Settimo ciclo
Anno liturgico A (2019-2020)
Tempo Ordinario
XXV Domenica
(20 settembre 2020)
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Is 55,6-9; Sal 144; Fil 1,20c-27a; Mt 20,1-16a
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Con il salmo responsoriale confessiamo: “Giusto è il Signore in tutte le sue vie e buono in tutte le sue opere” (Sal 144/145,17). Di per sé, non abbiamo obiezioni da opporre, ma in pratica quanto sono incomprensibili le vie di Dio! Il brano evangelico odierno, con la parabola degli operai che vengono pagati tutti allo stesso modo pur essendosi affaticati diversamente nel lavoro, né è la prova più inconfutabile. Davanti a un simile brano non riusciamo a toglierci di dosso la perplessità di fronte al comportamento del padrone: non è giusto però! Sappiamo di non poter sostenere che il padrone agisce ingiustamente (tutto nella parabola mira a che sia osservata la giustizia: non abbiamo pattuito un denaro? …) eppure non riusciamo a non condividere la presa di posizione dei primi operai che si vedono trattati come gli ultimi. Perché questo?
Il brano va letto come una ripresa di due passaggi precedenti. Alla domanda dello scriba di cosa debba fare di buono per avere la vita eterna, Gesù risponde: perché mi interroghi su ciò che è buono? Il Buono è uno solo. Ciò significa che l’uomo non ha la possibilità di determinare in sé cosa sia buono. È buono ciò che corrisponde al Buono, all’agire di Colui che è Buono. Di fronte poi alla perplessità degli apostoli rispetto al giudizio di Gesù sull’impossibilità per gli uomini di salvarsi, Pietro rileva: ma noi abbiamo lasciato tutto per seguirti. Che cosa ne avremo? La domanda non è maliziosa nel senso che non nasce come condizione per seguire Gesù, ma dopo averlo seguito. È la perenne domanda dell’uomo a proposito della ricompensa. Cosa me ne verrà a seguire i comandamenti? E Gesù risponde con la promessa del centuplo e della vita eterna. Dopo di che Gesù aggiunge la parabola degli operai nella vigna.
Il punto nevralgico risiede nella formulazione della promessa da parte di Gesù: “Alla rigenerazione del mondo siederete anche voi su dodici troni…”. Non si tratta del mondo futuro che sarà, ma del mondo futuro che viene, che è già venuto; si tratta del ‘mondo rinnovato’ che Gesù svela con il suo comportamento e con il suo agire. Se non si diventa partecipi di questo mondo rinnovato non sarà possibile comprendere le vie di Dio. La parabola, che presenta l’immagine di un padrone generoso con i suoi beni, vorrebbe conquistare i cuori all’esperienza di questa generosità, sottintendendo che non pagherà semplicemente il dovuto, ma che ricompenserà largamente oltre il dovuto. Se i primi operai non si accorgono di questa generosità è perché restano irretiti nel confronto tra compagni. Non tollerano di essere trattati come gli ultimi, mostrando così che il loro rapporto con il padrone non esce dallo schema del merito: io ho fatto, tu mi devi! È la condizione che vive il figlio maggiore nella parabola del padre misericordioso, del fariseo che prega nel tempio, del fastidio dei farisei nel vedere Gesù a tavola con i peccatori, di colui che millanta giustizia ma ha il cuore chiuso e duro.
La parabola, oltre a rimarcare la generosità del padrone, vorrebbe come istradare i cuori in una nuova solidarietà tra compagni. Perché non godere del bene toccato al mio compagno anche se immeritato? Più si gode del bene altrui, più si è intimi di Dio, perché nel bene viene esaltato colui che solo è il Buono. Il fatto del rovesciamento delle posizioni, ‘gli ultimi saranno primi e i primi ultimi’, allude semplicemente a quel ‘mondo rinnovato’ che Gesù svela e compie perché lui è il testimone per eccellenza della bontà di Dio. Il padrone della parabola è descritto nei panni di Gesù che cerca i peccatori, che va a cercare la pecorella perduta e se la mette in spalla, che offre il regno al ladrone sulla croce. Perché in questo modo di agire splende colui che è il Buono. Ma per noi, che siamo sempre nel timore di non essere preferiti, comunque di rivendicare invece che di essere grati, quanto è difficile accedere alla luminosità del mondo rinnovato! La perplessità rispetto all’agire del padrone, nonostante non si possa accusare che sia ingiusto, ci resta incollata addosso. Proprio contro quella perplessità, che spesso si traduce in mormorazione e in cattiveria verso i nostri compagni, la parabola è diretta.
La perplessità rivela l’incapacità per il nostro cuore di condividere la gioia, la gioia dei fratelli che possono avere quanto e più di noi, ma soprattutto la gioia del Padre che può dare a tanti quello che di per sé sarebbe riservato a pochi. Noi sicuramente non siamo nel numero di quei pochi e chi, come l’apostolo Paolo, si trova tra quei pochi, lo si riconosce dal fatto che gode più per la partecipazione del bene a tutti che non a se stesso. Non per nulla ritiene la sua vita di nessun conto, e la concepisce solo ‘per il progresso e la gioia della fede’ (Fil 1,25) di tutti. Non semplicemente per il progresso e la gioia dei fratelli, ma per il progresso e la gioia che i fratelli potranno godere nella loro relazione di intimità con il Padre che è venuto in loro soccorso, che ha inviato loro il suo Salvatore, che hanno conosciuto la misericordia del Signore. L’occhio allora non potrà più essere geloso o invidioso ed il cuore non avrà più pensieri propri, ma solo quelli di Dio e potrà godere con Dio del fatto che la Sua bontà è celebrata sopra ogni giustizia.
Un antico testo giudaico può riassumere bene la parabola di Gesù. Dio mostrò a rabbi Jose ben Halafta i tesori delle ricompense per i giusti custoditi in cielo. Ma lì c’era anche un grande tesoro per i ‘nullatenenti’ e Dio lo spiegò così: “A chi possiede, io do attingendo alla sua ricompensa; ma a chi non possiede, do gratuitamente attingendo a questo tesoro”.
Potremmo anche domandarci: quando i primi restano i primi? Pensiamo agli apostoli. Sono tra i primi e primi sono restati. Essere primi significa rallegrarsi del fatto che gli ultimi sono preferiti, godere con Dio della sua misericordia per gli ultimi. Anche perché l’invito a scoprire e gustare la bontà di Dio salva i cuori dai confini angusti e li libera da ogni forma di rivendicazione in modo da partecipare ai sentimenti di Dio che vuole tutti suoi amici, senza distinzione.
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I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale Romano”):
[I testi delle letture sono protetti dal © Libreria Editrice Vaticana e ne è vietata la riproduzione, anche parziale e con qualsiasi mezzo]
Prima Lettura Is 55, 6-9
Dal libro del profeta Isaia
Cercate il Signore, mentre si fa trovare,
invocatelo, mentre è vicino.
L’empio abbandoni la sua via
e l’uomo iniquo i suoi pensieri;
ritorni al Signore che avrà misericordia di lui
e al nostro Dio che largamente perdona.
Perché i miei pensieri non sono i vostri pensieri,
le vostre vie non sono le mie vie. Oracolo del Signore.
Quanto il cielo sovrasta la terra,
tanto le mie vie sovrastano le vostre vie,
i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri.
Salmo Responsoriale Dal Salmo 144
Il Signore è vicino a chi lo invoca.
Ti voglio benedire ogni giorno,
lodare il tuo nome in eterno e per sempre.
Grande è il Signore e degno di ogni lode;
senza fine è la sua grandezza.
Misericordioso e pietoso è il Signore,
lento all’ira e grande nell’amore.
Buono è il Signore verso tutti,
la sua tenerezza si espande su tutte le creature.
Giusto è il Signore in tutte le sue vie
e buono in tutte le sue opere.
Il Signore è vicino a chiunque lo invoca,
a quanti lo invocano con sincerità.
Seconda Lettura Fil 1,20c-24.27a
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Filippési.
Fratelli, Cristo sarà glorificato nel mio corpo, sia che io viva sia che io muoia.
Per me infatti il vivere è Cristo e il morire un guadagno.
Ma se il vivere nel corpo significa lavorare con frutto, non so davvero che cosa scegliere. Sono stretto infatti fra queste due cose: ho il desiderio di lasciare questa vita per essere con Cristo, il che sarebbe assai meglio; ma per voi è più necessario che io rimanga nel corpo.
Comportatevi dunque in modo degno del vangelo di Cristo.
Vangelo Mt 20, 1-16
Dal vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola:
«Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all’alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. Si accordò con loro per un denaro al giorno e li mandò nella sua vigna. Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano in piazza, disoccupati, e disse loro: “Andate anche voi nella vigna; quello che è giusto ve lo darò”. Ed essi andarono. Uscì di nuovo verso mezzogiorno e verso le tre, e fece altrettanto. Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano lì e disse loro: “Perché ve ne state qui tutto il giorno senza far niente?”. Gli risposero: “Perché nessuno ci ha presi a giornata”. Ed egli disse loro: “Andate anche voi nella vigna”.
Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: “Chiama i lavoratori e dai loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi”. Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. Quando arrivarono i primi, pensarono che avrebbero ricevuto di più. Ma anch’essi ricevettero ciascuno un denaro. Nel ritirarlo, però, mormoravano contro il padrone dicendo: “Questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo”.
Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: “Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse concordato con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene. Ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te: non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?”. Così gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi».