Anno liturgico A (2019-2020)
Tempo Ordinario
XIII Domenica
(28 giugno 2020)
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2Re 4,8-11.14-16a; Sal 88; Rm 6,3-4,8-11; Mt 10,37-42
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La liturgia di oggi ruota attorno al verbo ‘accogliere’. La donna sunamita della prima lettura, infatti, attua il detto di Gesù: “Chi accoglie un profeta perché è un profeta, avrà la ricompensa del profeta, e chi accoglie un giusto perché è un giusto, avrà la ricompensa del giusto” (Mt 10,41). Ma ciò che colpisce nella proclamazione del brano evangelico odierno è altro. Riguarda la radicalità del discepolo del regno: “Chi ama padre o madre più di me non è degno di me … Chi avrà tenuto per sé la propria vita la perderà …” (Mt 10,37-39). Espressioni che suonerebbero con altra potenza se si proclamassero come sono riportate nel brano evangelico, che inizia con: “Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; sono venuto a portare non pace, ma spada. Sono infatti venuto a separare…” (Mt 10,34). Il testo stesso dà forza al detto di Gesù con il verbo ‘gettare’: gettare pace, gettare spada. Espressione inusuale anche al tempo di Gesù, quindi particolarmente significativa sulla sua bocca. Anche Luca riporta lo stesso detto unendolo all’immagine del fuoco: “Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso!… Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione” (Lc 12,49.51). E anche Luca usa il verbo ‘gettare’.
Che cosa intende Gesù? In rapporto al mistero del regno di Dio che è venuto ad annunciare e a realizzare, tutto il resto è secondario, perfino gli affetti più naturali e oggetto del comandamento di Dio. Anche Gesù si è trovato nella circostanza se preferire i legami familiari di parentela o l’ardore per il regno. Chiara la sua scelta: chi fa la volontà del Padre mio, questi è madre, fratello e sorella per me. Quando racconta le parabole del regno, la sottolineatura evidente è: entrare nella familiarità con Gesù significa stabilire un legame ancora più forte dei legami di sangue. È il mistero dell’alleanza svelato nelle sue radici di intimità che portano pienezza al cuore dell’uomo, tanto che non si resterà più chiusi nella cerchia della propria parentela, ma si accoglierà ogni uomo nella parentela con il Figlio di Dio. Tutto questo però ha un costo perché, quando i due movimenti entreranno in conflitto, il cuore deve saper scegliere. Di quale dignità si vuol godere? Risuonano qui le espressioni del vangelo di Matteo: “Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta … se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli” (Mt 6,33; 5,20).
Gesù non teme di spaventare i suoi discepoli e dichiara loro apertamente: “chi non prende la propria croce e non mi segue, non è degno di me. Chi avrà tenuto per sé la propria vita, la perderà, e chi avrà perduto la propria vita per causa mia, la troverà” (Mt 10,38.39). Dopo aver ricordato loro che saranno perseguitati, che lui non è venuto a portare pace sulla terra ma spada e che la fede in lui sopravanza l’amore per i propri cari (l’amore per i propri cari non può essere ragione sufficiente per separarsi da lui), Gesù esorta: “chi non prende la propria croce e non mi segue, non è degno di me” (Mt 10,38). Un’altra volta l’evangelista riporta la stessa espressione. In occasione della confessione di Pietro a Cesarea, quando Gesù decide di rivelare la sua prossima passione e redarguisce l’apostolo per aver pensato in termini mondani: “Va’ dietro a me, Satana!” e allarga a tutti l’ammonizione: “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua” (Mt 16,23-24). Mentre Luca ricorda l’ingiunzione di Gesù a portare la croce come la firma alla parabola del saper calcolare se si hanno i mezzi sufficienti a costruire una torre (la sequela di Gesù comporta una prospettiva di vita, non semplicemente un’emozione o un entusiasmo del momento) e alla ricerca dell’ultimo posto come espressione di sapienza evangelica.
In ogni caso, il prendere la croce ha a che fare con il voler essere discepolo di Gesù, con il voler stare dove lui sta, con l’andare dove lui va. Non si tratta di pazientare con la propria croce, ma di cogliere il segreto che regge questo invito: cosa cerchi? Dove vuoi arrivare? Per quale tesoro ti angosci? Si tratta di cogliere la promessa che sta racchiusa in ogni parola di Gesù: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo” (Mt 25,34). Il prendere la croce vuol dire portare ogni cosa in vista di godere di quel regno, non nell’attesa del regno che verrà, ma del regno che è davanti a noi, che è alla nostra portata, perché Gesù ce lo apre. Così il discepolo rinuncia a tutti i beni, non nel senso che non ne gode, ma nel senso che non li preferisce all’amore di Gesù, nel senso che non ne fa motivo di ira e tristezza se gli vengono tolti pur di custodire la sequela di Gesù. Senza percepire però la verità e l’emozione interiore della promessa del regno non sarà possibile prendere la propria croce e andar dietro Gesù.
È proprio riferendosi alla promessa del regno che si può comprendere l’immagine della spada che Gesù dice di essere venuto a gettare. Nella lettera agli Ebrei la parola di Dio è paragonata a una spada a doppio taglio: “Infatti la parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, fino alle giunture e alle midolla, e discerne i sentimenti e i pensieri del cuore” (Eb 4,12). Ecco la divisione, la separazione che Gesù provoca: il cuore può distinguere ciò che si riferisce al regno e che risponde alla sua dignità di figlio di Dio da ciò che lo rinchiude in un movimento di interessi, per quanto nobili o dietro steccati che ne limitano l’azione o ne indeboliscono la potenza.
San Paolo, per riassumere questa sapienza evangelica, non troverà di meglio che definirla così: “La parola della croce infatti è stoltezza per quelli che si perdono, ma per quelli che si salvano, ossia per noi, è potenza di Dio … Infatti ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini” (1Cor 1,18.25). Di modo che: “Quanto a me invece non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, per mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo” (Gal 6,14). Da intendere: nel mondo non c’è nulla da preferire all’amore di Gesù e in me non c’è nulla che può essere portato a compimento se disattende l’amore di Gesù.
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I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale Romano”):
[I testi delle letture sono protetti dal © Libreria Editrice Vaticana e ne è vietata la riproduzione, anche parziale e con qualsiasi mezzo]
Prima Lettura 2 Re 4,8-11.14-16a
Dal secondo libro del Re.
Un giorno Eliseo passava per Sunem, ove c’era una donna facoltosa, che l’invitò con insistenza a tavola. In seguito, tutte le volte che passava, si fermava a mangiare da lei. Essa disse al marito: «Io so che è un uomo di Dio, un santo, colui che passa sempre da noi. Prepariamogli una piccola camera al piano di sopra, in muratura, mettiamoci un letto, un tavolo, una sedia e una lampada, sì che, venendo da noi, vi si possa ritirare».
Recatosi egli un giorno là, si ritirò nella camera e vi si coricò.
Eliseo chiese a Giezi suo servo: «Che cosa si può fare per questa donna?». Il servo disse: «Purtroppo essa non ha figli e suo marito è vecchio». Eliseo disse: «Chiamala!». La chiamò; essa si fermò sulla porta. Allora disse: «L’anno prossimo, in questa stessa stagione, tu terrai in braccio un figlio».
Salmo Responsoriale Dal Salmo 88
Canterò per sempre la tua misericordia.
Canterò senza fine le grazie del Signore,
con la mia bocca annunzierò la tua fedeltà nei secoli,
perché hai detto: «La mia grazia rimane per sempre» ;
la tua fedeltà è fondata nei cieli.
Beato il popolo che ti sa acclamare
e cammina, o Signore, alla luce del tuo volto:
esulta tutto il giorno nel tuo nome,
nella tua giustizia trova la sua gloria.
Perché tu sei il vanto della sua forza
e con il tuo favore innalzi la nostra potenza.
Perché del Signore è il nostro scudo,
il nostro re, del Santo d’Israele.
Seconda Lettura Rm 6, 3-4. 8-11
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani
Fratelli, quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte. Per mezzo del battesimo siamo dunque stati sepolti insieme a lui nella morte, perché come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova.
Ma se siamo morti con Cristo, crediamo che anche vivremo con lui, sapendo che Cristo risuscitato dai morti non muore più; la morte non ha più potere su di lui.
Per quanto riguarda la sua morte, egli morì al peccato una volta per tutte; ora invece per il fatto che egli vive, vive per Dio.
Così anche voi consideratevi morti al peccato, ma viventi per Dio, in Cristo Gesù.
Vangelo Mt 10, 37-42
Dal vangelo secondo Matteo
In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: «Chi ama il padre o la madre più di me non è degno di me; chi ama il figlio o la figlia più di me non è degno di me; chi non prende la sua croce e non mi segue, non è degno di me.
Chi avrà trovato la sua vita, la perderà: e chi avrà perduto la sua vita per causa mia, la troverà.
Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato.
Chi accoglie un profeta come profeta, avrà la ricompensa del profeta, e chi accoglie un giusto come giusto, avrà la ricompensa del giusto.
E chi avrà dato anche solo un bicchiere di acqua fresca a uno di questi piccoli, perché è mio discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa».