiamo un sacerdote grande nella casa di Dio, accostiamoci con cuore sincero, nella pienezza della fede, con i cuori purificati da ogni cattiva coscienza e il corpo lavato con acqua pura. Manteniamo senza vacillare la professione della nostra speranza, perché è degno di fede colui che ha promesso.

Vangelo  Lc 24,46-53

Dal vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni. Ed ecco, io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall’alto».

Poi li condusse fuori verso Betània e, alzate le mani, li benedisse. Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo. Ed essi si prostrarono davanti a lui; poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia e stavano sempre nel tempio lodando Dio.