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Settimo ciclo

Anno liturgico B (2020-2021)

Tempo Ordinario

XXIV Domenica

(12 settembre 2021)

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Is 50,5-9a;  Sal 114;  Gc 2,14-18;  Mc 8,27-35

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Siamo al centro del vangelo di Marco. Gesù prende così sul serio la risposta di Pietro che decide di svelare il suo futuro di messia sofferente. È il primo annuncio della passione nel vangelo di Marco. La differenza di risposte alla domanda di Gesù di chi lui sia sta in questo: la gente si riferisce a Gesù, la cui figura affascina, come a colui che è stato inviato a preparare l’arrivo del Messia, mentre Pietro confessa che Gesù è proprio il Messia. Si tratta dello stesso quesito di Giovanni Battista: sei tu o dobbiamo aspettarne un altro? Pietro riconosce che è lui il Messia, confessione che induce Gesù a svelare il suo segreto.

Pietro però non è ancora pronto a rinunciare all’idea di Messia che si era fatto. In effetti, il vangelo non riporta che Gesù abbia cominciato a parlare del suo destino di passione, ma annota: “cominciò ad insegnare loro che il Figlio dell’uomo doveva soffrire molto…” (Mc 8,31). I due termini indicano che l’uomo non avrebbe mai potuto arrivare al mistero della persona di Gesù dal basso; vi si giunge per rivelazione, dall’alto. Non si vuole sottolineare una necessità di destino, ma il segreto di un amore che si consegna, un segreto di cui si è messi a parte. Non solo, ma che “dall’alto” corrisponde allo “star dietro” a Gesù. Pietro non può comprendere perché, invece di star dietro a Gesù, vuole mettersi davanti, come a far da suggeritore al suo Maestro e si prende il rimprovero: “Va’ dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini”. In quel rimprovero però c’è tutta la pedagogia di Dio con l’uomo e Pietro ne farà tesoro. Gesù riprende la rivelazione di Dio raccontata in Es 33,20-23, là dove Dio dice a Mosè che potrà vederlo solo di spalle. Il che significa: solo accettando di camminare per dove Dio indica lo si potrà vedere in verità. E ancora: solo disponendoci a praticare la sua parola, si può scoprire la verità della promessa di vita che la sua parola comporta. Solo camminando dietro il Maestro si potrà vederlo in verità fino alla ‘contemplazione’ (termine caratteristico per indicare la visione di realtà supreme, oltre la materialità della vista) della croce, là dove risplende l’amore di Dio per gli uomini, convincendo i cuori che solo da quell’amore scaturisce la vita per l’uomo e che solo in quell’amore la dignità della vita si fa godibile.

Quando Gesù estende a tutti la sua ammonizione non fa che rendere coglibile da tutti ciò che aveva detto a Pietro. Pietro, nel rimproverare Gesù, aveva probabilmente temuto per sé. Se Gesù, il Messia, avesse dovuto subire tutti quei tormenti, certamente sarebbe svanito il prestigio dell’essere ‘compagno’ del Messia. E allora che ne sarebbe stato di lui? Il ‘rinnegare se stessi’ vale in rapporto al mistero di Dio che in Gesù si fa prossimo agli uomini per la potenza del suo amore tanto da far scaturire la vita proprio là dove gli uomini mai la cercherebbero. Se gli uomini pensano in prospettiva mondana come potranno vedere i segreti di Dio? La rinuncia a ogni prospettiva mondana è la condizione per accogliere il mistero di Gesù, che sulla croce rivela lo splendore dell’amore, motivo di ogni rinuncia a qualsiasi cosa che non sia collegabile o derivante da quell’amore. D’altronde qui risiede tutta la dignità della vita. Ma, per quanto desiderabile, come resta velata ai nostri occhi! Siamo sempre nella condizione di dover essere istruiti dall’alto per afferrare la verità dell’umanità di Gesù consegnata agli uomini e scoprire vero per noi e per tutti lo splendore dell’amore. Così il portare la croce non si riferisce primariamente alla fatica del vivere, ma alla condizione perché la fatica del vivere risulti fruttuosa: la rinuncia a ogni prospettiva mondana ci apre alla rivelazione dell’amore di Dio nella nostra vita, amore che possiamo cogliere in tutto il suo splendore proprio nella croce di Gesù. Seguire Gesù significa essere partecipi di questa rivelazione fino a viverla nel concreto della propria vita per dare spazio alla stessa dinamica di amore.

Il ‘rinnegare se stessi’ ha il valore: nego me per tenere te, rinuncio alle mie paure per dare spazio alla fiducia di te, non resto bloccato nel mio passato, e di vissuto e di inconscio, per aprirmi al futuro che mi viene incontro e mi segnala il dono di Dio. In questo senso vale quello che san Paolo, nella sua lettera ai Galati, ripresa dal canto al vangelo, proclama: “Quanto a me non ci sia altro vanto che nella croce del Signore, per mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo” (Gal 6,14). Come a dire: rispetto a quell’amore, rivelato dall’alto e colto nel seguire il Signore Gesù, non c’è nulla nel mondo che meriti la preferenza e non c’è nulla in me che può trovare adeguato compimento a partire dal mondo. La preghiera della chiesa tende a rendere vivacemente percepibile al nostro cuore tale verità.

Perché si possa avverare per ciascuno di noi quello che invoca la bellissima preghiera dopo la comunione: “La potenza di questo sacramento, o Padre, ci pervada corpo e anima, perché non prevalga in noi il nostro sentimento, ma l’azione del tuo santo Spirito”. Quell’azione ci apre alla conoscenza del segreto di Gesù, che ci rende partecipi della sua stessa dinamica di vita e di amore, oltre ogni impedimento. Avverrà come un incontro, profondissimo, intimissimo, dell’ascoltarsi a vicenda di Dio e dell’uomo, come suggerisce il brano del terzo canto del servo del Signore: “mi ha aperto l’orecchio” e il salmo commenta: “ha teso l’orecchio nel giorno in cui lo invocavo”. L’orecchio di Dio e quello dell’uomo tesi all’ascolto reciproco. Anche così può essere descritto il nostro ‘star dietro’ a Gesù. Da intendere però, come insegna la tradizione chassidica, in questo modo: “Un uomo entusiasta di Dio vagò nell’universo fino ad arrivare alle porte del segreto. Bussò. Da dentro gli fu chiesto: “Che cosa cerchi qui?”. Disse: “Ho proclamato la tua lode agli orecchi dei mortali, ma erano sordi alla mia parola. Allora giungo a te, perché tu stesso mi ascolti e mi risponda”. “Torna indietro”, si udì dall’interno, “qui non c’è orecchio per te. Ho inabissato il mio udito nella sordità dei mortali”.

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I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale Romano”):

[I testi delle letture sono protetti dal © Libreria Editrice Vaticana e ne è vietata la riproduzione, anche parziale e con qualsiasi mezzo]

Prima Lettura  Is 50, 5-9a

Dal libro del profeta Isaia

Il Signore Dio mi ha aperto l’orecchio e io non ho opposto resistenza, non mi sono tirato indietro. Ho presentato il mio dorso ai flagellatori, le mie guance a coloro che mi strappavano la barba; non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi.

Il Signore Dio mi assiste, per questo non resto svergognato, per questo rendo la mia faccia dura come pietra, sapendo di non restare confuso. È vicino chi mi rende giustizia: chi oserà venire a contesa con me? Affrontiamoci. Chi mi accusa? Si avvicini a me.

Ecco, il Signore Dio mi assiste: chi mi dichiarerà colpevole?

Salmo Responsoriale  Dal Salmo 114

Camminerò alla presenza del Signore nella terra dei viventi.

Amo il Signore, perché ascolta

il grido della mia preghiera.

Verso di me ha teso l’orecchio

nel giorno in cui lo invocavo.

Mi stringevano funi di morte,

ero preso nei lacci degli inferi,

ero preso da tristezza e angoscia.

Allora ho invocato il nome del Signore:

«Ti prego, liberami, Signore».

Pietoso e giusto è il Signore,

il nostro Dio è misericordioso.

Il Signore protegge i piccoli:

ero misero ed egli mi ha salvato.

Sì, hai liberato la mia vita dalla morte,

i miei occhi dalle lacrime,

i miei piedi dalla caduta.

Io camminerò alla presenza del Signore

nella terra dei viventi.

Seconda Lettura  Gc 2, 14-18

Dalla lettera di san Giacomo apostolo

A che serve, fratelli miei, se uno dice di avere fede, ma non ha opere? Quella fede può forse salvarlo? Se un fratello o una sorella sono senza vestiti e sprov­visti del cibo quotidiano e uno di voi dice loro: «Andatevene in pace, riscaldatevi e saziatevi», ma non date loro il necessario per il corpo, a che cosa serve? Così anche la fede: se non è seguita dalle opere, in se stessa è morta.

Al contrario uno potrebbe dire: «Tu hai la fede e io ho le opere; mostrami la tua fede senza le opere, e io con le mie opere ti mostrerò la mia fede».

Vangelo  Mc 8, 27-35

Dal vangelo secondo Marco

In quel tempo, Gesù partì con i suoi discepoli verso i villaggi intorno a Cesarèa di Filippo, e per la strada interrogava i suoi discepoli dicendo: «La gente, chi dice che io sia?». Ed essi gli risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elia e altri uno dei profeti». Ed egli domandava loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro gli rispose: «Tu sei il Cristo». E ordinò loro severamente di non parlare di lui ad alcuno.

E cominciò a insegnare loro che il Figlio dell’uomo doveva soffrire molto, ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere.

Faceva questo discorso apertamente. Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo. Ma egli, voltatosi e guardando i suoi discepoli, rimproverò Pietro e disse: «Va’ dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini».

Convocata la folla insieme ai suoi discepoli, disse loro: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà».