Sesto ciclo
Anno liturgico C (2018-2019)
Tempo Ordinario
XXV Domenica
(22 settembre 2019)
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Am 8, 4-7; Sal 112; 1 Tm 2, 1-8; Lc 16, 1-13
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Ai farisei Gesù aveva raccontato le tre parabole della misericordia (Lc 15), ora racconta la parabola dell’amministratore disonesto e scaltro ai discepoli, che già hanno fatto esperienza della misericordia di Dio. È come se Gesù mostrasse in cosa consiste in pratica la fedeltà dei discepoli spesso paragonati ad amministratori nella casa di Dio. Il punto nevralgico è costituito dalla lode del padrone: il padrone è defraudato, ma loda il suo amministratore disonesto. La lode su cosa si appunta? L’avverbio greco abbinato all’agire dell’amministratore, avverbio che noi traduciamo ‘con scaltrezza’, in questa accezione non rende ragione dell’intenzione del padrone. Il termine è lo stesso che viene riferito alle cinque vergini sagge o prudenti che si distinguono dalle loro compagne stolte o stupide. Si distinguono per la premura di conservare l’olio in piccoli vasi. Ciò significa che l’attesa del loro cuore è volta all’incontro con lo sposo, mentre per le altre si tratta solo di aspettare. Anche nella parabola odierna, il padrone loda la ‘saggezza’ dell’amministratore perché dispone il suo agire in funzione del futuro senza perdersi nel presente: non si abbatte per essere scoperto nella sua disonestà, sa cosa fare per non restare escluso dalla vita. La differenza che Gesù sottolinea tra i figli di questo mondo e i figli della luce sta proprio nel fatto di saper cosa fare in rapporto alla dimensione in cui ci si colloca. Se i figli della luce si percepiscono in rapporto al Regno, il loro agire resta vincolato alla grazia del regno e tutto quello che vivono in questo mondo è aperto appunto alla grazia del regno che li ha sorpresi e conquistati. Questo è il senso della parabola.
Gesù esemplifica l’agire in rapporto ai beni, a come essere fedeli nei beni. Ci sono beni di poco conto e beni importanti; beni iniqui, fasulli e beni veri; beni altrui e beni propri. La diversità potrebbe essere indicata anche con: beni terreni e beni celesti, beni materiali e beni spirituali, beni passeggeri e beni eterni. La straordinarietà della parola di vita di Gesù sta nell’indicare che non c’è altra via per procurarsi i secondi che nella fedeltà ai primi. Per questo l’affermazione “fatevi degli amici con la ricchezza disonesta” suona come: l’agire nella vita non comporta meriti, ma comunione; il valore dei beni sta nell’usarli senza essere usati, nel possederli senza essere posseduti, nell’avere per condividere, perché ciò che è nostro è l’essere figli dell’Altissimo, ciò che vale è il crescere nella misericordia verso tutti al punto da non fare alcuna distinzione tra buoni e cattivi quanto all’amore loro dovuto.
Si tratta di ottenere ciò che è nostro con ciò che non è nostro; di ottenere le cose importanti con le cose di poco conto. Tutto ciò che usiamo in questo mondo non è nostro, non ci appartiene; non solo, ma non ha nemmeno importanza seria rispetto a quello che davvero cerchiamo e dunque è calcolato come cosa di poco conto. Eppure, non abbiamo altra possibilità di arrivare a ciò che è nostro se non attraverso le cose non nostre, a patto che le usiamo senza esserne usati, che le condividiamo con tutti e che le godiamo insieme. E che cosa è nostro? Cirillo di Alessandria definisce nostro “la santa e mirabile bellezza che Dio forma nelle anime delle persone, rendendole simili a se stesso, in accordo con ciò che eravamo in origine”. Questa è la cosa importante, quella che ci definisce, quella che ci struttura. È nostro l’essere figli dell’Altissimo, è nostra quella somiglianza con il Signore Gesù, che lui è venuto a ristabilire.
I beni propri, grandi, veri, sono quelli che corrispondono ai desideri più profondi del cuore, sono quelli che riguardano l’essere, la pienezza di quella vita che ardentemente cerchiamo e che vediamo costantemente sfuggirci perché non ci fidiamo della promessa di Dio; i beni altrui, piccoli, iniqui, sono le cose materiali di cui abbiamo bisogno per vivere ma senza che costituiscano lo scopo stesso del vivere; sono quelli che riguardano i desideri nell’immediato, che spesso sono così in contrasto con quelli profondi del cuore e che, se hanno il sopravvento, sono intaccati dall’ingiustizia; sono quelli che preferiamo contro le promesse di Dio.
Il padrone della parabola è Dio che affida i suoi beni a noi come amministratori, ai quali a suo tempo chiederà conto. Se nessuno di noi è proprietario a titolo assoluto dei beni che usa temporaneamente, la prima conseguenza sarà quella di possederli senza che essi possiedano noi. L’avido, che consacra la sua vita ai beni, scava un fossato incolmabile tra lui e la felicità. Dato però che l’uomo vuole la felicità, l’accortezza consisterà nell’invertire la dinamica perversa che si era instaurata: invece di consacrare la vita ai beni, consacrerà i beni alla vita e ciò avverrà nella disponibilità a condividerli. In particolare, la scaltrezza si giocherà sul fatto che, non potendo rabbonire direttamente il padrone perché l’ammanco sarà risultato insolubile, si cercherà di carpire la sua lode con il condonare i debiti ai compagni. La parabola può essere letta come un’illustrazione della richiesta del Padre Nostro: ‘rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori’. La scaltrezza della santità sta non nel fatto di rispondere davanti alle proprie mancanze con il tentativo, impossibile, data l’ampiezza dell’ammanco, di saldare i propri debiti, bensì nel fatto di condonare i debiti altrui per trovare ancora il favore del padrone.
In particolare, l’apostolo è colui che froda il padrone nel suo diritto di giustizia invitando tutti ad entrare nel Regno. L’abilità dell’amministrare sta proprio nel favorire in ogni modo l’entrata nel Regno da parte del maggior numero. La misericordia è il calcolo più intelligente che possiamo fare per noi e per gli altri. Se tu servirai il tuo Signore onorando tuo fratello, qualora tu dovessi mancare in qualcosa rispetto al tuo Signore, l’onore dato al tuo fratello richiamerà il favore del tuo Signore. Non solo, ma se il tuo fratello mancherà in qualcosa rispetto al suo Signore, l’onore che tu gli avrai portato funzionerà da intercessore per lui perché quell’onore è computato a merito. I meriti davanti a Dio sono energie di intercessione, pungoli all’amore di Dio a riversarsi su di noi.
S. Agostino, poi, ha un commento singolare per questo brano. Dice che il padrone loda il servo disonesto perché pensa al futuro e questo lo interpreta nel senso dell’elemosina, della ospitalità, dell’accoglienza dei fratelli specificando che il principio del discepolo è il seguente: sia ammesso all’ospitalità anche chi non è degno perché non sia escluso chi ne è degno.
Condividere i beni con i poveri, stare solidali con l’umanità di tutti significa portare a compimento quella vocazione all’umanità che ci appartiene in proprio come figli dell’Altissimo, resi tali da quel Signore Gesù che ha scelto di stare solidale con gli uomini, perché gli uomini potessero tornare a godere della comunione con Dio, il loro vero Bene. Ed è caratteristico che l’espressione di Paolo, riportata dal canto al vangelo, segua l’invito dell’apostolo ai Corinzi a partecipare alla colletta organizzata per la Chiesa di Gerusalemme, non solo perché si stabilisca una certa uguaglianza tra ricchi e poveri, ma soprattutto perché si renda visibile nei frutti della carità la riconciliazione, operata dal Signore Gesù, dell’umanità con Dio, simboleggiata dall’unità nell’unica famiglia di Dio di ebrei e pagani.
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I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale Romano”):
[I testi delle letture sono protetti dal © Libreria Editrice Vaticana e ne è vietata la riproduzione, anche parziale e con qualsiasi mezzo]
Prima Lettura Am 8, 4-7
Dal libro del profeta Amos.
Il Signore mi disse:
«Ascoltate questo,
voi che calpestate il povero
e sterminate gli umili del paese,
voi che dite: “Quando sarà passato il novilunio
e si potrà vendere il grano?
E il sabato, perché si possa smerciare il frumento,
diminuendo l’efa e aumentando il siclo
e usando bilance false,
per comprare con denaro gli indigenti
e il povero per un paio di sandali?
Venderemo anche lo scarto del grano”».
Il Signore lo giura per il vanto di Giacobbe:
«Certo, non dimenticherò mai tutte le loro opere».
Salmo Responsoriale Dal Salmo 112
Benedetto il Signore che rialza il povero.
Lodate, servi del Signore,
lodate il nome del Signore.
Sia benedetto il nome del Signore,
da ora e per sempre.
Su tutte le genti eccelso è il Signore,
più alta dei cieli è la sua gloria.
Chi è come il Signore, nostro Dio,
che siede nell’alto
e si china a guardare
sui cieli e sulla terra?
Solleva dalla polvere il debole,
dall’immondizia rialza il povero,
per farlo sedere tra i prìncipi,
tra i prìncipi del suo popolo.
Seconda Lettura 1 Tm 2, 1-8
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo a Timoteo
Figlio mio, raccomando, prima di tutto, che si facciano domande, suppliche, preghiere e ringraziamenti per tutti gli uomini, per i re e per tutti quelli che stanno al potere, perché possiamo condurre una vita calma e tranquilla, dignitosa e dedicata a Dio. Questa è cosa bella e gradita al cospetto di Dio, nostro salvatore, il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità.
Uno solo, infatti, è Dio e uno solo anche il mediatore fra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù, che ha dato se stesso in riscatto per tutti. Questa testimonianza egli l’ha data nei tempi stabiliti, e di essa io sono stato fatto messaggero e apostolo – dico la verità, non mentisco –, maestro dei pagani nella fede e nella verità.
Voglio dunque che in ogni luogo gli uomini preghino, alzando al cielo mani pure, senza collera e senza contese.
Vangelo Lc 16, 1-13
Dal vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù diceva ai discepoli:
«Un uomo ricco aveva un amministratore, e questi fu accusato dinanzi a lui di sperperare i suoi averi. Lo chiamò e gli disse: “Che cosa sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non potrai più amministrare”.
L’amministratore disse tra sé: “Che cosa farò, ora che il mio padrone mi toglie l’amministrazione? Zappare, non ne ho la forza; mendicare, mi vergogno. So io che cosa farò perché, quando sarò stato allontanato dall’amministrazione, ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua”.
Chiamò uno per uno i debitori del suo padrone e disse al primo: “Tu quanto devi al mio padrone?”. Quello rispose: “Cento barili d’olio”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta, siediti subito e scrivi cinquanta”. Poi disse a un altro: “Tu quanto devi?”. Rispose: “Cento misure di grano”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta”.
Il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza. I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce.
Ebbene, io vi dico: fatevi degli amici con la ricchezza disonesta, perché, quando questa verrà a mancare, essi vi accolgano nelle dimore eterne.
[ Chi è fedele in cose di poco conto, è fedele anche in cose importanti; e chi è disonesto in cose di poco conto, è disonesto anche in cose importanti. Se dunque non siete stati fedeli nella ricchezza disonesta, chi vi affiderà quella vera? E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra?
Nessun servitore può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza».]