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Settimo ciclo

Anno liturgico C (2021-2022)

Tempo di Quaresima

V Domenica

(3 aprile 2022)

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Is 43,16-21;  Sal 125 (126);  Fil 3,8-14;  Gv 8,1-11

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Secondo la pedagogia dei simboli liturgici, a partire da questa domenica fino al venerdì santo, nelle chiese le croci e le immagini possono essere velate. Come a suggerire di concentrare lo sguardo del cuore sulla persona di Gesù nella memoria del suo venire a Gerusalemme per subirvi la passione con tutto quello che comporta quanto a rivelazione dei suoi segreti per la salvezza del mondo. L’antica colletta così suggeriva di accompagnare il Signore Gesù: “Vieni in nostro aiuto, Padre misericordioso, perché con la tua grazia possiamo camminare sempre in quella carità che spinse il tuo Figlio a consegnarsi alla morte per la vita del mondo”.

E Paolo, di fronte al mistero dell’amore di Dio rivelato in Gesù, non può che riconoscere: “ritengo che tutto sia una perdita a motivo della sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore” (Fil 3,8). Quando il canto al vangelo, riprendendo l’invito del profeta Gioele, proclama: “Ritornate a me”, è proprio a quel “Cristo Gesù, mio Signore” che rimanda.

Proprio di questo parla in visione anche il profeta Isaia quando, ricordando l’esodo dall’Egitto e annunciano il nuovo esodo da Babilonia, dice: “Ecco, io faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete? …. Il popolo che io ho plasmato per me celebrerà le mie lodi”. La cosa nuova, inaudita, stupefacente, è proprio la consegna alla morte di croce del Figlio perché l’amore di Dio per l’uomo splenda in tutta la sua luce e possa convincere (plasmare) i cuori perché tornino a vivere di e per quell’amore.

Il collegamento con l’episodio narrato dal vangelo della peccatrice perdonata va colto nella profondità e densità della parola di Gesù alla donna: “[…] neanch’io ti condanno”. Ecco, la sublimità della conoscenza del Cristo, di cui parla s. Paolo, deriva da qui, dal suo perdono rigenerante. E non per nulla, il testo giovanneo continua con il presentare Gesù come luce, luce che rende leggerezza e spaziosità al cuore oppresso dal male, ridandogli la possibilità di accogliere e vivere l’amore di Dio.

Quando Gesù si rivolge alla peccatrice chiamandola ‘donna’, dobbiamo ricordare che il vangelo di Giovanni riporta questa espressione altre quattro volte, due rivolte a sua madre (a Cana e sotto la croce), una alla samaritana e una alla Maddalena (nel giardino, da risorto). Quel termine pesca, quanto a tenerezza, proprio nel cap. 43 di Isaia, che la liturgia richiama.

C’è un altro particolare interessante che si trova in un codice del IX secolo quanto alla descrizione di Gesù, chino a scrivere per terra: “scriveva per terra i peccati di ciascuno di loro”. Già s. Girolamo aveva commentato: “Naturalmente parla dei peccati degli accusatori e di tutti i mortali, secondo quanto sta scritto nel profeta: ‘Quanti si allontanano da te saranno scritti nella polvere’ (Ger 17,13)”. Gesù attende che gli accusatori si rendano conto della impossibile posizione in cui si sono arroccati. Di fronte all’insistenza nella loro durezza di cuore, dovrà alzarsi e rivolgersi loro: “Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei”.

Sembra che il particolare dello scrivere per terra tenda a suggerire: tutto ciò che di male abbiamo commesso, se lo mettiamo davanti al Signore Gesù, resta scritto nella polvere. Soltanto però il male riconosciuto, quello che non viene taciuto o giustificato, resta scritto nella polvere! Quello che non è riconosciuto, che si mantiene nascosto, che si annida nelle rivendicazioni irose o latenti, resta in cuore e impedisce la scoperta della benevolenza di Dio. Tutti gli accusatori della donna se ne devono andare perché, effettivamente, non sono così stupidi da immaginare di essere senza peccato. Ma essi non hanno potuto fare esperienza della benevolenza di Dio.

Gesù ridà senso al dramma del peccato. Il peccato non è una semplice trasgressione della legge né una questione personale di inclinazioni o scelte. La posta in gioco è assai più alta, ma senza l’esperienza della benevolenza perdonante del Signore non si esce dal tranello che i farisei avevano preparato a Gesù: se si pronuncia per l’assoluzione, va contro la legge; se approva la condanna, va contro l’immagine di Dio che va predicando, con la conseguenza che allora è un falso nuovo profeta, non è degno di credito. In termini storici bisogna intendere: se si pronuncia per il perdono va contro il diritto ebraico; se si pronuncia per la condanna a lapidazione, va contro il diritto romano. Con il peccato non è in gioco semplicemente la nostra vera o supposta rettitudine, bensì la nostra fiducia nella promessa di Dio per noi. Se l’uomo viene condannato per il suo peccato, gli si impedisce di credere alla promessa di Dio per lui; e lo stesso avviene se il peccato è banalizzato. Il peccato, riconosciuto da dentro una relazione col proprio Dio, diventa la porta della grazia, la scoperta del suo amore perdonante.

Nel rivolgersi in quel modo all’adultera, Gesù realizza la profezia di Isaia: “Il popolo che io ho plasmato per me celebrerà le mie lodi” (Is 43,1), come accennavo sopra. Gesù si presenta come il Signore che con il suo amore perdonante plasma il suo popolo, salva e attira a sé il suo popolo, lo fa vivere nella comunione con il suo Dio. Quello che generalmente non riusciamo più a percepire in questo ‘comportamento’ è l’aspetto nuziale dell’amore di Dio. Dio si presenta come lo Sposo che ama la sua sposa, che cerca la sua sposa, adultera, di cui non ricorda più i tradimenti, per ricrearla come una vergine sposa. La frase di Isaia va interpretata: il popolo al quale Dio ha perdonato le colpe (=plasmato) gioirà come la sposa, amata dal suo sposo (=celebra le lodi). Così è l’anima perdonata, che torna alla dignità dell’amore come una vergine sposata dal suo amato. Tale è la potenza, toccante, dell’amore di Dio.

Il canto al vangelo “Ritornate a me con tutto il cuore, perché io sono misericordioso e pietoso” parla splendidamente dell’adultera perdonata. L’espressione è del profeta Gioele 2,12-13, ma riprende la rivelazione del nome di Dio a Mosè sul Sinai raccontata in Es 34. Mosè aveva chiesto di vedere la gloria di Dio dopo il peccato del vitello d’oro. La rivelazione del nome di Dio ‘misericordioso e pietoso’ avviene nella tempesta di sentimenti scatenata dal peccato del popolo che Dio avrebbe voluto distruggere, ma per il quale Mosè intercede trovando grazia agli occhi di Dio. Dio è Dio perché è misericordioso e pietoso, ricco nell’amore, esperienza che l’uomo realizza a fronte del suo peccato drammaticamente riconosciuto.

La logica interiore di questa esperienza è ben descritta da Paolo, nella lettera ai Filippesi: “So soltanto questo: dimenticando ciò che mi sta alle spalle e proteso verso ciò che mi sta di fronte, corro…”. Non puoi più stare riverso sul tuo passato, ormai abbandonato alla polvere: non puoi che guardare al futuro di Dio che viene a te nella condivisione del suo desiderio di bene e di salvezza.

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I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale Romano”):

[I testi delle letture sono tratti dal sito della Chiesa Cattolica italiana: chiesacattolica.it]

Prima Lettura  Is 43,16-21

Dal libro del profeta Isaìa

Così dice il Signore,

che aprì una strada nel mare

e un sentiero in mezzo ad acque possenti,

che fece uscire carri e cavalli,

esercito ed eroi a un tempo;

essi giacciono morti, mai più si rialzeranno,

si spensero come un lucignolo, sono estinti:

«Non ricordate più le cose passate,

non pensate più alle cose antiche!

Ecco, io faccio una cosa nuova:

proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?

Aprirò anche nel deserto una strada,

immetterò fiumi nella steppa.

Mi glorificheranno le bestie selvatiche,

sciacalli e struzzi,

perché avrò fornito acqua al deserto,

fiumi alla steppa,

per dissetare il mio popolo, il mio eletto.

Il popolo che io ho plasmato per me

celebrerà le mie lodi».

Salmo Responsoriale  Dal Salmo 125 (126)

R. Grandi cose ha fatto il Signore per noi.

Quando il Signore ristabilì la sorte di Sion,

ci sembrava di sognare.

Allora la nostra bocca si riempì di sorriso,

la nostra lingua di gioia. R.

Allora si diceva tra le genti:

«Il Signore ha fatto grandi cose per loro».

Grandi cose ha fatto il Signore per noi:

eravamo pieni di gioia. R.

Ristabilisci, Signore, la nostra sorte,

come i torrenti del Negheb.

Chi semina nelle lacrime

mieterà nella gioia. R.

Nell’andare, se ne va piangendo,

portando la semente da gettare,

ma nel tornare, viene con gioia,

portando i suoi covoni. R.

Seconda Lettura  Fil 3,8-14

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Filippési

Fratelli, ritengo che tutto sia una perdita a motivo della sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore. Per lui ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero spazzatura, per guadagnare Cristo ed essere trovato in lui, avendo come mia giustizia non quella derivante dalla Legge, ma quella che viene dalla fede in Cristo, la giustizia che viene da Dio, basata sulla fede: perché io possa conoscere lui, la potenza della sua risurrezione, la comunione alle sue sofferenze, facendomi conforme alla sua morte, nella speranza di giungere alla risurrezione dai morti.

Non ho certo raggiunto la mèta, non sono arrivato alla perfezione; ma mi sforzo di correre per conquistarla, perché anch’io sono stato conquistato da Cristo Gesù. Fratelli, io non ritengo ancora di averla conquistata. So soltanto questo: dimenticando ciò che mi sta alle spalle e proteso verso ciò che mi sta di fronte, corro verso la mèta, al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù.

Vangelo  Gv 8,1-11

Dal vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, Gesù si avviò verso il monte degli Ulivi. Ma al mattino si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui. Ed egli sedette e si mise a insegnare loro.

Allora gli scribi e i farisei gli condussero una donna sorpresa in adulterio, la posero in mezzo e gli dissero: «Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?». Dicevano questo per metterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo.

Ma Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra. Tuttavia, poiché insistevano nell’interrogarlo, si alzò e disse loro: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei». E, chinatosi di nuovo, scriveva per terra. Quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani.

Lo lasciarono solo, e la donna era là in mezzo. Allora Gesù si alzò e le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?». Ed ella rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù disse: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più».