WORDPDF

Settimo ciclo

Anno liturgico A (2019-2020)

Tempo Ordinario

XXIV Domenica

(13 settembre 2020)

___________________________________________________

Sir 27,30-28,9;  Sal 102;  Rm 14,7-9;  Mt 18,21-35

___________________________________________________

Per cogliere la portata di rivelazione dell’insegnamento di Gesù sul comandamento del perdono vicendevole possiamo farci la domanda: perché Gesù insiste così tanto sul perdono vicendevole? Quando insegna la preghiera del Padre nostro, l’unica invocazione che riprende nella sua spiegazione è quella sul rimettere i debiti. Perché?

Il capitolo 18 del vangelo di Matteo, dove il comandamento del perdono vicendevole è illustrato con tanta enfasi, inizia con la domanda: chi è più grande nel regno dei cieli? Risposta: chi perdona sempre! La domanda potrebbe essere espressa anche in questo modo: cosa è più gradito a Dio? Cosa attira maggiormente la grazia di Dio? La risposta è sempre la stessa: il perdonarsi vicendevole. Due sono i perni sui quali il vangelo fonda la grazia del perdono. Per rispondere alla domanda su chi sia più grande nel regno dei cieli, Gesù prende un bambino e dice: “Perciò chiunque si farà piccolo come questo bambino, costui è il più grande nel regno dei cieli” (Mt 18,4). Il testo greco però è assai più puntuale. Non dice ‘chi si farà piccolo’, ma ‘chi si umilia’ come questo bambino. In pratica dice: chi rinuncia a ogni suo diritto pur di onorare il fratello, questi è il più grande nel regno dei cieli. Chi rinuncia alla propria difesa, può onorare sempre il fratello e testimoniare la grandezza dell’amore di Dio per i suoi figli. Il più piccolo, in questa ottica, è proprio Gesù che svuotò se stesso per farsi servo e mostrare a tutti lo splendore dell’amore misericordioso del Padre. Per questo è il più grande. Chi si fa come lui partecipa della sua grandezza.

Quando, più avanti, Pietro chiede quante volte debba perdonare al fratello, Gesù risponde nella stessa logica. Pietro, oltrepassando le tre volte di perdonare al fratello che la legge rabbinica ingiungeva al credente, avanza il numero di sette volte, già abbondantemente oltre le norme consuete. Ma non c’è alcun confine o limite da rispettare perché Dio non rispetta nessun limite per mostrare il suo amore. E la risposta di Gesù mira a rovesciare completamente la logica della vendetta che si era impadronita dei figli degli uomini con Caino, che uccide suo fratello ma sarà vendicato sette volte se qualcuno lo ucciderà e con Lamech che, uccidendo per una scalfittura, sarà vendicato settantasette volte (Gn 4,24). Con Gesù viene superato ogni limite restrittivo. Non c’è condizione al perdono, perché il perdono ha a che vedere con lo svelamento del segreto di Dio. Dire settanta volte sette significa dire sempre.

La ragione viene illustrata con la parabola del re che vuole regolare i conti con i suoi servi. La parabola è tipica di Matteo e quindi si riferisce al contesto rivelativo del comandamento del perdono vicendevole.  L’ammontare del debito del primo servo è astronomico. Il fatto che debba al re diecimila talenti significa che è così alto da essere insolubile. Basta pensare che il prodotto annuale delle imposte di Erode in Galilea ammontava a duecento talenti. E se facciamo il confronto tra i diecimila talenti (un talento equivaleva a diecimila denari) e i cento denari del secondo servo, la proporzione è di cento a cento milioni. Le cifre però sono iperboliche proprio per sottolineare tutta la compassione del re che, dietro la supplica del primo servo, non dilaziona il pagamento, ma glielo condona, glielo cancella. Soltanto che l’esperienza del condono non si tramuta, nel cuore di quel servo, in gratitudine ma solo nella soddisfazione di scampato pericolo. Così, quando incontra il suo compagno, che gli deve una certa somma (corrisponderebbe a tre mesi di paga di un salariato), non vuole sentire ragioni e lo fa mettere in prigione fino alla restituzione del debito.

È chiaro che il lettore si sente interpellato a giudicare il primo servo: ma che cattivo! Poteva ben dilazionare, se non proprio condonare il debito. Nemmeno questo! Così è indotto a sottoscrivere la condanna del re che, sdegnato, ritira il suo condono e fa punire il servo dal cuore malvagio. La parabola è chiara. Ma non ci si accorge che la condanna del lettore è contro se stesso perché ognuno di noi è impersonato nel primo servo. Nessuno è innocente davanti a Dio. Il debito contratto con lui è insolvibile comunque. L’unica possibilità di salvezza è che il re sia misericordioso con noi nella sua generosità e benevolenza. E il re lo è. Ma è come se questa sua benevolenza debba far scaturire in noi benevolenza. Se non scaturisce, vuol dire che noi l’abbiamo semplicemente fatta franca o, meglio, crediamo di farla franca. Appena però ci imbattiamo a nostra volta in un fratello che ci deve qualcosa, allora emerge la verità del cuore: se ha vissuto un’esperienza di benevolenza o di astuzia, se ha riconosciuto i sentimenti del re o se solo se ne è servito per i suoi comodi.

Quando si dice che Dio condiziona il suo perdono al nostro, non si vuol dire che Dio viene dietro a noi. Al contrario, noi perdoneremo se davvero facciamo esperienza del suo perdono. Noi non potremo non perdonare se abbiamo coscienza del fatto che siamo stati perdonati. Il condividere il perdono con i fratelli segnala la verità della conoscenza della benevolenza di Dio nei nostri confronti. Così si trova la grandezza dell’amore nella rinuncia ad ogni rivendicazione da parte nostra. Come sottolinea la preghiera sulle offerte: “Accogli con bontà, o Signore, i doni e le preghiere del tuo popolo e ciò che ognuno offre in tuo onore giovi alla salvezza di tutti”. L’offerta a Dio sarà accolta a patto che si risolva in splendore di fraternità, di cui il perdono vicendevole è il segno più eloquente. E allora varrà per il nostro cuore la bellissima preghiera dopo la comunione: “La potenza di questo sacramento [perdono di Dio], o Padre, ci pervada corpo e anima, perché non prevalga in noi il nostro sentimento, ma l’azione del tuo Santo Spirito”.

***

I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale Romano”):

[I testi delle letture sono protetti dal © Libreria Editrice Vaticana e ne è vietata la riproduzione, anche parziale e con qualsiasi mezzo]

Prima Lettura  Sir 27, 30 – 28, 9

Dal libro del Siràcide

Rancore e ira sono cose orribili,

e il peccatore le porta dentro.

Chi si vendica subirà la vendetta del Signore,

il quale tiene sempre presenti i suoi peccati.

Perdona l’offesa al tuo prossimo

e per la tua preghiera ti saranno rimessi i peccati.

Un uomo che resta in collera verso un altro uomo,

come può chiedere la guarigione al Signore?

Lui che non ha misericordia per l’uomo suo simile,

come può supplicare per i propri peccati?

Se lui, che è soltanto carne, conserva rancore,

come può ottenere il perdono di Dio?

Chi espierà per i suoi peccati?

Ricòrdati della fine e smetti di odiare,

della dissoluzione e della morte e resta fedele ai comandamenti.

Ricorda i precetti e non odiare il prossimo,

l’alleanza dell’Altissimo e dimentica gli errori altrui.

Salmo Responsoriale  Dal Salmo 102

Il Signore è buono e grande nell’amore.

Benedici il Signore, anima mia,

quanto è in me benedica il suo santo nome.

Benedici il Signore, anima mia,

non dimenticare tutti i suoi benefici.

Egli perdona tutte le tue colpe,

guarisce tutte le tue infermità,

salva dalla fossa la tua vita,

ti circonda di bontà e misericordia.

Non è in lite per sempre,

non rimane adirato in eterno.

Non ci tratta secondo i nostri peccati

e non ci ripaga secondo le nostre colpe.

Perché quanto il cielo è alto sulla terra,

così la sua misericordia è potente su quelli che lo temono;

quanto dista l’oriente dall’occidente,

così egli allontana da noi le nostre colpe.

Seconda Lettura  Rm 14, 7-9

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani

Fratelli, nessuno di noi vive per se stesso e nessuno muore per se stesso, perché se noi viviamo, viviamo per il Signore, se noi moriamo, moriamo per il Signore.

Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo del Signore.

Per questo infatti Cristo è morto ed è ritornato alla vita: per essere il Signore dei morti e dei vivi.

Vangelo  Mt 18, 21-35

Dal vangelo secondo Matteo

In quel tempo, Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: «Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?». E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette.

Per questo, il regno dei cieli è simile a un re che volle regolare i conti con i suoi servi. Aveva cominciato a regolare i conti, quando gli fu presentato un tale che gli doveva diecimila talenti. Poiché costui non era in grado di restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, i figli e quanto possedeva, e così saldasse il debito. Allora il servo, prostrato a terra, lo supplicava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa”. Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito.

Appena uscito, quel servo trovò uno dei suoi compagni, che gli doveva cento denari. Lo prese per il collo e lo soffocava, dicendo: “Restituisci quello che devi!”. Il suo compagno, prostrato a terra, lo pregava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò”. Ma egli non volle, andò e lo fece gettare in prigione, fino a che non avesse pagato il debito.

Visto quello che accadeva, i suoi compagni furono molto dispiaciuti e andarono a riferire al loro padrone tutto l’accaduto. Allora il padrone fece chiamare quell’uomo e gli disse: “Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato. Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?”. Sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non avesse restituito tutto il dovuto.

Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello».